G. Bizzetti
Aula Magna …e Bevi…!
2003
Si
rivolga adesso alla mensa il pensier, ch’anco l’afflitta Niobe del cibo ricordossi
il giorno che dodici figliuol morti le furono! (Omero)
Prologo
Mi sono iscritto ad un corso di eno-gastronomia
che la libera associazione degli "Artusiani"
(per auto definizione "un gruppo di
amici, amanti della buona cucina, soliti riunirsi attorno ad una tavola
imbandita per disquisire sui più svariati argomenti e promuovere attività
culturali” ha anche quest’anno organizzato in questa
città.
L’associazione
si ispira al famoso scrittore e gastronomo Pellegrino Artusi,
nato a Forlimpopoli nel 1820 e vissuto fino alla
veneranda età di novantun anni, autore del celeberrimo libro «La scienza in
cucina e l'arte di mangiar bene», divenuto il best seller dell'arte culinaria).
L’anno
scorso non feci in Tempo ad iscrivermi. Ma quest’anno
ho potuto farlo, giacché mi piaceva aggiungere alle nuove dimensione di membro
emerito del circolo "Disoccupati contenti" e a quella di "Ozioso
Remunerato" anche la qualifica di “Cuoco Diplomato”.
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Il corso
del quale andrò a trattare durerà diciannove lezioni (più due o tre
riunioni di tipo Picwickiano
ancora definire) che andranno dal 21 gennaio al 28 marzo, ed io - amici cari -
periodicamente vi metterò al corrente dei fatti salienti o curiosi che mi
capiterà di vedere e di ascoltare nelle succose serate che il preclaro
ingegnere Vincenzo Bonsangue, anima e (soprattutto)
corpo di questa benemerita associazione) ci apparecchierà.
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21
gennaio 2003, prima lezione: prima di enologia.
Le
lezioni hanno preso avvio alle ore 17 di oggi martedì 21 gennaio. Dopo le
presentazioni di rito, la prima seduta viene dedicata, come il calendario e
dovere impongono, al vino. A questo riguardo, essendo gli “artesiani” sopra
tutto un'associazione di persone bennate e ben disposte alla vita, il direttore
del corso, il soprannominato ingegnere Bonsangue, ha
voluto farci compiere un excursus sulla storia di questa antica bevanda. Non
pensavo che sul vino potessero dirsi tante cose e così interessanti; l'intero
uditorio pendeva dalle labbra del relatore. Dovete sapere che sono ben 10 mila
anni che l'uomo lo beve, e che da allora e fino a qualche decennio fa - fino a
che la civiltà delle bollicine non ha preso il sopravvento - l'uomo, in specie
l'uomo povero, è stato solito cenare con del pane, del formaggio e un bicchiere
di vino.
Io che
come gli aruspici nell'inferno di Dante cammino in avanti tenendo la testa
interamente rivolta all'indietro, ho voluto farlo questa mattina nell'ora del desìo della prima colazione, il più felice dei miei tre
pasti quotidiani: Una stanga di pane, una sontuosa scheggia di pecorino ben speziato e un buon bicchiere di rosso hanno poderosamente
messo in movimento e poi felicemente corroborato i succhi del mio corpo,
ponendomi in pace col mondo. Di più, in corpo mi scese subito un soavissimo
torpore, un dolcissimo sonno che mi ha fatto dormire, felice come il piccolo Marcel Proust dopo che la mamma
gli aveva dato il bacio della buonanotte, per altre tre ore, dopo di che mi
sono levato di buona lena e di ottimo umore.
Evviva il
vino dunque, "il vino fa bonsangue", ha
giustamente e spiritosamente detto, puntualmente rifacendosi al nome e al
mestiere del nostro pantagruelico ingegnere (omen nomen, avrebbero detto i latini), la relatrice di scienze
dell'alimentazione dott.ssa Mariella Paruzzo.
24
gennaio 2003, seconda lezione: prima di gastronomia.
La
seconda lezione di ieri pomeriggio venerdì 24, dovendosi por mano a mestoli e
casseruole, si è tenuta presso i fastosi saloni e le cospicue cucine della
ditta China, lassù a Sant'elia. Argomenti del giorno:
Imparare a riconoscere, dall'odore e dal sapore (o meglio, dal profumo e dal
gusto) alcuni tipi di vini. Non erano esercizi troppo difficili, solo per
questo motivo mi è capitato di indovinare sempre.
L'ingegnere
è poi passato a trattare degli accoppiamenti vino - cibi, continuando a
dilettarci con l'unire una competenza di prim'ordine
ad un fascino affabulatorio non comune (l'ingegnere è
finissimo conoscitore di vini e un rinomato degustatore). Per esempio ci ha
detto (faccio questo esempio non senza una personale precisa ragione) che con
la torta e i dolci la scelta tra lo spumante dolce e il brut non si pone: il
dolce pretende sempre il dolce, quali che siano i gusti personali del o della
festeggiata. La torta e il dolce chiamano lo spumante dolce, mentre il brut da persone
(fintamente) vissute va bene con gli antipasti freddi, sia che abbiano a base
il pesce e sia che non ce l'abbiano. Con gli antipasti caldi invece si
raccomanda un tenue rosato.
A
proposito di antipasti - passo a dirvi della lezione di gastronomia tenutaci
dalla professoressa Silvana Natale -: i freddi e i caldi è d'uopo servirli
separati, senza confonderli. Prima servite quelli freddi e poi, dopo, quelli
caldi.
Il corso
è assai bene organizzato e il suo direttore è un uomo affascinante (un bel tipo
di gaudente, allegro ma non sbracato, buongustaio ma non crapulone) e per
fortuna lo slow food sta tornando di moda in questi tempi privi di grandi
ideali. A chi segue il tg5 delle 13 di sicuro non sfugge che tutti i giorni
verso le 13,20 va in onda una bella rubrica dedicata al gusto del mangiare e
del bere che, salvo che mi trovi fuori di casa, mai mi perdo.
Al nostro
corso partecipano persone di mezz'età, ben disposte alla vita o comunque
desiderose di dimenticarne le magagne, visibilmente golose, spesso felicemente
soccombenti nella diuturna lotta con la bilancia. E non è solo divertente
parteciparvi ma anche gratificante, perché quel che si cucina ce lo
apparecchiano e lo consumiamo caldo sul posto: Ieri abbiamo delibato degli
antipasti che la signora Natale aveva appena preparato.
Martedì -
evviva noi! - sarà la volta del maestro pasticciere.
28
gennaio 2003, terza lezione: prima di pasticceria.
Eccoci
alla serata dedicata ai dolci. Il maestro pasticciere, al secolo il signor Luciano
Micciché, ha trattato della pasta frolla, manufatto
principe della pasticceria di base, nel cui impasto - è un segreto del signor Micciché del quale vi faccio felicemente partecipi - è
sempre buona cosa aggiungere un cucchiaino di miele.
Sviluppando
il tema e passando dalla teoria alla pratica il signor Micciché
ha approntato, infornato e ci ha apparecchiato due crostate, una di mele e una
di ricotta che da sole valevano, come si suole dire, il prezzo del biglietto,
che, provvido sommelier, il nostro caro e impagabile ingegnere ci ha
prontamente e sollecitamente aiutati a mandar giù - sempre che di aiuto
avessimo bisogno - con un vino liquoroso dolce (sempre un dolce con i dolci,
non dimenticatevelo), che non ricordo quale fosse.
Il nostro
provvido coppiere avrebbe voluto mescerci, se avesse potuto, piuttosto qualche
goccia dell'assai celebre Picolìt. Che cos'è il Picolìt? E’ uno dei più costosi o forse il più costoso dei
vini italiani, un passito del colore dell'oro antico e che quanto quello quasi
costa. Difatti una sua bottiglia di mezzo litro la paghereste tra le
duecentocinquanta e le trecento mila lire.
Venerdì
si tratterà di apporti calorici; ci hanno detto di portarci una calcolatrice. Ahimè,
temo che andando di questo passo ci chiederanno di portare una bilancia.
Lezione
di pasticceria, intervento tecnico.
Miei
fedeli lettori, prima di trattare della lezione di stasera, la lezione della
calcolatrice, devo fare un passo indietro e tornare a quella di venerdì scorso.
Per dirvi
che il direttore del corso a ciascuno di noi ha dato una dispensa che contiene
una trentina di ricette di dolci della tradizione siciliana e che una di queste
si chiama "Dolce di Carne".
Vi
confesso che lì per lì, istintivamente, essa mi fece abbastanza schifo, fino a
quando almeno i succhi gastrici non mi portarono a chiedermi perché facessi
tanto lo schizzinoso quando si sa bene che sono ghiottissimo di polpette fritte
e i dolci mi piacciono maledettamente. e così sono andato persuadendomi non
solo che l'idea di un dolce di forno con la carne tritata non doveva essere del
tutto malvagia ma che anzi poteva risultare geniale, così che m'è venuto il
gusto di provarla.
miei
fedeli amici non voglio, vi prego ardentemente di credermi, che mi facciate la
sorpresa di farmela trovare bella e cucinata, poiché vorrò averlo io quando
sarà il piacere di sperimentarla.
E poiché
come vi dicevo la ricetta non m'è parsa affatto malvagia voglio, miei cari e
pazienti lettori, a apparecchiarvela, qualora v'intrigasse, e dopo di essa vi
darò i titoli delle altre ricette della dispensa.
Dolce di
carne:
Presentazione:
"è questa una Preparazione molto antica, curiosa ed unica, originaria
della contea di modica zona di produzione rinomata in fatto di dolci. queste
impanatine di carne sono dette in siciliano "'mpanatigghi",
un termine che discende dalla parola spagnola "empanadilla".
Di pasticcini a base di carne la cucina tradizionale della Sicilia è piena. Si
pensi, ad esempio, all'antichissima ricetta del pasticcio di pollo di un emiro
di Catania di nome Ibn Timnà.
Inoltre tra la fine del "700 ed i primi dell'800 erano molto noti i dolci
di carne delle monache del monastero dell'Origlione
di Palermo e i "pasticciotti di carni ‘cca ciculatti" dei convento dei
frati di Mazzarino del nisseno.
Ingredienti
per 6/8 persone. Per il ripieno: 1 kg. di carne di vitello tritata finemente; 1
kg. di zucchero; 1 kg. di mandorle abbrustolite macinate; 200 grammi di
cioccolato fondente; un pizzico di cannella; 12 chiare d'uovo. per l'impasto: 1
kg. di farina 00; 300 grammi di zucchero; 300 grammi di sugna; 12 tuorli
d'uovo; zucchero impalpabile.
Esecuzione:
unite alla farina i tuorli d'uovo, lo zucchero e la sugna fusa. impastate con
le mani facendo amalgamare bene, quindi su una base di marmo, dove avrete
versato un po' di farina, stirate finemente con il matterello e date
all'impasto forma rotonda. A parte passate sul fuoco per un paio di minuti il
tegame con la carne, lo zucchero, le mandorle, il cioccolato, la cannella e le
chiare d'uovo, mescolando continuamente. spegnete il fuoco e farcite l'impasto
con il ripieno ben amalgamato, chiudendolo in modo che il dolce assuma la forma
di una mezza luna. fatelo cuocere quindi per 15 minuti nel forno a 180 gradi. Fate
raffreddare e servite in tavola su di un largo piatto, guarnendo a piacere con
zucchero a velo.
Ecco le
altre 28 ricette cui facevo cenno prima. Se ve ne interessasse lo sviluppo
scrivetemi o telefonatemi.
Biancomangiare; Buccellato; Cannoli; Cassata gelata; Cassata siciliana; Dolce di
castagne e riso; Couscous dolce; Crostata
all'arancia; Cuccìa; Cutumé;
Ericini; Gelato di campagna; Gelato di frutta; Gelo
di melone; Gelato di gelsomino; Mandarini ripieni; Mustazzoli
di Erice; Pasta di mandorle; Pasticcini di melanzane;
Sfinci di san Giuseppe; Sfinci
di riso; Sorbetto al limone o all'arancia; Sorbetto di pesche bianche; Torta di
Spagna con ricotta; Spuma gelata; Spumette di nocciole; Torrone; Zuccata.
E adesso
un paio di precisazioni di natura tecnica sulle crostata di cui vi ho fatto
cenno. Il mastro Micciché quella di mele la chiuse
con le classiche otto listelle disposte a cancelletto (più o meno così #), mentre quella di ricotta
la chiuse con un altro strato di fasta frolla, perché se no il forno - ci ha
spiegato - avrebbe bruciato la ricotta, datane la freschezza.
31
gennaio 2003, quarta lezione: prima di scienze dell'alimentazione.
Miei
fedeli lettori anche se siete solo in cinque (ma se il Manzoni
ne aveva venticinque posso ben accontentarmi), puntuale vengo a relazionarvi
sulla quarta lezione del corso del 'Magnareebere'
come diceva il grande Brera. La puntata di ieri sera
non è stata all'altezza delle precedenti fosse per il solo fatto che ci hanno
mandati a casa a becco asciutto e a stomaco vuoto. Ma non è stato solo per
questo: la dottoressa Paruzzo ha fatto la profetessa
di sciagure e la calcolatrice le è servita per farci calcolare l'eccedenza di
peso e farci determinare quello che secondo la imperante cultura dell'apparire
potremmo definire "il peso ideale televisivo". Secondo i suoi astrusi
calcoli, chi vi scrive dovrebbe perdere - se vorrà sentirsi elegante, se vorrà
morire bene, se vorrà star comodo nella bara - all'incirca una trentina di
chili.
Oh santi Numi!
Se riducessi il mio peso ai 65 chili invocati delle tabelle della dottoressa Paruzzo dovrei essere sollevato da terra e portato di peso
(e non ci vorrebbe neanche troppa fatica a farlo) in manicomio. Quella del nutrizionismo pianificato a me par essere una delle nuove
frontiere del far soldi facile; io penso che un adulto della mia età, con la
mia posizione e con la mia testa, i suoi bravi novanta chili, dopo trent'anni di duro lavoro e quattro o cinque promozioni di
merito, se li debba anche godere. Ne fa fede la complessione fisica del già
citato e non abbastanza lodato ingegnere Bonsague il
quale alto all'incirca quanto me, pesa - ce lo ha rivelato lui stesso - ben 115
chili. Ma piena e prestante è la sua figura che regala una sensazione di
gagliarda e granitica solidità e ce lo rassicura - e questa è forse la cosa che
ancora di più conta - come uomo in pace col mondo e con il suo intestino.
In
definitiva a me non pare giusto che con queste tre "t" che in questi
tempi votati all'effimero e all'individualismo di massa accanitamente ci
inseguono (così Edoardo Raspelli definisce la cucina terragna, e ci avete fatto caso a quante riviste, servizi,
pubblicità, pubblicazioni ogni giorno escono sull'argomento!) da una parte ci
spingono al piacere del mangiare e subito dall'altra i sacerdoti della dietologia ci tolgono la forchetta di mano ricordandoci,
come i monaci catastrofisti nell'anno 999, che al
minimo ci viene il cancro al colon e al massimo ingrassiamo e diventiamo
brutti.
La nostra
è la società delle contraddizioni: il nuovo Eros passa per la bocca (vi prego
di non fraintendermi) però dobbiamo essere virtuosi ("Nisi
caste tamen caute", si dicevano i preti tra di
loro). Questa moda del 'Vivere male per morire bene'
ha trasformato, secondo la illuminante definizione di Beppe Grillo (uno che i
suoi cento chili li pesa) ciò che un Tempo era un peso per lo stomaco in un peso
per la coscienza. Detto questo ritornerei alla cronaca della serata.
La
calcolatrice ce l'hanno fatta usare anche per determinare il numero delle
calorie che consumiamo nelle 24 ore, ma il procedimento è complesso perché
occorre una tabella che qui non posso tradurre. Lo scopo è quello di farcene
introitare ogni giorno tante quanto ne bruciamo. Discorsi tristi, amici cari,
avevo preso degli appunti da usare a vostro beneficio ma non ho voglia di
guardarli.
Riporto
qualcosa che ancora ricordo a mente: la relatrice (che, è giusto
riconoscerglielo, ha una linea che le fa onore) ci ha vivamente raccomandato di
fare cinque piccoli pasti (leggeri, li ha definiti) al giorno, così che quando
ci sediamo a tavola non mangiamo a quattro ganasce; che per frenare l'azione
dei radicali liberi (quindi il processo di invecchiamento organico) dobbiamo
bere quantomeno due litri di acqua al giorno (che schifo!); che un (bel) piatto
di pasta con fagioli e verdure è il pasto più sano e completo che ci sia (questo lo condivido in pieno, specie
aggiungendoci del peperoncino rosso e un paio di fette di lardo).
Un'altra
cosa buona a sapersi è l'effetto positivo che i dolci esplicano non solo sul
nostro palato ma anche nella psiche. Succede che gli zuccheri così detti
complessi (glucidi) vanno a liberare nel nostro sistema nervoso una sostanza
chiamata serotonina la quale suscita nelle cellule cerebrali un effetto quasi
dionisiaco. Non per nulla l'avvocato Agnelli - questo lo sto aggiungendo io che
molto di lui ho letto in questi giorni che è morto - che non era per niente
ghiotto soleva farsi portare due o tre volte al giorno una mousse di ricotta e
cioccolato (l’Avvocato, buonanima, è morto di un tumore ma questo non
diciamoglielo ai dietologi).
A
proposito di pietanze buone e di pietanze cattive, ecco secondo Mariella
'light' di che cosa dovremmo castamente nutrirci:
a): pesce,
specialmente quello azzurro (io sono a posto, stravedo per il tonno in
scatola);
b): carni
bianche (non mi piacciono, non posso farci niente);
c): carni
rosse (vado matto solo per quelle di maiale, quando insaccate. e per le
polpettine alla turca),
d) non
stravedo per uova (non magio un uovo bollito da più di trent’anni).
Ma le frittate con dentro qualsivoglia verdura le mangio abbastanza volentieri);
e) latte
e i suoi derivati (preferisco di gran lunga i suoi derivati; sono un divoratore
di formaggi d'ogni tipo e stagionatura;
f) amidacei
in genere (di budini e di paste che ne mangerei un mastello al giorno);
g) legumi
(mi piacciono i fagioli neri soffritti con verdure, spezie, lardo e pancetta);
h) frutta
e verdura (la frutta non mi piace, eccezion fatta per le arance; le verdure
adoro mangiarmele con i fagioli, meglio se padellate, alla messicana).
Basta,
non ci provo gusto a continuare; è stata una triste serata quella di ieri sera,
le parole della relatrice mi hanno depresso. Fortuna che a cena m'aspettava una
mousse di riso e ricotta dove, ve lo giuro, ho fatto cadere duecento grammi di
parmigiano.
Martedì
prossimo la lezione verterà sull'analisi sensoriale dei vini. Il buon maestro
ci ha pregati (un po' tutti, ma sopra tutti le signore) di non buttarci addosso
profumi. Mi sa che dovrò farmi il bagno.
4
febbraio 2003, quinta lezione: seconda di enologia.
Lavato e
strizzato come un tovagliolo mi sono apparecchiato ad apprendere come si
riconoscono i vini e come li si descrive. La lezione è stata impegnativa quanto
nessun'altra prima di oggi, tant'è
che è durata quasi tre ore anziché le canoniche due, ma l'argomento era
fondamentale per chi come me voleva penetrare quelle formule e quei gesti così
arcani da sembrare quasi esoterici ai quali i sommelier ieraticamente
si abbandonano quando in televisione ci decantano le caratteristiche del
'divino liquore'. E ho appreso che non si tratta di
parole dette a vanvera né di formule astratte; esse obbediscono ad un preciso
glossario codificato dall'associazione italiana dei sommelier che, come le
risposte ai quesiti agli esami della patente, nulla concede
all'improvvisazione.
Non mi
dilungherò sull'argomento se non per aggiungere che gli assaggi (o, se
preferite, le degustazioni) sono state fatte, per l'onore e il piacere
dell'ingegnere Bonsangue, con prodotti di alta
qualità.
Superbo,
eccelso, ho trovato uno spumante siciliano, di certo all'altezza dei migliori
champagne, che il nostro buon ganimede ci ha fatto conoscere e assaggiare. Si
tratta del Burgo brut dei conti di Scammacca(*). e questo e gli altri due preziosi vini della
serata hanno trovato nei nostri stomaci il meritato riposo in compagnia di un
tipo di maritozzo (i 'cuddriredda') che uno dei
partecipanti al corso ha voluto farci assaggiare di suo.
Venerdì
prossimo si tratterà di gastronomia e il programma prevede la Preparazione, e
pertanto il consumo in loco, di due primi. "ora sì che cominciamo a
ragionare", come disse il grande Totò abbrancando con occhio cupido un mastellone di pasta asciutta.
(*) Mi
cimento a descrivervi il vino dei conti di Scammacca:
(con aria
ispirata, scrutando in controluce il bicchiere, prima dal basso verso l'alto e
poi dall'alto verso il basso): "Allo sguardo si presenta di un colore
giallo paglierino tenue, di brillante limpidezza (pausa), con riflessi dorati
(pausa), ricco di sottili e persistenti effervescenze". (Ruotando ad arte
il bicchiere e inspirando intensamente, ad occhi chiusi): "all'olfatto
sviluppa un intenso profumo di agrumi da cui emergono essenze di mela verde e
lapislazzuli viola". (Tenendo il bicchiere per la base, assaggiare due
volte schioccando entrambe le volte le labbra, a occhi chiusi dopo avere
deglutito): "in bocca è poco caldo (pausa), secco (pausa), gradevolmente
morbido (pausa), sapido e fresco". (doppia pausa per poi partire decisi)
"Rivela subito un gusto intenso ed equilibrato (stop, di nuovo pausa),
persistente (di nuovo pausa), fine, (pausa e via di nuovo decisamente) che ce
lo fa definire decisamente armonico e pronto" (assaggiare di nuovo
brevissimamente, chiudere gli nuovo gli occhi e, assumendo un'espressione
ispirata): "Va servito freddo per il suo abbinamento più tipico che è
quello con degli aperitivi di classe o in una cena a base di crostacei".
7
febbraio 2003, sesta lezione: seconda di gastronomia.
Sesta
puntata di questa sorta di soap opera "che - me lo scrive - geniale con la
penna quanto col pennello - mio cognato Tanino - "incolla ogni volta i
miei lettori allo schermo del computer". La lezione di stasera ha
riguardato i primi piatti e ce l'ha tenuta, come ogni altra di gastronomia, la
professoressa Silvana Natale. Una gentile signora con gli occhi chiari e una
caratteristica - a me così è parso - fuori del comune. Questa caratteristica
fuori del comune è costituita dal fatto che la signora Natale, che
ordinariamente si spende come insegnante, sacrifica il Tempo che le rimane ad
una pervicace passione per la cucina. Converranno i miei benevoli lettori col
fatto che per la donna d'oggi, in specie se è emancipata, la cucina è la
peggiore delle condanne cui [la donna emancipata di cui si diceva] si sottopone
ogni giorno sempre più malvolentieri, correndo per fast food e riparandosi nei
cibi pronti. E che piuttosto siamo noi maschi che in questa confusa fase di
epocali capovolgimenti mentali (e ormonali) aspiriamo a dare alla nostra vita,
ma spesso senza fare nulla perché l'aspirazione si concretizzi, una dimensione
diciamo così casalinga. Mia moglie ed io siamo di questi, e assai volentieri ci
scambieremmo i ruoli, solo che una sorta di sclerosi mentale che gli anni
anziché dissipare acuiscono ci impedisce di intenderci.
La pasta
l'hanno inventata i cinesi - ha esordito la glaucopide
Silvana - i quali ancora oggi ne fanno un forte uso (il riso in Cina è
piuttosto il cibo dei poveri), consumandola nella forma che noi chiamiamo
fresca, e proprio sulla pasta fresca è stata condotta la lezione di stasera.
Tralasciando
il molto che è stato solo detto, vengo a raccontarvi, miei fedeli amici, delle
due pietanze che le sue sapienti mani, davanti a noi per le nostre affamate
menti e le voraci bocche, hanno approntato: un rotolo di spinaci con funghi e
parmigiano, cotto al forno, e una portata di tagliolini ai quattro colori con
contorno di lenticchie. Alle differenti colorazioni (e al miglior sapore) delle
quali provvedevano per una parte il peperoncino, per l'altra gli spinaci e per
l'altra ancora il cacao amaro.
Fossimo
stati tedeschi ci saremmo messi tutti disciplinatamente a scrivere silentemente copiando, ma siccome siamo italiani ci siamo
applicati a chiedere alla relatrice, quasi facessimo a gara a chi la sparava
più grossa, «Professoressa, ma al posto degli spinaci si ci può mettere la
rucola?», «Professoressa, e la bietola?», «E la zucca, professoressa?», «Le
patate, con le patate non si sbaglia mai!», «La ricotta, la ricotta, io ci
metto la ricotta, professoressa…», «La ricotta sì, ma se ci aggiungi le
melanzane è meglio». Oppure a chiederle se al posto del peperoncino si ci può
mettere lo zafferano o lo zenzero, oppure il bergamotto o le castagne. «Io ci
metto le castagne, professoressa", "Macché castagne! io ci metto il
nero di seppia", "E io il salmone, no, anzi, il caviale. “Il caviale
professoressa, nessuno mi batte col caviale!".
Metteteci
quel che volete, marrani, ma ricordatevi che in cucina ci vogliono coraggio e
fantasia. Metteteci quel che volete, ma ricordatevi di coprire il tutto con
molto contorno, il quale farà giustizia di ogni vostro arzigogolo mentale.
Fortuna
che la povera donna era lesta nel parlare quanto nel lavorare, se no con tutti
quei grilli parlanti finivamo a mezzanotte. Io non ho fatto domande né ho preso
nota delle ricette; per approdare ai fornelli dovrei passare sul cadavere di
mia moglie e anche se come cuoco mi auto stimo non voglio suscitare una
batracomiomachia per così poco. Diciamo che il mio approccio a queste lezioni è
solo cerebrale e che di questo m'accontento. Imparo l'arte e, come si suole
dire, la metto da parte.
Il
risultato del lavoro è stato eccellente e alla professoressa Natale sono stati
tributati i più calorosi applausi. La signora è giunta ad essi procedendo
risoluta sulla strada del condire abbondante. Lardellate di salse, di sughi e
di besciamelle, farcite di spezie e di formaggi, le sue pietanze si sono
offerte ai nostri palati piene, morbide e succolente
dandoci ancora più di quel che promettevano. Chissà perché il metodo mi ha
portato la mente al modo di far musica di Giuseppe Verdi, compositore non
disprezzabile se la sua musica l'avesse scritta non pensando al pubblico e alla
cassetta, e a me per questo riesce insopportabile. Perché allo scopo di
suscitare l'irrefrenabile delirio dei loggionisti e diluvi di applausi egli
ricorreva all'espediente tutto italiano di caricare i finali degli atti di
poderosissimi 'crescendo', facendo strepitare all'unisono e a più non posso
tutti i fiati, le ugole e le fanfare dell'orchestra.
Sono del
tutto sicuro che la signora Silvana sa seguire sentieri più raffinati ed
esclusivi e che la via da lei perseguita stasera era, per il livello non
eccelso della platea, la più opportuna.
Buona
compagnia ha fatto agli intingoli di cui sopra il bicchiere di rosso offertoci
dall'inossidabile ingegnere Bonsangue. Stavolta dal
suo inesauribile cilindro è uscito un vino 'novello' di 12 gradi (“Novello di Rallo” si chiama) assolutamente raccomandabile. Ma cos'è un
“vino novello!?” Lasciamo stare la definizione tecnica che lo declama "Vino
a fermentazione infracellulare in ambiente
anaerobico", diciamo subito che la definizione che lo dà come il vino
nuovo che ogni anno, sotto san Martino, si spilla dalle botti è riduttiva. Perché
il “vino novello” muore giovane, non arriva nemmeno a Pasqua, muore, beato lui,
senza conoscere la malinconia di una lenta corruzione (“Muore giovane chi è
caro agli Dei, diceva quel bugiardo di Mimnermo). Limpidissimo,
di colore rosso porpora con qualche riflesso violaceo, ricco nello stesso Tempo
e di glicerina (è la glicerina che conferisce ai vini la morbidezza) e di
tannino (che invece gli dà il caratteristico vigore), al palato evoca un
intenso sapore di fragola, di lampone e, ci ha detto l'ingegnere, dello smalto
che le signore usano per tingersi le unghia. E tutti lo abbiamo trovato
squisito.
Non posso
scrivere ancora, non è possibile che ogni mio intervento sia sempre più lungo
del precedente, di questo passo con le lezioni di marzo arriveremo agli “acta diurna”. Fatemi aggiungere soltanto che abbiamo scoperto,
dopo quello di Delia e a parte i molti sancataldesi
che forestieri non sono, una signorina che va e viene col pullman da Montedoro e addirittura una signora che ci raggiunge dalla
lontana, saluberrima e cara agli Dei Piazza Armerina: sono questi dei segni
palmari della credibilità dell'associazione e del prestigio del suo direttore.
Penso
però che ad apertura di corso egli avrebbe dovuto chiamarci - e mi meraviglio
che così bon vivant e cameratesco com'è non lo abbia fatto - ad uno ad uno
tutti e trentadue, e farci dire in trenta secondi, a braccio, qualcosa di noi
stessi, non fosse che per darci modo di mostrare la quantità di spirito che il
nostro sangue contiene. Ora "fervit olla et vivit amicitia",
ma siamo un po' come il Giappone: un arcipelago di isole in un mare 'di-vino'.
11
febbraio 2003, settima lezione: seconda di pasticceria.
Andava in
scena la seconda lezione di pasticceria, ma è stata una serata fiacca. Il
maestro pasticciere col suo fisico asciutto, i capelli alla prussiana, i guantetti da chirurgo e la desolante stringatezza nel
parlare non ci ha acceso né la fantasia né i succhi gastrici. Lo stesso “Vinsanto”
che per accompagnare i suoi manicaretti l'ingegnere Bonsangue
ci ha offerto ci è parso, alla fine, più un vino da offertorio che quel liquore
da compagnia che in è effetti (per chi dei miei lettori non lo sapesse si
chiama “Vinsanto” perché i toschi che lo producono sono soliti spillarlo il
giorno di tutti i Santi).
Come di
frequente capita, la recita più gustosa ci è venuta dal nostro rabelaisiano direttore che a fine opera, simpaticamente e
visibilmente preso da un imbarazzo che solo la sua golosità vinceva, ha domandato
al maestro pasticciere se lo faceva disporre della non poca ricotta condita che,
inusata, era rimasta nel mastello, ricotta che - avutone il permesso, in quattro e quattr'otto ha gagliardamente divorato - ("Per la Madonna,
signore, cattivo cuoco è colui che non sa leccarsi le dita!". William Shakespeare).
Venerdì,
festa di san Valentino, la lezione salta. "Anziché venire, restatevene a
casa e cercate con qualche cautela di porre in pratica le cose che vi abbiamo
insegnato, ché se il vostro partner ne esce vivo non vi lascerà più!".
18
febbraio 2003, ottava lezione: prima di galateo a tavola.
“Finalmente
il galateo a tavola…!”. Quasi mi esprimo come si espresse con i suoi soldati Alessandro
Magno prima di attaccare le superbe mura della città di Rodi, volendo
significare che prima d'allora avevano solo scherzato, “Qui è Rodi e qui si
salta”. La lezione ce l'ha tenuta la tenue, delicata, dolcissima dottoressa Michela
Oliveri che forse la cosa meno bella che ha è - ma
dico forse perché i nomi sono come i tailleurs,
dipende da chi li indossa - il nome. La quale nell'intervento di stasera ha
trattato della così detta “mise en place”.
La “mise
en place” è l'arte di apparecchiare la tavola e non è
sicuramente mestiere, finora almeno non lo è stato, per noi uomini.
Nella sua
trattazione la giovane signora (pertinente al ruolo sia in senso metafisico che
fisico) si è mossa su due binari: quello dell'occasione formale e quello
dell'occasione informale, non trascurando di lumeggiarci sulle situazioni di
interferenza.
Tutti gli
appunti che ho scrupolosamente preso attengono all'occasione formale (per la
quale noi intenderemo il pranzo di lusso), perché nell'occasione formale le
regole sono rigide e poco può essere lasciato all'improvvisazione.
Intanto
cominciamo con il dire che lo si chiama pranzo quando il trattenimento inizia
in un orario che sia compreso tra le ore 12,30 e le 20, e cena se ha inizio
dopo le 22. Se non volete passare per degli inguaribili snob evitate di
chiamare il pranzo colazione, e meno che mai quando si tratta di un pranzo
formale. Evitate di essere in tredici a tavola; non perché il tredici porti
male ma solo perché i servizi di posate e stoviglie sono composti solitamente
di dodici pezzi e sarebbe del tutto fuori luogo porre in aggiunta pezzi di
altro tipo, forma o colore. Se non avete problemi di questo genere allora
invitatene quattordici o sedici.
La buona
padrona di casa apparecchierà su di un tavolo di dimensioni adeguate al numero
dei convitati giacché sono parimenti sconvenienti sia un tavolo troppo grande
che uno troppo piccolo, così che si evitino tra un commensale e un altro sia
l'eccessiva distanza che una distanza eccessivamente vicina (diciamo che la
misura di separazione ideale sta sui 35/40 centimetri).
Utilizzate
una tovaglia chiara o meglio ancora bianca, pregiata o comunque fine (a questo
scopo particolarmente si raccomanda il lino di Fiandra), che dovrà apparire
perfettamente stirata (ci sono dei particolari ferri da stiro che consentono di
stirarla quando essa è apparecchiata sul tavolo) e dovrà pendere sulle gambe
dei convitati per non più di 40 centimetri. Conviene sottoporre alla tovaglia
un panno di mollettone bianco sia allo scopo di preservare il legno del tavolo
e sia per poterle dare, sopra, una passata di ferro.
I
tovaglioli dovranno essere assolutamente coerenti con la tovaglia e non devono
apparecchiarsi aperti a ventaglio sopra il bicchiere più grande come qualche
ristoratore particolarmente fantasioso ha preso a fare. Ovviamente non vanno
messi neppure dentro i portatovagliolo giacché i portatovagliolo si usano
quando il tovagliolo viene utilizzato più volte e ovviamente questa è una
situazione che non può ricorrere in un pranzo formale.
La
padrona di casa, che come raccomandava monsignor Della Casa dovrà sedersi a
tavola “fresca come una rosa", terrà accanto al tavolo da pranzo un
carrello o una idonea base di supporto dove disporrà (perfettamente impilati) i
piatti di ricambio, bene ordinate le posate di scorta e quegli articoli o
generi di consumo che si porranno sulla tavola solo nel momento giusto e per il
Tempo d'uso, quali per esempio la frutta, il dessert, la formaggiera, le
bottiglie di vino di scorta (in dei cestelli con ghiaccio quelle di bianco),
quelle dell'olio e dell'aceto. Le bottiglie vuote andranno via via allontanate.
L'accorta
signora avrà cura di assegnare i posti alternando convenientemente le dame e i
cavalieri in ragione dell'età, del rango, dei comuni interessi, e, senza darlo
ad intendere, delle possibilità di intese.
Illeggiadrirà
la tavola con dei fiori (sempre colori sobri, meglio se chiari, mai fiori di
campo in un pranzo formale) che porrà su uno o più portafiori di cristallo o
d'argento. Se il tavolo non è troppo lungo li porrà nel suo giusto mezzo, se è
troppo lungo ne metterà due. Se lo preferisce potrà sostituire i fiori con dei
candelabri d'argento. Gli uni e gli altri dovranno essere sempre proporzionati
alle dimensioni del tavolo e dovrà evitarsi che l'altezza dei fiori occluda ai
commensali la vista di chi gli sta davanti o che la fiamma delle candele li
abbacini.
Andiamo
adesso ai piatti. Sulla tovaglia dinanzi ad ognuno dei posti assegnati dovrà
porsi un ampio sottopiatto che mai verrà tolto o utilizzato. Non è necessario
che sia del tipo dei piatti d'uso, può anche essere di cristallo o d'argento o
anche d'acciaio, l'importante - ripeto - è che non venga mai tolto. Sopra di
esso si porranno via via i piatti di portata. A
questo riguardo ricordatevi che la pasta asciutta la si serve sui piatti piani
(cioè non concavi, non fondi, i quali invece andranno utilizzati per le
minestre, mentre per i consommè andranno meglio le tazze). Non utilizzate mai
lo stesso piatto per due portate, e non costringete mai il convitato ad usare
la stessa posata per due portate.
La
padrona di casa esperta imbandirà la tavola ponendo in ogni posto l'esatto
numero di posate e di bicchieri che dovranno essere utilizzati dall'inizio alla
fine del pranzo, porne di meno è sbagliato così come porne di più. Non
azzardatevi a mettere gli stuzzicadenti né a tavola e nemmeno sul carrello o
supporto di servizio. Stuzzicadenti è una parola che nel dizionario dei pranzi
formali non esiste e questo vale anche per i convitati così che se vi è proprio
necessario sgravarvi un dente da una sfilacciatura di carne o di verdura
chiedete discretamente d'andare in bagno.
Se
vorrete porre l'acqua minerale in delle caraffe (ma non in caraffe da due litri
ché per sollevarle ci vorranno i muscoli di Ercole) utilizzate solo acqua del
tipo liscio; se invece vorrete mettere a tavola sia l'acqua liscia che quella
gasata lasciate i due tipi nelle loro bottiglie originali (ma di vetro, mai di
plastica). Se il vino è di buona qualità lo lascerete nelle bottiglie
originali, se si tratta di un vino comune (il che in un pranzo informale è
proprio da evitare) lo porrete in delle caraffe più piccole di quelle
dell'acqua.
Andiamo
adesso alla difficile questione della disposizione delle posate intorno al
piatto, questione difficile perché ancora non si è riusciti a definire delle
norme che facciano dottrina. Ma una regola fondamentale c'è, ed è questa.
Vanno
poste a sinistra del piatto le posate che vanno usate con la mano sinistra (in
genere le forchette) e a destra le posate che vanno usate con la mano destra
(in genere i coltelli, e, se c'è, il cucchiaio); cucchiai in tavola non se ne
mettono, a meno che non debba servirsi della minestra. In caso contrario vanno
tenuti, perché qualche commensale poco avvertito potrebbe chiederne uno, nel
carrello o nel supporto di servizio. Le forchette e i coltelli (che come
abbiamo detto dovranno essere di numero pari all'occorrenza) vanno allineati
l'uno accanto all'altro in rigoroso ordine di prelazione. Così che a destra del
piatto, da più vicino a più lontano, si porranno la forchetta per la pasta
asciutta (che quindi va a destra), il coltello per la carne, il coltello per il
pesce e la forchettina per la verdura. A sinistra del
piatto, nello stesso senso centrifugo, si porranno la forchetta per la carne,
quella per il pesce e così via eventuali altre o altra. I coltelli vanno
allineati con la lama rivolta verso l'interno.
In alto,
dietro al piatto, si porranno le posate (più piccole) per l'antipasto, per la
frutta e per il dessert o il gelato; essi vanno disposti nel verso col quale si
prendono in mano. I bicchieri vanno posti alla destra del piatto (alla destra
perché vanno presi con la mano destra), in posizione più arretrata, uno a
fianco dell'altro, dal più grande al più piccolo: primo quello per acqua, poi
quello per il vino rosso, quindi quello per il vino bianco e dietro a tutti (ma
solo se è previsto lo champagne o lo spumante) la 'flute', oppure la coppa se
lo spumante è del tipo dolce. Se la 'flute' viene utilizzata con l'aperitivo o
l'antipasto dovrà essere subito portata via e quindi si conchiuderà il pranzo
col liquore (in genere un amaro, raramente il brandy che eventualmente si andrà
a prendere in un'altra sala), per cui al posto della “flute” si porrà il
classico bicchierino da liquore; gli altri bicchieri resteranno a tavola tutto
il Tempo.
Dal lato
opposto a quello dove avrete sistemato i bicchieri porrete il piattino con del
pane già affettato e qualche grissino (il pane va sbriciolato delicatamente con
le mani nell'apposito piattino e portato in bocca con la forchetta, giammai con
il coltello che fa tanto “Cumpari Turiddu”) e la
tazza con l'insalata non condita, che ciascuno si condirà come meglio gli attalenta.
La
saliera, la pepiera (con il pepe nero; le altre varietà di pepe li si terrà nel
carrello di servizio), la formaggiera, il cavalletto dove poggiare Temporaneamente
il coltello allo scopo di non sporcare la tovaglia, e la ciotola per bagnarsi
(bagnarsi, non lavarsi) le dita compongono il così detto ménage. Ogni
commensale dovrà averne uno, tuttavia se la padrona di casa non disponesse di
un numero sufficiente di contenitori di cristallo (per il sale, per il pepe e
per il formaggio) potrà ricorrere alle saliere e alle formaggiere classiche,
avendo cura però di porne una coppia ogni due commensali (le ciotole con
l'acqua dove bagnarsi le dita invece, come si comprenderà, sono strettamente
personali). La formaggiera dopo la portata che ne ha richiesto l'uso va
(purtroppo – ma esclamazione di personale disappunto attiene esclus) allontanata dalla tavola; dopo l'insalata andranno
allontanati sia il sale che il pepe; la ciotola lavadita e il cavalletto poggia
coltello invece vanno tenuti per tutta la durata del pranzo.
Crediamo
d'avervi riferito le cose fondamentali che ieri sera sono uscite dalla bocca
della leggiadra relatrice.
Qualche
altra raccomandazione ancora a proposito della “mise en place”:
Sotto le
bottiglie vanno messi sempre dei sottobottiglia (i ristoratori li chiamano
coprimacchia); si chiude sempre con il dessert o con il gelato, non con la
frutta; l'antipasto va servito solo a pranzo, mai a cena.
Adesso vi
offro qualche piccola curiosità di natura tautologica sul galateo. "Il
galateo" è un trattato di buona creanza composto dall'ecclesiastico Giovanni
Della Casa (Firenze 1503, Roma 1553) dietro richiesta di Galeazzo Florimonte vescovo di Sessa, cui il Della Casa lo dedicò
nel 1553. E fin qui non c'è niente di straordinario, monsignor Giovanni prima
di prendere i voti era stato un fervido gaudente ed era uso alle migliori
pratiche di mondo; curiosa è piuttosto l'etimologia del termine. Difatti
galateo nella sintassi latina del Tempo voleva dire Galeazzeo,
nel senso di 'dedicato a Galeazzo' e non credo che se
stasera la dottoressa Oliveri non ce lo avesse detto
molti lo avrebbero supposto. Chi volesse leggere l'opera del Della Casa e non
volesse recarsi in libreria o in biblioteca può scaricarsela dal sito della “Liberliber.it” ove la si trova per intero. Per quel che mi
riguarda e il poco che posso dire io trovo insuperabili i consigli di donna Colette
Rosselli (donna Letizia) e soprattutto estremamente
gradevole il modo con cui li porge, anche se troppo di frequente li dimentico.
Monsignor
Della Casa soleva dire che il vero signore si riconosce a tavola e questo
veramente me lo dice (sempre) anche mia moglie. Ma ce ne avvedremo il prossimo
7 marzo quando la diafana dottoressa Oliveri scenderà
in campo col cipiglio d'una Brandimarte per
redarguirci sul come si sta a tavola e si mangia. Temo che divertiremo meno di
stasera perché come disse Elias Canetti "Ognuno
per smettere di mangiare dovrebbe vedersi mentre mangia".
Il timore
di perdere i pochi lettori che tenacemente mi seguono mi induce a tenere in
ombra, almeno stasera, ché già troppo mi sono dilungato, le performances
dell'inesauribile ingegnere Bonsangue il quale in
avvio ci ha intrattenuti, proiettandocene un interessantissimo filmato, sul
prosciutto di Parma e dopo ci ha doppiamente deliziati facendocene gustare la
squisita dolcezza.
Lezione
di pasticceria, intervento tecnico
Mia
sorella Marilidia che se aprisse un ristorante
farebbe chiudere tutti gli altri, mia sorella Marilidia
che Gianfranco Vissani e Nadia Santini ambirebbero di
servire ai suoi tavoli, mia sorella Marilidia che
muove il mestolo con la stessa grazia con la quale la divina Yo-Yo-Ma muove l'archetto(*) (l’altra invece, la più
piccola – Fatimina - è versatissima
nel campo dello spadellamento e delle farciture (torte
salate e intingoli d’ogni genere) mi ha chiesto - non capisco perché - le
ricette di pasticceria. Ed io per accontentarla le ho chieste alla cortesissima
signora Macaluso che siede nel banco dinanzi al mio. Vengo
a trascriverle una ad una, per sua
gentile concessione.
Pan di Spagna:
Ingredienti: n. 7 uova; 250 grammi di zucchero; 200 grammi di amido di mais.
lavorazione: preparare una teglia imburrata; dividere i tuorli dagli albumi;
montare gli albumi a neve aggiungendo durante lo sbattimento 2 o 3 gocce di
limone; amalgamare lo zucchero e i tuorli e aggiungerli all'album montato a
neve; aggiungere l'amido e girare delicatamente (non frullare); mettere tutto
dentro la teglia e infornare a 180° per 20 o 25 minuti.
Sfingi
all'uovo (dolce tipico siciliano) - Ingredienti: 1 lt.
d'acqua; 100 grammi di burro o strutto; 1 kg. di farina 00; n. 28 uova; 300 grammi
di farina 00; 20 grammi di bicarbonato. Lavorazione: fate bollire l'acqua con
lo strutto; quando bolle aggiungete la farina; quando si amalgamano scendeteli
dal fuoco e aggiungete ad uno ad uno le 28 uova e il bicarbonato; quando
arrivate al 20° uovo aggiungete 300 grammi di farina 00 e quindi riprendete ad
aggiungere le altre 8 uova: non fare riposare l'impasto ma friggetelo oppure
infornatelo sulla carta da forno (bignè).
Sfinci
tradizionali - Ingredienti: 900 grammi di farina rimacinata;
100 grammi di farina 00; 100 grammi di zucchero; 100 grammi di strutto (o burro
o olio di semi); n. 2 uova; 50 grammi di lievito di birra; 1 lt. di acqua tiepida; 1 pizzico di sale. Lavorazione: più o
meno come sopra.
Rollò
(dolce tipico nisseno) - Ingredienti per 3 fogli di
40 x 60 cm. di pan di Spagna: 1 kg. di uova (n. 13 o 14); 5 gocce di limone;
200 grammi di zucchero; 250 grammi di farina 00 o di amido di mais; 50 grammi
di mandorle in polvere (abbrustolite e tritate con la pelle); 50 grammi di
cacao amaro e 25 grammi di miele. Lavorazione: separare i tuorli e gli albumi
delle uova; montare gli albumi a neve unendovi le 5 gocce di limone; aggiungere
lo zucchero ai tuorli e unire agli albumi; amalgamare delicatamente il tutto
con la farina, le mandorle in polvere e il cacao; stendere l'impasto sulla
carta da forno; cuocere a 220° per 8 minuti. Ingredienti per la farcitura di un
foglio di 40 x 60 cm. di pan di Spagna: 350 grammi di zucchero; 1 kg. di
ricotta di pecora. Lavorazione: si tiene la ricotta a scolare; vi si aggiunge
lo zucchero; si amalgama il tutto e lo si tiene a riposare per una notte; la
mattina dopo lo si passa con il passapomodoro; lo si
spalma sul foglio di pan di Spagna e lo si arrotola con la carta da forno; lo
si lascia riposare per 6 ore; si copre il rotolo con la ricotta, con scaglie di
cioccolato e tritato di pistacchi; si taglia a fette e si serve.
Torta Savoia
(dolce tipico nisseno) - Ingredienti per 4: fogli di
40 x 60 cm. di pan di Spagna: 1 kg. di uova intere; 400 grammi di zucchero; 900
grammi di farina 00; 25 grammi di miele. Lavorazione: impastare come descritto
per i rollò; tenere sotto pressa per 5 ore; coprire con cioccolato fondente. Ripieno:
cioccolato di Gianduja o Nutella;
zucchero a velo.
Dolcetti Savoja (dolce tipico nisseno, (la
pasticceria secca che più mi piace) - Ingredienti per la pasta frolla di base:
1 kg. di farina 00; 450 grammi di burro o di margarina; 300 grammi di zucchero;
4 uova intere; 25 grammi di miele; 1 busta di vanillina; aromi preferiti
(arancia, cacao, vermouth, amaro o altro). Lavorazione: amalgamare burro e
zucchero; aggiungere le uova intere, la farina, il miele e gli aromi; impastare
la pasta e farla riposare avvolta nella pellicola trasparente per 1 ora in
frigo. Se la aromatizzate con il cacao aggiungete un po' d'acqua; spianate la
pasta con il mattarello (tenete conto che in forno il
volume della pasta aumenta di un quarto); tenere in forno a 190° per 20 minuti;
tagliate dopo che si è raffreddato.
Crostata Savoja (dolce tipico nisseno). Esattamente
come per i dolcetti Savoja, con la sola differenza
che dopo che la si è uscita dal forno le si spennella la superficie con un uovo
intero sbattuto.
Torta Gianduja: Ingredienti: 1 kg. di mandorle sgusciate, tostate
e tritate; 300 grammi di zucchero; 400 grammi di cioccolato fondente. Lavorazione:
mischiare le mandorle con lo zucchero e tritare ripetutamente, quindi
aggiungere il cioccolato sciolto e fare raffreddare.
Biscotti Umberto
(dolce tipico nisseno) - Ingredienti: 1 kg. di farina
00; 300 grammi di zucchero; 200 grammi di burro o strutto; 15 grammi di
ammoniaca; 125 grammi di acqua; 3 uova; 1 busta di vanillina. lavorazione: impastare
come si fa con la pasta frolla base; tenere in forno a 190° per 20 minuti.
Raffiolini (dolce tipico nisseno) - Ingredienti: 1 kg.
di uova (n. 13 o 14); 400 grammi di zucchero; 600 grammi di farina 00. Lavorazione:
dopo avere sistemato l'impasto a strisce sulla carta forno spolverare con
zucchero semolato e a velo. Tenete in forno a 180° per 15 minuti.
Brioches
- Ingredienti: kg. 1 di farina 00; 100 grammi di zucchero; 100 grammi di
strutto; 25 grammi di sale; 50 grammi di lievito di birra; 450 di metà acqua e
metà latte. Come si lavorano non ci è stato detto.
Pasta
fresca all'uovo ripiena - Ingredienti: 400 grammi di farina 00; 3 uova intere;
1 tuorlo; 2 cucchiaini di acqua; 2 cucchiaini di olio; mezzo cucchiaino di
sale.
Pasta
fresca all'uovo non ripiena - Ingredienti: 400 grammi di farina 00; 4 uova
intere; un pizzico di sale.
Pasta
semplice - Ingredienti: 400 grammi di farina; 200 grammi di acqua; un pizzico
di sale.
Pasta
colorata - Ingredienti: 400 grammi di farina; 3 uova intere; 1 tuorlo; 100 grammi
di spinaci o di bietole.
Care sorelle,
vogliatemi sempre bene.
(*)
giovane cinese virtuosa di violino.
21
febbraio 2003, nona lezione: seconda di scienze dell'alimentazione.
Non
potevo non farlo né volevo celarlo, ma tanto vale che prima d'iniziare lo
dichiari apertamente: stasera ho fatto l'amico del giaguaro. Il mio cuore ha
battuto all'unisono con quello del reprobo, ha parteggiato per lui, lo ha
difeso e ripetute volte ha fatto finta di non sentire tutto il giusto, il vero
e il buono che il pubblico ministero come dardi fiammeggianti impietosamente
gli scagliava addosso. Alla fine ho votato per un verdetto di non colpevolezza,
rimandandolo ...in cucina. Perché stasera come un treno lanciato a 200 km.
all'ora e la rotonda porta d'ingresso di una galleria si sono scontrati
l'acuminata scienza della dottoressa Paruzzo e tutti
interi i 115 chili del nostro imponente e impenitente direttore.
Lugubri
rintocchi sono usciti stasera dalla graziosa bocca della signora Mariella “slim line” Paruzzo nelle lunghe
due ore che ella ha dedicato al sovrappeso. Non c'era
una parola sbagliata nelle moltissime che ella con passione, convinzione e
persuasione ha speso per farci deporre il coltello e la forchetta.
Mi ha
stretto il cuore vedere in questa sorta di Termidoro al cetriolo e allo
sfilatino di crusca il povero ingegnere Bonsangue
dover confessare come un reo la sua insana passione per la pasta alla
carbonara, dover ammettere i suoi molteplici adulteri con tutti i companatici
di questo mondo, dover dichiarare le sue notturne fughe con dolci e paste e
infine dover dichiarare di non alzarsi mai da tavola se non quando
abbondantemente sazio. Così che alla fine egli ha dovuto offrire le sue opime
rotondità allo staffile della carnefice ed è stato trattato senza pietà, tanto
che poveraccio sembrava Cristo alla colonna (fatta salva la non irrilevante
circostanza che il vero Cristo era solo pelle ed ossa). Sia chiaro, lo meritava:
i suoi 118 centimetri di giro vita lo condannano senza appello, ma io ho
parteggiato per lui ammirandone il coraggio. Egli porta i suoi pesi e le sue
circonferenze assai giocosamente, senza quei maledetti sensi di colpa che ci
uccidono più che i trigliceridi e i radicali liberi
(maledetto Marco Pannella, perché una volta per tutte
non si decidono a metterlo dentro e così finiamo di soffrire…?!).
Dicevo
che non c'era una parola sbagliata nelle moltissime che la agguerritissima
relatrice ha appassionatamente speso per fargli e farci deporre il coltello e
la forchetta. Ha cominciato definendo l'obesità la malattia del XXI secolo e
cantandoci chiaro che se abbiamo un giro vita superiore ai 102 centimetri (88
le donne) il becchino sta certamente per bussare alla nostra porta, giacché
l'impotenza sessuale, l'ipertensione, le malattie cardiovascolari, il diabete e
il tumore al colon ci appartengono come le pulci al cane.
Siamo
obesi, non giriamoci attorno con le parole. Ma perché ingrassiamo? Ingrassiamo
perché mangiamo male, ingrassiamo perché mangiamo troppo, ingrassiamo perché
ogni giorno introitiamo più calorie di quelle che bruciamo e ingrassiamo perché
mangiamo troppo formaggio, poiché il formaggio - Mariella, cuore di pietra,
nessuno glie lo ha detto che il mondo si divide in tre grandi categorie e cioè
in formaggiai, in salumai e in poveri di spirito? - è il più formidabile amico
di chi vuole ingrassare e il più spietato nemico di chi vorrebbe dimagrire.
- "Spiegami
una cosa, Mariella" - con voce melliflua ad un certo punto le ha fatto
l'ingegnere Bonsangue che, desideroso di vendicarsi,
evidentemente la aspettava al passo - "Dammi per favore una spiegazione,
visto che tutte le volte che abbiamo mangiato insieme la mia curiosità anziché
diminuire è invece aumentata: “Come mai, Mariella, tu che mangi come un lupo,
ti mantieni sempre così magra?!!" -.
La Robespierre
dei fornelli incassò con classe non cadendo nell'errore di negare: - "Stavo
appunto per dirlo - gli rispose col migliore dei suoi sorrisi - si ingrassa o
non si ingrassa anche per ragioni ereditarie" -.
Al che da
molte bocche distintamente si è sentito uscire e toccare il soffitto un grosso,
liberatorio e calvinistico sospiro di sollievo. -
"Allora perché affannarsi a cercare la grazia se siamo tutti
predestinati,!!" - Una buona metà di noi s'è detto - "”Non saremo mai
come vorremmo essere per colpa dei nostri genitori e dei nostri zii!!".
Fermo
restando che la mia solidarietà al fratello grasso era soprattutto solidarietà
verso me stesso, vi dico amici che non sempre è così; non cerchiamo comode
scappatoie. Cominciare a dimagrire è meno difficile di quanto non si pensi. Il
difficile è cominciare, ché poi lo stomaco come ogni altro muscolo si abitua, e
meno mangeremo e meno vorremo mangiare, e se ci pensate anche nelle pratiche
sessuali e in quelle intellettive succede la stessa cosa. Provateci senza
esagerare, non dovete esagerare ma neanche privarvi troppo ("Et surtout, pas
de zèle…!", raccomandava il principe di Talleyrand ai suoi ministri), provate pure a raffrenarvi un
po', ma non perdete mai il piacere del palato.
Diete per
perdere peso ne esistono millanta che tutta notte canta, e sono tutte buone a
far deperire il nostro portafogli e a fare ingrassare dietologi e farmacisti. Tutte
promettono di più di quel che mantengono, nessuna fa miracoli, qualcuna può fare
del male.
Tra le
troppe diete che quotidianamente ci frustano la coscienza - dieta a punti,
dieta dissociata, dieta monocibo, dieta Scarsdale, dieta Beverly hills,
dieta Mayo, dieta con pasti sostitutivi, e non poteva
mancare neanche una dieta così detta computerizzata. La agguerritissima
relatrice che ce le ha descritte tutte ha salvato solo quella mediterranea,
"perché - ci ha spiegato - è statisticamente dimostrato che noi del sud
viviamo meglio e più a lungo degli svedesi, dei finlandesi e degli inglesi e,
se guardiamo bene, anche dei torinesi e dei milanesi". Giusto,
giustissimo, anzi perfetto: nessuno mette in dubbio l'efficacia terapeutica
dell'olio d'oliva e del fangotto di fave. Ma non se
l'è mai chiesto la “slim line” dottoressa Paruzzo se tra i motivi della longevità di noi mediterranei
non vi sia anche quello che lavoriamo poco e quel poco che facciamo comunque
venga ci va bene lo stesso?
Mangiamo
fratelli, mangiamo con gusto, mangiamo con gioia, con curiosità, con
competenza, mangiamo fino a quando i sensi di colpa non prendono il posto della
soddisfazione. Mangiamo con piacere, concediamo al palato l'estasi dei sapori,
perché quando chiuderemo gli occhi per sempre chiuderemo purtroppo per sempre
anche la bocca, perché sono meglio cinquant'anni con
un appetito da leoni piuttosto che cento a bere latte di pecora.
"Nessun
amore è sincero quanto quello per il cibo" diceva Joseph
Conrad e intanto anche noi grassoni finalmente
abbiamo la nostra giornata di festa. Ci hanno pensato gli americani che hanno
battezzato il 6 maggio 'International not diet day'
e non occorre essere degli aruspici o dei sociologi per persuadersi che consumisticamente parlando essa diventerà una giornata
d'oro, più che il 14 febbraio per gli innamorati o il 21 giugno per i finocchi
e le lesbiche.
Chissà
che per quella data nel vulcanico cervello dell'ingegnere Bonsangue
non fermenti l'idea di organizzare una memorabile agape. Faremmo della bella e
geneticamente protetta signora Mariella la nostra graziosa mascotte e con la medesima
ingaggeremo un certame a chi mangia di più e finisce prima.
Domenica
23 febbraio 2003: visita guidata alla cantina "Raggio di sole".
Il nostro
provvido ingegnere ci ha provvidenzialmente provveduti di una bella giornata di
sole, dopo tanta uggia. Tutto si è svolto secondo i programmi e anche la
cantina mi ha fatto una bella impressione, anche se il mio giudizio è quello di
uno che prima di oggi non ne aveva vista una. Tutto mi è parso pulito,
ordinato, bello e giusto e molto m'ha impressionato il fatto che ogni anno, a
parte lo sfuso, vendono 500 mila bottiglie (figuratevi che del giustamente
celebre Brunello di Montalcino se ne vendono 'appena'
4 milioni, e converrete che paragonare i vini della 'Raggio di sole' al Brunello di Montalcino è
come paragonare il regno di Pergamo all'Impero romano). Ho provato il loro
prodotto di punta, un rosso fatto con uve nere di Avola
che chiamano Symposio(*) che più che un vino m'è
parso un vinello (**). Ci ha guidati nella visita, illustrandoci il ciclo di produzione
e dei bianchi e dei rossi l'enologo della cantina. Che a me in forza della mia
tenace passione per le teorie di Lombroso (anche se
mi corre l'obbligo di rappresentarvi che non una sola parola che fosse in
qualcun modo censurabile gli è mai uscita di bocca) è parso essere un
lestofante nel senso più preciso del termine. Non me ne voglia chi può
giudicare meglio di me e non crede che l'abito faccia il monaco, ma a me il suo
losco sembiante e la levantina destrezza con la quale ci imboniva hanno prepotentemente
richiamato alla memoria il cinese che nel “Cacciatore” di Michael
Cimino nella Saigon in fiamme teneva il banco dell'ultima roulette.
Ma sia
come sia, non è questa la cosa di maggiore importanza. Quanto quella che anche
questa mattina mi è stato dato modo di constatare quanto sia piccolo il mondo. E’
successo che ho avuto il piacere di scoprire che la relatrice di gastronomia,
la relatrice di scienza dell'alimentazione e la relatrice di galateo sono
sposate a tre miei amici.
(*) Nell'incontro
successivo l'ingegnere ci dirà che migliore del Symposio
è il Rosso di noce che a chi lo prendeva glielo davano a 15 euro la bottiglia;
il nostro insigne degustatore non ha trovato il prezzo eccessivo, perché - così
ci ha detto - oggi come oggi se una bottiglia costa meno di 10 euro non può
essere vero vino.
Sentendogli
dire questo mi è prepotentemente venuta in mente la battuta di Claudio Bisio
quando a proposito di reggiseni dice che “Sotto la
quarta misura non può essere vero amore!”.
(**)
chiarisco che per vinello io intendo un vino poco strutturato.
Martedì
25 febbraio 2003, decima lezione: terza di enologia.
Non c'è
lezione che se spiegata bene possa non appassionare chi l'ascolta, così come
non c'è materia - come pendendo come tutti dalle labbra dell'ingegnere Bonsague stasera mestamente consideravo - che possa
apprendersi senza una dura e durevole fatica di studio. Il nostro appassionato
direttore sulla viticultura, nelle avare due ore
nelle quali ha potuto trattenerci (se avesse potuto ci avrebbe tenuti fino a
tarda notte, e, se avessimo potuto risolvere convenientemente il problema della
cena, magari oltre) ci ha versato addosso una cumulo di nozioni, informazioni e
spiegazioni che scivolando come acqua sul marmo della mia ignoranza (in vita mia
purtroppo mai ho guardato una foglia da vicino) mi ha lasciato il vivo
rammarico di non saperne di più. Anche se questo vale per tutte le cose che non
si conoscono, mi è venuto di ammirarlo ancora di più quest'uomo
così debordante e passionale che nella vita civile compie ben altro lavoro e che
il poco Tempo che gli rimane impetuosamente lo riversa sull'enologia (iniziò ad
occuparsene per diletto nel lontano 1973, lo stesso anno nel quale io iniziai a
occuparmi del mio, e mi piace pensare che anche lui come me lo abbia fatto con
le prime entrate), dove è diventato uno dei più ascoltati punti di riferimento.
I
notevoli appunti che ho preso ve li risparmio, miei buoni lettori. Ne ho che ho
riempito tre pagine di taccuino; se volete sapere della Vitis
vinifera sativa, dell'Euvitis e della Vitis muscardinia, della Marza,
della Barbatella e dell'Ampelografia scrivetemi ed io
ve li manderò. Tenete però conto che quel che vi direi non vi darebbe l'impeto,
la passione, il brio, la fantasia di cui è capace l'ingegnere Bonsague, né i litri di sudore che egli ha versato.
Venerdì
28 febbraio 2003, undicesima lezione: terza di gastronomia.
la
signora Silvana Natale è una donna straordinaria, oltre che ottima cuoca. Io
sono ammirato di queste quattro ossa di donna che col più lieto dei sorrisi,
celermente facendo, gentilmente spiegando, fa dello stare in cucina una
condizione quasi subliminale, dilettando della sua provvidenza non solo i
destinatari (il che è mestiere dei cuochi), ma anche se stessa (il prodigio sta
qui, perché la corvée se non stanca di sicuro spoetizza). Nel far cucina c'è
chi ci mette cervello (pochi in verità) e c'è chi il cuore (non moltissimi). La
signora Silvana ce li mette tutti e due, arricchendoli con il migliore dei
condimenti: la fantasia, la benedetta fantasia! (così fa pure la mia diletta
figliola lontana, la quale ci mette pure il fegato, nel senso che è una grande
sperimentatrice di cose nuove). Stasera, trattando delle ricette con carni, la
professoressa Natale ci ha parlato delle scaloppine, degli involtini e
dell'arte alquanto mascolina di disossare il pollo (complicata faccenda che
l'abbiamo vista liquidare in appena dieci minuti).
A vostra
richiesta vi invierò in dettaglio - lettori miei affezionatissimi che non mi
avete perdonato il “salto” di martedì scorso - le ricette delle scaloppine e
degli involtini, mentre fin da ora vi dico che nulla posso fare per lo
svuotamento del pollo giacché non toccherei un pollo nemmeno se indossassi i
guantoni da pugile.
Però il
di più e il meglio dovrete mettercelo voi, cari miei lettori, ed io so che ne
avete la capacità. Perché di per sé la ricetta è come lo spartito sul leggio
del musicante, solo segni su carta (cacche di mosca sul pentagramma diceva Mozart), e sta all'esecutore darvi senso e forza, calore e
colore.
Seguitemi
che cercherò di spiegarmi parlandovi degli involtini.
Fatevi
dare dal vostro macellaio una larga fetta di fesa tagliata sottile; abbiate
l'accortezza - ci ha suggerito la professoressa - di batterla finemente, al
fine di snervarla, con l'apposito martelletto dentato; ricavatene
tante sezioni di 8 cm. per 11 quante sono le porzioni che vorrete preparare. Ungetene
un solo lato con dell'olio extravergine d'oliva e intingete riccamente quel
lato, come se fosse una cotoletta, in del pangrattato precedentemente condito
con sale, peperoncino, prezzemolo e parmigiano. Distendetela sul piano di
lavoro e sulla parte interna, quella asciutta, deponete, lunga per tutta la sua
lunghezza, una fetta di speck (ma c'è chi ci mette il prosciutto crudo, chi il
cotto, chi delle strisce di mozzarella; addirittura uno dei corsisti ci diceva
che ci mette una fettina di melanzana fritta). Aggiungete un po' di prezzemolo,
un po' di sale (un po' di più, se ci avete messo la mozzarella, un po' di meno
o niente se avete scelto il prosciutto o lo speck), al centro ponete un dito di
mozzarella, arrotolate e chiudete (non c'è bisogno di legare; il pangrattato fa
da adesivo, come succede con le chiusure velcro).
Per tutto
il Tempo della lezione le gustosissime chiose verbali dell'ingegnere Bonsangue (ai lati della bocca del quale visibili colavano
dei rivoli d'acquolina) hanno fatto da costante contrappunto alle parole della
professoressa Natale. L'ingegnere ci confessato di utilizzare sia la mozzarella
che lo speck non sapendosi risolvere su quale dei due preferire, e nel mezzo o
un bel cetriolino o un tocco di provola affumicata. -
"Vincenzo ci va giù pesante con i sapori" - non ha potuto frenarsi
dal dire la brava donna, essendo che Vincenzo con la sua ingordigia le guastava
le misure.
Le
variazioni del nostro bulimico direttore attengono ad
una sorta di kamasutra gastronomico non misurabile col metro della
professoressa Natale la quale fa dell'equilibrio tra i sapori la sua regola e
della continenza la sua misura (ma mangiar poco non vuol dire mangiar male,
ella sostiene).
Sistemate
in una teglia gli involtini e tra un involtino e l'altro interponete una foglia
di alloro o della salvia fresca ("professoressa, si mangiano pure
quelle?"). Cuocete al grill (invece quasi tutti
cuociono al forno) a 200 gradi fino a che la carne non apparirà ben rosolata,
rigirate gli involtini e completate la rosolatura. Annaffiate con un po' di
vino bianco, fate evaporare e serviteli ben caldi. Contorni consigliati:
piselli e speck, piselli e carote, purè di patate. Oppure insalata verde se
siete convalescenti).
Alla fine
come di consueto sia le scaloppine che l'involtino ci sono stati apparecchiati.
La scaloppina, che lussureggiava di peperoni verdi, gialli e rossi, di ambrata
cipollina tritata nell'olio d'oliva, di petali di roseo prosciutto e di ciuffi
di prezzemolo, era soave. Ma l'ho gustata stando - parlo per me che per le
carni non stravedo - tra terra e cielo. Chi invece m'ha portato al settimo
cielo (quali forme di sublime orgasmo procura talvolta la cucina!) sono stati
gli involtini (anzi l'involtino, ché solo uno a testa purtroppo ce ne hanno
dato - e per giunta a me ne è capitato uno assai piccolo) che, avendo
soggezione della mia raffinatissima vicina di banco ché moglie di notaio è…!, ho
voluto ridurre con la forchetta e il coltello prima di portarlo alla bocca e
senza quasi masticarlo ingoiarlo. Quasi tostato, morbido e croccante nello
stesso Tempo, conTemporaneamente dolce e salato, era un boccone che avrebbe potuto
far resuscitare un morto o far morire un vivo.
Mia
sorella Marilidia - che nel campo della buona cucina
si muove come Agramante nel campo dei cristiani -
m'ha raccontato che dei siffatti croccantini era
molto goloso mio nonno Pietro, nei primi anni del secolo scorso.
Puntuale
l'ingegnere Bonsague, cui fa buon sangue non solo il
buon vino ma anche ogni tipo di intingolo e leccornia, ha onorato i manufatti
della professoressa Natale (e il suo stesso palato) con un “primitivo” (così si
chiama) di Puglia, un rosso del 2000 assai franco, decisamente molto
equilibrato e poco tannico. Quel che ci voleva sulla scaloppina e su quel
delizioso involtino.
Ci è
stata data anche la settima delle dodici dispense che ci spettano. Essa
contiene alcune ricette che fanno andare d'accordo il pesce e il formaggio
giacché molti sostengono (ed io con loro, ma sicuramente per carenza
d'informazione che per esperienza) che essi non son
fatti per stare insieme. Le ricette son queste; chi
ne volesse mi scriva che glie le mando:
Rotolini
di trota salmonata;
Involtini
di melanzane con pescatrice e vellutata di cozze;
Ravioli
di mare;
Cannelloni
di crostacei;
Riso
gratinato agli scampi;
Filetti
di passera dorati.
diciamo
poche, ma buone.
A fine
lezione una delle corsiste, la signora Burgio, ha
fatto passare tra i banchi una sontuosa guantiera di chiacchiere che aveva
preparato con le sue mani. Erano buonissime perché ancorché discente la signora
ha alle spalle ragguardevolissime esperienze di dolciera. Lo dico perché ci ha fatto vedere le foto di una
specie di torta-monumento che aveva preparato per la festa del secondo
compleanno della nipotina. Ci lavorò sette giorni filati come il padreterno
creatore, la povera donna, superando quel gran modello per bellezza e per bontà
di risultato. Servendosi d'una qualche diecina di chili di ricotta e
d'altrettanti di farina, di un centinaio di uova, di non so quanto zucchero, di
miele, di amido, di pasta di mandorle e di pistacchi, di fragola e di cannella,
di zenzero, di mostarda, di cacao e di cioccolato, di panna, di glassa e di
meringhe (la signora ci ha giurato che solo il becco della cicogna e sul tetto
l'antenna del televisore non erano commestibili) è riuscita ad edificare una
sorta di fattoria degli animali piena d'ogni specie, ricca di tutti i
particolari e così grande che la famosa casetta di Hans
e Gretel al confronto poteva farle da cuccia per il
cane.
Sbalorditi
in coro le abbiamo detto che non poteva esser vero, che si trattava certamente
di uno spudorato fotomontaggio, perfidamente ripetendole che se davvero voleva
che ci credessimo che ne rifacesse un'altra identica e ce la portasse. La
povera donna per poco non si metteva a piangere.
Martedì
sarà la volta di herr Micciché,
il maestro pasticciere. Oh santi numi, è già Quaresima?!
Voletemi
bene amici, e quando cucinate pensate alla fame nel mondo (cioè a me e
all'ingegnere Bonsangue).
Martedì 4
marzo 2003, dodicesima lezione: terza di pasticceria.
Almeno
per me che non so mischiare il caffè con lo zucchero, imparare a fare i dolci
seguendo la teoria è come se si pretendesse di fare il chirurgo senza avere mai
fatto un'autopsia. Scusate il macabro accostamento ma volevo solo dire che
stasera ho fatto una fatica bestiale a seguire il filo della lezione, e più
volte l'ho perduto. Vuoi perché herr Micciché si esprime con asciutta parsimonia e le parole a
volte bisogna strappargliele con la tenaglia, vuoi perché nel mentre che parla
di una cosa le continue domande della platea lo fanno sconfinare su tutte le
possibili varianti e così spesso andavo a confondermi, e vuoi perché ci sono,
nella cucina e specialmente nella pasticceria, tanti e tanti di quegli
accorgimenti, espedienti, trucchi e opzioni che solo provando e riprovando ci
si può familiarizzare.
Oggi si
argomentava della così detta crema pasticciera, crema base per molti usi e
specialmente per i bignè.
Vediamo
se riesco a ricavare dagli appunti un qualcosa di logico, le volte che non
saprò essere chiaro aggiustatevi voi.
Ecco le
istruzioni per fare un litro di crema pasticciera: prendete un litro di latte
intero e 350 grammi di zucchero e metteteli a bollire dentro a una pentola,
mentre in una terrina a parte mettete 150 grammi di amido di mais. Quando il
latte è appena tiepido prendetene 200 grammi (all'incirca un mestolo) e
versatelo dentro la terrina, ne ricaverete una pasta malmostosa.
Aggiungetevi tre tuorli d'uovo e la buccia di mezzo limone (non ne sono
sicurissimo, ma mi pare di avere capito che la buccia di limone si metta in
questo momento). Quando il latte con lo zucchero bolle buttategli dentro
l'impasto che avete messo dentro la terrina, nonché 25 grammi di sale, che
equivale ad un cucchiaino da tè. State attenti che se l'impasto della terrina è
freddo la crema poi farà i grumi. Rimettete il tutto sul fuoco (fuoco lento) e
mescolate a lungo, metodicamente. Se viene troppo denso ammorbidite aggiungendo
- ci ha detto il maestro - latte e zucchero oppure acqua e zucchero (latte e
zucchero se la crema la fate per voi, acqua e zucchero se la fate per venderla,
ma questa è una mia deduzione giacché il sor Micciché
si è guardato dallo specificarlo). Il sor maestro si è dimenticato anche di
dirci cosa si fa quando invece viene troppo molle, né io posso sostituirmi a
lui. Se volete, potrete aromatizzare la crema aggiungendovi delle paste deacidificate (in commercio ne esistono di diversi gusti)
oppure il cacao amaro se vorrete darle il gusto del cioccolato. Quando la crema
è della densità giusta scendetela dal fuoco e mettetela a raffreddare
naturalmente (non nel frigo). Le variazioni cui avevo accennato riguardano la
crema bavarese e la crema Chantilly. Per quest'ultima
non so dirvi di più del fatto che vi si aggiunge un altrettanto di panna;
invece per fare la crema bavarese, che se ho capito bene è il comune semifreddo
che vendono le gelaterie, occorrono un litro di panna montata, 250 grammi della
crema che abbiamo preparato e tre lastre di colla di pesce. Componete il tutto
sopra una base di pan di Spagna, infilate il prodotto finito nel congelatore e uscitelo quando sarà duro lo guarnirete, lo taglierete e lo
servirete, se volete glassarlo utilizzate il cioccolato bianco ma non
chiedetemi come si fa. Per fare la pasta dei bignè gli Ingredienti sono i
seguenti: 1 lt. d'acqua, 500 grammi di strutto, 800
grammi di farina 00, 25 uova (28 se piccoli). nella lavorazione vi regolerete
più meno come con gli sfinci (la ricetta degli sfinci ve l'ho data). Badate che il forno deve avere uno
spiraglio d'aria quindi non chiudetelo del tutto, oppure compratevi il forno
ventilato come ha fatto la professoressa Natale che ne è entusiasta.
Non oso
pensare, amici, a cosa vi ritroverete in mano se avrete seguito pedissequamente
le mie ricette. Vi assicuro però che i bignè del maestro erano buoni.
Quelli
farciti con la ricotta erano più insuperabili di Michael
Schumacher e del famoso tonno. Noi a tavola siamo
soldati che, come suol dirsi, non fanno prigionieri,
eppure di quelli farciti con la crema pasticciera, col bianco mangiare e col
cioccolato sul desco ne sono restati così tanti che alla fine ce li hanno dati
per portarceli a casa, mentre quelli con la ricotta son
durati lo spazio d'un sospiro.
Il nostro
coppiere ha accompagnato il dessert da par suo, scegliendo un vino raro,
ovviamente dolce (“col dolce ci va sempre il dolce”, ricordatevi il suo
iniziale ammonimento), pur se rosso. Si trattava dell'Aleatico del Salento, delle pregiate cantine di Leone de Castris, un gradevole vino che l'ingegnere ci ha descritto
con un trasporto di cuore e di accenti che pareva che ci stesse spiegando uno
dei grandi idilli del Leopardi.
A
proposito di vini c'è un corsista che fra tutti è l'unico che possa non dico
tenere testa all'ingegnere Bonsangue ma sostenerne
onorevolmente una conversazione. Si tratta del signor Milazzo che non so se di
professione faccia l'oste o il bon vivant. Avanti che iniziasse la lezione,
nella lenta attesa che l'aula si riempisse, ci ha spiegato alcune cose che
sconoscevo del tutto. Ve ne riporto le più curiose.
Le parole
alcol o distillato non sono affatto sinonimi, in quanto sono alcoli i liquori
(quali per esempio il Fernet Branca, l'Amaro Averna,
la Sambuca Molinari e il Cynar),
i quali si ottengono congiungendo mediante ebollizione alcol, zucchero e infusi
vari. Sono invece dei distillati il vino, la birra, la grappa, il cognac, il
brandy e il whisky che derivano dalla distillazione (separazione) di sostanze
volatili e non. Così come non sono affatto sinonimi whisky e whiskey (ci avevate mai pensato?). Il whisky è quello
autentico scozzese (il così detto scotch) mentre il whiskey
è il suo parente americano (che più correttamente chiameremo bourbon). Né lo
sono il Porto e il vino di Porto (che spesso andiamo a confonderli chiamandoli
entrambi Porto), i quali stanno l'uno all'altro come un pari d'Inghilterra sta
ad un minatore del Galles. Il primo, il Porto che tutti intendiamo e che da
almeno tre secoli corrobora le cinque giornaliere peristalsi dei ricchi inglesi
e ancora ne onora le mense, non è altro, all'incirca, che il nostro Marsala,
quel benedetto liquore che i Florio da buoni baroni siciliani ricchi d'albagia
e poveri di senso commerciale si fecero bellamente sfilare di tasca dai
mercanti inglesi, rimettendoci onore e ricchezze. L'altro, il vino di Porto è
un vinaccio di risulta che suscita le omeriche sbronze dei derelitti figli
della underclass albionica, quella dei marinai, dei
bricconi e dei minatori. Esso è figlio del caso e della intraprendenza inglese
giacché per non buttare in mare le eccedenze di vino che la lunghezza dei
viaggi quasi sempre guastava, una volta qualcuno lo raccolse, lo concentrò, ci
aggiunse dell'acqua e non so cos'altro e ne cavò un vinaccio che taglia sì le
budella ma che con lo stufato di montone cala a meraviglia. E ancora ancora lo sapevate che non ubriaca tanto la gradazione
alcolica di un vino o d'un liquore quanto la sua “persistenza”? Così che, per
farvi un esempio, essendo la persistenza alcolica della birra assai maggiore di
quella del vino (anche se di gran lunga inferiore è la sua alcolicità) succede
che chi si ubriaca di birra può rimanere ciucco anche
per una settimana intera, mentre chi si ubriaca col vino al massimo l'indomani
gli passa. Lo sapevate che le patate contengono alcol? Non ci credete? Provate
ad abbuffarvi di patatine fritte e di birra e vedrete che senza accorgervene vi
ubriacherete come delle scimmie. In Ucraina la vodka la distillano dalle patate
(i russi dal mosto fermentato di orzo e segale, i polacchi dal mosto di grano)
ed è una mistura così micidiale che nemmeno Boris Eltsin
la regge.
Di
frequente, a inizio di lezione, a scopo didattico l'ingegnere Bonsangue ci proietta dei filmati(*); stasera ce ne ha
proiettati due: il primo trattava del famoso Brunello di Montalcino
un vino d'élite che una bottiglia di 750 cc., che
fosse anche della vendemmia corrente non lo si trova mai a meno di 40 mila
lire, mentre il secondo trattava dei famosi spumanti - famosi e pretenziosi a
me pare - di Franciacorta della cui pubblicità molte
pagine di molti giornali ogni giorno sono pieni. Il Brunello di Montalcino vino docg che ci onora
nel mondo, cominciò ad acquistare notorietà negli anni sessanta per merito del
presidente della repubblica Giuseppe Saragat (quello
che la volta che nell'immediato dopoguerra venne nel mio paese a far propaganda
al suo partito, durante il pranzo d'onore fece fuori qualcosa come quaranta
polpette) che lo amò così tanto (per noblesse oblige passatemi l'eufemismo) che lo raccomandò perfino
alla regina d'Inghilterra. Circa i vini brut, dai chiarimenti che il fecondo e
facondo ingegnere Bonsangue ci dava seguendo il
documentario sugli spumanti della Franciacorta, ho
imparato che cuvée vuol dire miscela di vini, che millesimato vuol dire che questi vini sono tutti dello
stesso anno, che la sboccatura (sono tutti termini che si usano per gli
spumanti) è quella fase nella quale si 'corregge' il vino originario
aggiungendovene dell'altro per aggiustarlo. La sboccatura, checché ne dica quel
sapientone di mio cugino l'architetto, è la fase che precede la tappatura definitiva (quella col classico tappo di sughero),
fase che in linea di massima precede di un paio d'anni il Tempo della
commercializzazione.
Basta, ho
scritto un trattato. Partendo dai bignè mi sono tenuto ai vini; sta cominciando
davvero a piacermi l'enologia.
A
venerdì, amici.
Venerdì 7
marzo 2003, tredicesima lezione: seconda di galateo a tavola.
Avendo
annusato di qual pasta è, e di quale buon sangue anche lui, mi sono
intrattenuto a chiacchierare un po', prima che la lezione s'avviasse con il
signor Milazzo. E’ costui una persona fuori dell'ordinario, come ce ne sono
pochi nell'universo mondo e molti in questo strano microcosmo uscito dalla
testa dell'ingegnere Bonsangue come la fulgente Athena da quella di padre Zeus.
L'ingegnere
Enrico Milazzo, gaudente di scorza dura e di lucido e ben stagionato pelo,
pervicace gastronomo, impresario di successo (è proprietario di un supermercato
e veniva alle lezioni montando una BMW della serie 5). enologo insigne,
cittadino onorario di Reims e cugino del conte di Polignac, impresario di diverse imprese e gemmologo di chiara fama (che è quello che nel capitolo
precedente con poco fiuto avevo definito o oste o bon vivant), mi ha abbacinato
con la brillantezza delle idee e la torrenzialità
dell'eloquio, e da qualunque parte lo toccavo suonava. L'ho interrogato ancora
sui migliori vini, e poi, a lungo, sui brillanti e le pietre preziose, campo
nel quale vanta una sapienza non comune. Ho sottoposto al vaglio della
competenza di mia moglie le molte cose che mi ha detto e mia moglie, forse a
denti stretti, ne ha riconosciuto la coincidenza (per esempio, lo sapevate che
i migliori coralli son quelli di Trapani? Lo sapevate
che un rubino, e in specie se del colore detto sangue di piccione, a parità di
caratura vale più che un diamante?).
Era la
sera della tanto attesa lezione del “Come si sta a tavola” della efebica
dottoressa Oliveri, deliziosa istitutrice com'erano
deliziose le istitutrici svizzere - incorruttibili, eleganti, d'alto collo e
d'alta scuola - che nel secolo XIX le migliori famiglie inglesi si contendevano
per l'educazione dei loro rampolli.
Orbene,
quel che l'è uscito dalla gentile bocca tutto l'ho annotato, e ora, miei cari
lettori, dovrei esporvelo, a beneficio della vostra edificazione
comportamentale e culturale. Ho puntigliosamente trascritto tutto, faticando,
al fine di niente trascurare e niente tralasciare, mentre altri a scrivere meno
di me destri si limitavano ad ascoltare prendendo ogni tanto qualche fugace
appunto. Se non che alla fine uno di costoro che s'era accorto che la
dottoressa Oliveri nel condurre la relazione seguiva
delle tracce s'è levato a chiederle stentoreamente
copia di quella che ha chiamato la tesina. La perentorietà della richiesta ha
colpito negativamente la modiglianesca signora che
non ha saputo celare un gesto di disappunto. Io ben la comprendo e con lei col
cuore e con l'anima mi schiero giacché quel che ha provato lei è quel che provo
io quando qualcuno vorrebbe impossessarsi della mia monumentale raccolta di
aforismi: sono più di mille e sono quasi trent'anni e
una pazienza certosina per raccoglierli. Per cui mi pare un pretesa ingiusta il
volersene impadronire saltando d'un salto solo la passione, la fatica, il
metodo e il Tempo che uno ci ha messo per costruirseli. Il pretenzioso
richiedente avrebbe dovuto sforzarsi di ripianare le sue carenze galateali scrivendosi quanto la dottoressa Oliveri andava dicendo e andava scrivendo alla lavagna,
così come abbiamo fatto io e qualcun altro. Se non che l'ingegnere Bonsangue che tutto vede e a tutto provvede ha ritenuto
ammissibile la richiesta dell'incolto campestre e se ne è fatto benevolo
mallevadore. A breve i preziosi appunti della gentile signora Oliveri verranno fotocopiati e - permettetemi il termine -
dispersi al vento, cioè brutalmente volgarizzati, cioè ancora distribuiti al
popolo bue.
Per cui
amici cari io quest'oggi nulla vi riporterò dei
precetti della flessibile e flessuosa dottoressa Michela che credo che neanche
a quattr'occhi saprà opporsi all'intenzione
divulgativa del direttore del corso e alle sue ruffiane prepotenze. Vi
addottrinerò sull'arte dello stare a tavola in un pranzo di lusso non appena
anche a me verrà data, come all'inopportuno questuante, una di quelle fatidiche
fotocopie, dato che la lezione è stata interessante quanto altre mai (e nella
prossima ci spiegherà come si sta a tavola in un ristorante).
Alla fine
della lezione l'ingegnere Bonsangue ci ha proiettato
il quasi fatidico documentario, che stavolta riguardava il famoso prosciutto di
san Daniele del Friuli. Ancora più costoso di quello di Parma (lo si vende a 56
mila lire, noto che nemmeno l'ingegnere riesce ad abituarsi all'euro) che ci
era stato fatto conoscere e gustare un paio di settimane fa. E’ di quello di
Parma più sapido ed aromatico e lo si distingue dal concorrente per la forma schiacciata
anziché rotondeggiante e per il fatto che, almeno negli esemplari più costosi,
in punta gli lasciano lo zoccoletto. Come di consueto alla rappresentazione è
seguita la degustazione mediante una sua bella fetta avvolta in un grasso e
grosso grissino.
Stavolta
al vino d'accompagno ha provveduto la gentilissima dottoressa Chiara Angilella moglie di notaio e mia forbitissima
compagna di banco. Vino che il nostro insigne sommelier, probabilmente
inebriato più delle grazie della bella donatrice che dei pregi intrinseci del
liquore, ha tout court definito 'Perfetto'. Per Bacco! Mi vien
di esclamare (ed è proprio il caso che scomodi il gran Dio dei vini). Il nostro
impagabile ingegnere è un così raffinato viveur che sa trovare sempre in tutte
le situazioni l'espressione più acconcia. Si trattava di un rosé
del 2000 limpido quanto bastava e di una gentilezza, sapidità e brillantezza
che quasi pareggiavano, senza tuttavia superarle, quelle della preclara dottoressa
Chiara.
Infine
l'ingegnere ci ha illustrato il programma - in vero sontuoso - per il gran galà dell'11 aprile. C'è un vecchio detto che vuole che gli
assenti abbiano sempre torto, e mai come questa volta sarà così. Il dramma è
che toccherà proprio a me confermarlo. Piangete con me amici.
Martedì
11 marzo 2003, quattordicesima lezione: quarta di enologia.
Prima che
partecipassi a questo corso, io del vino sapevo solo, per dirla con una vecchia
battuta, che lo si fa anche con l'uva. Diseducato a conoscerlo a causa del
deleterio pregiudizio piccolo borghese che i galantuomini il vino se lo
comprano già fatto, incapace a superarlo per la circostanza di non avere mai
messo piede su un fondo rustico, ne sapevo, su questo fondamentale compagno del
nostro desinare, quanto un topo di città può saperne dei profumi dei formaggi
di campagna. Tuttavia stasera, in virtù delle appassionate spiegazioni
dell'ingegnere Bonsangue che con la chiarezza
espositiva e la capacità persuasiva di cui è dotato sarebbe capace di dare
colore e calore anche alla Gazzetta Ufficiale io mi cimenterò, miei fedeli
amici a spiegarvi, facendo finta che sull'argomento voi siate ignoranti come lo
ero io fino a poche settimane fa, come si fa a far diventare l'uva vino. Vi
spiegherò cioè, a usare le parole dell'ingegnere Bonsangue,
il processo di vinificazione.
Vi
spiegherò quel che dovrà fare chi voglia farsi da sé un comune rosso da tavola
che gli basti per i dodici o i quattordici mesi dell'anno, senza aiuti e né
sofisticherie. Vi prego di seguirmi tenendo conto che scrivo a braccio, col
solo aiuto di qualche frettoloso appunto.
Il vino
nasce dal vitigno o dai vitigni che abbiamo piantato, in uno con l'azione che
il terreno, gli agenti atmosferici e i microrganismi avranno svolto sulla
pianta. Ma al di là di questo, se sapremo indovinare il giusto Tempo della
vendemmia, se tratteremo il mosto in un modo piuttosto che in un altro, se gli
daremo una temperatura anziché un'altra, se lo faremo decantare in un
recipiente anziché in un altro e lo conserveremo in un certo tipo di botte anziché
in un'altra, se avremo saputo farlo fermentare giustamente e convenientemente,
noi potremo fare del nostro vino un prodotto del tutto diverso da quello di un
nostro ipotetico vicino che abbia una vigna esattamente uguale alla nostra ma
che per vinificare abbia seguito altri metodi.
Che il
nostro sia un mestiere o un hobby non si può mai prescindere dall'esperienza e
l'esperienza la si guadagna provando e riprovando.
Immaginiamoci
dunque di trovarci tra l'ultima settimana di settembre e la prima di ottobre e
che io mi sto aggirandomi tra i filari della mia immaginaria vigna dalle cui
spalliere pendono sani, maturi e concentrati quei grappoli di uva nera dai
quali intendo ricavare, ad esclusivo beneficio mio e dei miei amici più
stretti, il vino di un anno.
La prima
cosa che un vignaiolo che si rispetti deve saper capire è quando il processo di
maturazione delle uve sia al colmo e se sia venuto il Tempo di spiccare i
grappoli dalla vite. E’ chiaro che se avanzo nel Tempo la mia uva, per
l'effetto della maggiore esposizione ai raggi del sole, si arricchirà ancora di
più di sostanze zuccherine guadagnandoci in forza, gusto e pregnanza, però è
evidente che se la tiro troppo per le lunghe gli acini mi appassiranno tra le
foglie perché l'acino oltre un certo Tempo non può maturare.
Esistono
dei sistemi empirici per capire quando l'uva sia matura al massimo ma si può
preferire benissimo, in specie per le vinificazioni in bianco, di vendemmiare
prima che questo Tempo arrivi.
Al colmo
della maturazione seguono quattro giorni di una sorta di stasi durante la quale
i processi fermentativi si fermano e quelli decompositivi
ancora non iniziano. In questi quattro giorni, salvo che uno non voglia farsi
dei vini particolari come il passito o il moscato dolce per i quali si
raccomandano acini più maturi, si deve assolutamente vendemmiare, cioè spiccare
l'uva dalle viti per portarla al molitore.
a questo
punto, separatili dai graspi (non sempre e non tutti
lo fanno, per i rossi però è buona cosa farlo) porto gli acini (cioè i chicchi
dell'uva; io fino all'altro giorno ero convinto che gli acini fossero i
vinaccioli) dal molitore, ponendoli in delle gerle che gli assicurino
sufficienza d'aria.
Dalla
pigiatura degli acini e dalla compressione della polpa che ne è derivata discende
il mosto. e sempre per dire quale era la mia ignoranza in materia, io credevo
che dalle uve bianche derivassero i vini bianchi e da quelle nere i rossi (mai
però ho creduto, lo giuro, che i rosati si facessero mischiando gli uni e gli
altri). Dico questo perché è questo il momento nel quale si decide se dei
nostri bei acini pigiati e tradotti in mosto dobbiamo farci un vino bianco o un
rosso (o anche un rosato).
Siccome
avevamo deciso di volere un rosso (perché il nostro vitigno si raccomanda in
questo senso, perché a questo scopo abbiamo ritardato al massimo la vendemmia e
prima della molitura abbiamo separato gli acini dai raspi) ricongiungiamo la
feccia con la parte liquida perché le fecce (ossia le bucce) ricche come sono
di antociani e di tannini conferiranno al vino il suo
caratteristico colore rosso.
Quindi il
mosto (l'uva ammostata, a volerla dire tecnicamente) va posto dentro a dei tini
(recipienti, che possono essere di legno o anche di resina, di eternit o di ce-amt, purché siano
ampiamente aperti in cima; noi per le nostre piccole quantità ci avvarremo di
vecchie mezze botti rovesciate). L'uso di recipienti bene aperti si raccomanda
perché il processo fermentativo (che per l'effetto dei numerosi lieviti
presenti nelle bucce è a tutti gli effetti un processo di combustione) ha
bisogno di scambiare costantemente l'anidride carbonica con l'ossigeno.
Nel corso
dei quattro o cinque (o anche sei) giorni di un ribollire che in presenza di
rossi corposi e ricchi di zuccheri sarà ancora più tumultuoso, verrà a formarsi
sopra il mosto, come a farvi da cappello, un denso strato di vinacce
galleggianti ricco di batteri acetici che dovremo guardarci bene dal
raccogliere e buttare, a meno che non desideriamo un vino anemico e denutrito. Tra
poco vi dirò quel che dovremo farne, di queste vinacce. Prima voglio
raccomandarvi d'attrezzarvi d'un rifrattometro o di un più economico mostifero che sono strumenti con i quali potremo misurare
il grado di zucchero presente nel mosto al fine di farci un'idea di quello che
sarà il grado alcolico del vino. Il rapporto è di 1 a 0,60 il che vuol dire che
se il grado zuccherino del mosto è di 20 gradi il vino che ne verrà sarà di 12
gradi. Se ci pare poco e vogliamo innalzarlo aggiungiamoci quanto possa bastare
di mosto concentrato rettificato con zuccheri d'uva (mai saccarosio, non siamo trapanesi). Se invece vorremo abbassarlo vi butteremo
dentro del mosto poco concentrato o al peggio dell'acqua. Vi raccomanderei di
non abusare con gli zuccheri perché una eccessiva presenza di zuccheri va a
discapito degli acidi, perché zuccheri ed acidi sono antagonisti per cui quando
aumentano gli uni diminuiscono gli altri. Bere un vino troppo acido non è un
bel bere ma un po' di acidità dovremo salvaguardarla se vorremo conservare nel
gusto del vino quel caratteristico senso di freschezza e di sapidità che gli
acidi tartarico, citrico e malico sanno dare.
Tornando
alle vinacce galleggianti di cui vi dicevo, a quella feccia densa di batteri
acetici e di innumerevoli componenti utili al gusto e alla salute (tannini, flavenoli, leucocentociani,
glicerina, terpeni, enzimi, vitamine di diversa specie, sali minerali,
innumerevoli sostanze odorose e coloranti) torno a raccomandarvi di non
buttarle. piuttosto frollatele con un bastone
stellato e riaffogandole rimettetele in circolo.
Quando il
ribollire sarà del tutto spento si porrà mano al processo di svinatura che
consiste nel separare, questa volta sì, la parte solida del mosto (le vinacce,
distillando alchemicamente le quali gli alpigiani ottengono
la grappa) dalla parte liquida (lo sgrondo, il mostofiore).
Ci sono dei vinificatori che al fine di arricchire
ancora di più lo sgrondo gli aggiungono l'umore che gli deriva da un'altra pressatina a queste vinacce, ma noi non siamo di questi, o
per meglio dire non ne abbiamo ancora sperimentato gli effetti. Buttiamole
quindi le vinacce e teniamoci il nostro bel mostofiore
giacché, come dice la canzone, ogni mostofiore è
segno d'amore.
Adesso,
finalmente, facendogli prendere meno aria che sia possibile, lo andremo a
versare nella nostra brava botte (una di 225 litri, il classico barrique; per tutto un anno ci basterà appena, ma è quella cui
siamo affezionati) che dopo la colmatura avremo la premura di chiudere con uno
di quei tappi colmativi che evitano il ristagno dell'aria. La botte dovrà
essere colma fino all'orlo perché l'osmosi ossigenativa
necessaria a favorire, nel suo chiuso, il processo fermentativo secondario lo
favoriranno i pori del legno (giacché il legno respira), e alcuni tipi di
fasciature come quelle di rovere francese (della regione del bordolese, poi
secondariamente il rovere sloveno) si prestano particolarmente a questo scopo,
a parte il fatto che il buon legno trasferisce al vino anche i suoi particolari
profumi. In questa sede, sia per il fatto che i lieviti zuccherini e
l'ossigenazione sono molto diminuiti, la fermentazione ogni ora s'ingentilirà e
lo sgrondo s'avvierà a diventare vino.
Le
ulteriori sostanze torbide precipiteranno sul fondo della botte arrivando a
formarvi uno strato più o meno denso di feccia.
Per la
festa di san Martino potremo finalmente spillare dalla botte il primo bicchiere
e finalmente assaggiare il nostro vino. Per via dei non ancora conchiusi
processi fermentativi esso sarà ancora un po' frizzante, poco corposo e non
perfettamente limpido. Asciughiamoci la bocca e accontentiamoci, niente è
compromesso, né ancora abbiamo ancora finito.
Verso
gennaio o febbraio dovremo effettuare dei travasi, cioè dovremo più di una
volta trasferire il vino in dei recipienti provvisori onde potere lavare la
botte e liberarla della feccia di fondo, così che quando con i primi caldi di
primavera spontaneamente s'avvierà la seconda fermentazione essi non verranno
rimessi in circolo. Nel corso di questi travasi eviteremo, adoperando degli
idonei tubi flessibili, che il vino entri in contatto con l'aria e si ossigeni,
e cureremo che la cantina sia ventilata e fredda tra i 15 e i 30 gradi c°. Una
antica consuetudine vuole che questa operazione si compia in una notte di
tramontana e luna piena. Non mi pare il caso, però evitate che ci sia troppo
caldo giacché con più di 35 °c vi si cambia in aceto.
Lavato e
sciacquato con l'acqua fredda che avrete la botte, vi riverserete il vino,
chiuderete il coperchio e ogni altra luce e aspetterete che si compia quella
che i tecnici e l'ingegnere Bonsangue per il fatto
che essa avviene per effetto dell'acido lattico, hanno chiamato questa
fermentazione primaverile “fermentazione manolattica”
perché l'acido malico si è trasformato in acido
lattico, la quale susciterà dell'altra anidride carbonica.
Si tratta
però di una anidride carbonica buona perché restando in circolo dentro la botte
andrà a conferire al nostro vino la necessaria morbidezza e rotondità. Ma il
vino seppur più lentamente seguiterà a fermentare e le sue sostanze organiche
seppur periodi più distanti a precipitare, per cui travaseremo ancora, e se
sarà necessario di nuovo.
Questo
travasare e ritravasare si chiama processo di
affinamento e si chiude in genere in estate o alla fine dell'estate, quando il
vino finalmente sarà perfettamente e stabilmente limpido e noi dobbiamo
accingerci alla nuova vendemmia.
Se a
questo punto qualcuno dovesse ritenere che gli sia venuto troppo leggero faccia
ammenda dei propri errori e si attrezzi meglio per l'avvenire. Quelli che non
si rassegnano (in genere quelli i bottegai) lo correggono aggiungendovi del
metanolo che è una sostanza in qualche modo simile all'etanolo ma di questo più
concentrata e tossica. Io per quel mi riguarda me lo tengo come m'è venuto e a
questo punto me l'imbottiglio, perché il suo processo biologico (naturale) s'è
concluso e la “barrique” (la botte) presto mi servirà
per la nuova vinificazione.
Nel vetro
il vino finisce di respirare e quindi di invecchiare, tuttavia i tappi di
sughero gli consentono ancora una residua piccola osmosi che solo una copertura
di ceralacca, o se il sughero si seccasse, può far cessare del tutto. Non
metteteci la ceralacca e per non far seccare il sughero tenete le bottiglie
(sempre al buio e al fresco) in posizione distesa in quegli specie di
cavalletti a serie che i francesi chiamano “pupitres”,
in modo che il sughero tenendosi in costante contatto col vino si mantenga
umido.
Tra il
dire e il fare, amici, c'è di mezzo un mare (di aceto), non saprei però dirvi -
il pensiero sta venendomi proprio adesso - che risposta darvi se mi chiedeste
che quantità d'uva avevo portato al molitore per farmi i miei 250 litri di
vino. Forse mi soccorrerebbe la complicata formula di Gay-Lussac
che l'ingegnere ci ha spiegato e trascritto alla lavagna, ma la matematica non
è il mio forte. (*)
Purtroppo
tutto resterà lettera morta e questo frizzante interesse per il vino che in
questi giorni m'inebria, di sicuro finito il corso si spegnerà, perché non ho
case in campagna e l'unica che possiedo non si presta a nessuna delle faccende
di cui sopra. Per cui, amici bevete un bicchiere di
buon vino per me, se ne avete e se non ne avete e potete farvelo, fatevelo. Il
vino è la creatura che da, a chi la crea, i minori dispiaceri.
(*): glie
l'ho chiesto qualche lezione dopo. All'ingrosso, abbondando - mi ha detto -
circa 4 quintali d'uva.
Venerdì
14 marzo 2003, quindicesima lezione: terza di scienze dell'alimentazione.
Come
l'apocalittico angelo del giudizio nella valle di Giosafàt,
Armaggedon Mariella dal fisico scultoreo è scesa
sopra di noi per percuoterci le bramose gole con la fiammeggiante spada. E
mentre bella come l'angelo sterminatore ciò faceva, alto teneva un
fiammeggiante vessillo dove a grandi caratteri rappresentava le seguenti
parole: "Anime prave, solo ciò che non mangiate vi fa bene alla
salute".
Sbaglierebbe
tuttavia chi pensasse che io voglia ironizzare su di lei; non lo merita e
stasera è stata dolcissima. Aveva iniziato agitando il ramoscello d'olivo, la
curvilinea Mariella: - "Non dovete pensare che la parola dieta voglia
significare digiuni o privazioni, essa viene dal greco 'dìaeta'
che vuol dire modo di vivere" -.
- “Bene Mariella,
brava, continua così!” -
- Questa
sera tratteremo di quel che è bene mangiare nelle tre età della vita e quali
sono le malattie che possono derivare da una cattiva alimentazione -.
Questo
l'incipit. Solo che quando vai a trattare del mangiare tutte le strade
purtroppo vanno a convergere sul punto che, come diceva Henry
Estienne, “Ci scaviamo la fossa con i nostri denti”.
E’ un
fatto biologico, la luciferina Mariella (luciferina nel senso di portatrice di luce) non c'entra, e
in vero non c'è chi non lo sappia. Il problema consiste nel fatto che troppo
spesso ce ne dimentichiamo, ma qui il discorso si fa talmente complesso (e
tormentoso) che non mi sento di liquidarlo con delle facili battute. Ben ci
sarà bene una ragione - non dico sociale, dico psicologica - se nella opulenta
società nella quale viviamo il 70% delle persone è sovrappeso
e, scusatemi per il gioco di parole, non se dà peso.
La
spiegazione giusta a mio vedere ce l'ha data Sigmund Freud quando ha definito l'amore per il mangiare, così come
l'istinto sessuale e la cupidigia di ricchezze, pulsione vitale. Per cui
secondo me assai poco ci resta da fare se è una cosa che ci portiamo nel dna.
Dunque
mangiamo, mangiamo pure, arrendiamoci gaiamente alle pulsioni gastriche, diamo
soddisfazione al palato, onoriamo il buon cibo e i cuochi fantasiosi e onesti
come il signor Lo Piano nel cui “Fast food” (un nome orrendo che non rende
onore alla qualità della sua cucina) secondo il mio palato si mangia meglio che
al Savini, evitiamo solo di abbuffarci alla cieca e
bestialmente. A questo riguardo sta venendomi in mente una frase di Woody Allen a proposito d'un
ristorante dov'era capitato: "La cucina qui è veramente
disgustosa..." - ebbe a lagnarsene uscendo - "... e poi danno delle porzioni così
piccole!".
Quando la
situazione ci sfugge di ...bocca, corriamo immediatamente ai ripari purgandoci
il corpo e la coscienza.
Ispirandomi
a Martin Lutero che ai suoi fedeli raccomandava di
peccare fortemente e di pentirsi più fortemente ancora, il mio correre ai
ripari consiste nel camminare molto a piedi. Cammino quanto un legionario, e
camminando mi persuado di espiare. Si tratta di un contrappasso più psicologico
che fisico perché di frequente va a finire che a forza di camminare mi smuove
una fame tale che appena mi risiedo a tavola essa come nel gioco dell'oca d'un
colpo mi proietta di dieci o dodici caselle indietro.
Comunque
tra un esangue ragioniere delle kcal. che anziché la forchetta usi il bilancino
del farmacista e quella sorta di Rodomonte che è il nostro ingegnere che ogni
giorno brucia quarantamila calorie ma ne introita cinquantamila, io preferirò
sempre l'ingegnere Bonsangue perché come diceva Giulio
Cesare diffido delle persone magre.
Stasera
mi fermo qui, facciamo mezz'orario, amici. Tanto lo sapete tutti quel che fa
bene e quel che fa male alla salute. Vi raccomando solo di bere molta acqua, di
berne più che potete, di berne anche quando non avete sete, di non stancatevi
mai di berne. L'ingegnere Bonsangue per dar forza
alle esortazioni della relatrice ci ha palesato che lui d'inverno non ne beve
mai meno di due litri e d'estate tre volte tanto.
- “Ma siamo
certi, caro ingegnere che si tratta di acqua?!”
Martedì
18 marzo 2003, sedicesima lezione: quarta di gastronomia.
Poco
sopra scherzavo. Perché l'ingegnere Bonsangue, da quell'insigne enologo che è, è troppo innamorato del vino
perché non lo riguardi con la tenerezza di un giovane amante. Magari, come un
certo signore duemila anni fa, vi camminerà sopra senza bagnarsi i piedi, ma
non mi risulta che ancora abbia assunto la facoltà di trasformare l'acqua in vino.
Al
limite, il dubbio di una eventuale incontinenza può venirmi, se è vero quel che
appare e soprattutto senza che per questo io mi senta di vituperarlo, per
quello che può essere il suo rapporto con il cibo.
Se non
siete disposti a condividere questa mia benevolenza, leggetevi per favore quel
che ha scritto nei suoi "Princìpi della
filosofia dell'avvenire" a proposito del rapporto col cibo un filosofo
tedesco magro e tetro, Ludwig Feuerbach:
"Uno stomaco limitato può andar d'accordo soltanto con una sensibilità
limitata, cioè animalesca. L'uomo ispirato dall'etica e dalla ragione ha nei
confronti dello stomaco un atteggiamento che consiste nel considerarlo un
organo non animalesco, ma umano".
Non vi
basta il severo (e noioso) Feuerbach? Non vi convince
la sua greve prosa? Allora vi calo un autentico asso da novanta nella
(ridondante) figura del signor Martin Lutero che in
quanto monaco di crapule di sicuro se ne intendeva più d'un filosofo e con la
cucina (e le cuoche) aveva un rapporto lubrico. Martin
Lutero - sia dato merito alla donna che lo mise al mondo - sosteneva che "Chi
non ama il vino, le donne e il canto rimane uno stolto per tutta la vita".
La verità
sta nel fatto che il corpo umano ha bisogno di olii,
succhi e sapori quanto la terra ne ha di sole, acqua e concimi, per cui, amici,
“Viva la ciccia…!” come dice l'amico Dario Cecchini da Firenze. Vado alla
lezione del signor Luciano Micciché in quella che
sarà l'ultima di pasticceria.
Ben poco,
ben poco, cari amici, potrò raccontarvi della lezione di herr
Feuerbach Micciché e non
perché non lo voglia. Gli è che la sua invincibile idiosincrasia a comunicare
ha come alzato un muro tra il suo tavolo e i banchi, cosicché mentre lui e il
suo coadiuvante si facevano le loro torte noi non avendo di meglio da fare ci
siamo messi a far salotto aspettando impazienti che finissero.
Hanno
preparato quattro torte: la notissima cassata siciliana, una di quelle col
bordo brulicante di noccioline che si comprano per i compleanni, una alla crema
che il maestro ha asciuttamente definito per bambini
e infine una di “profiteroles”. Come si faccia a
farle non so dirvelo e quali Ingredienti occorrano lo sanno solo lui e (forse)
il suo aiutante.
Le poche
parole che quasi sussurrando pronunciava le pronunciava per rispondere alle
specifiche domande che le ragazze dei primi banchi gli facevano, ma pareva un
interrogatorio di quelli che si fanno nei tribunali americani, così che a un
certo momento una delle corsiste, stizzita di tanta laconìa,
si mise a mormorare che il maestro aveva tutto l'interesse a lasciarci
ignoranti così che le torte anziché farcele con le nostre mani andavamo a
comprarcele nella sua bottega.
Al
contrario di quel che dice il senatore Andreotti io
non voglio dannarmi l'anima a pensar male. Magari è solo un fatto di carattere,
anche se è vero che il signor Micciché è tra i
relatori l'unico professionista, essendo gli altri dei puri dilettanti
amabilmente usciti dal cilindro dell'ingegnere Bonsangue.
Ad ogni modo non induce a pensare bene la circostanza che il signor Micciché ha poco elegantemente glissato sulla richiesta di
alcune signore che gli avevano chiesto la ricetta delle brioches.
Ma anche
il nostro voluminoso e incontenibile ingegnere stasera ha lasciato a
desiderare; andava e veniva, si distraeva frequentemente e, somma ignominia,
non s'è accorto della cospicua rimanenza di ricotta farcita che a fine lezione
veniva portata via.
Le
quattro torte le abbiamo accompagnate, secondo l'immancabile precetto che col
dolce ci va un dolce, con dello zibibbo delle cantine del duca di Castelmonte. Ma la scelta, senza alcuna colpa
dell'ingegnere Bonsangue, non si è rivelata felice
come in tutte le altre occasioni: lo zibibbo è un vino dolce e delicato,
cosicché il suo fine bouquet è stato sopraffatto dalla forte melassa che
inzaccherava la ricotta e dal troppo rum col quale il maestro ha imbibito il
pan di Spagna (a saperlo avrei portato del moscato - ci ha detto poi
l'ingegnere – ché il moscato possiede gusto e aromi più marcati dello zibibbo).
Sotto vi
riporterò una ricetta sui gusci dei cannoli che abbiamo trovato scritta sulla
lavagna; meglio di niente.
Il
filmato che come d'abitudine ci è stato proiettato a fine lezione era
incentrato sul signor Enrico Derlingher, uno dei più
celebri e celebrati chef d'Italia. Se v'interessa sapere come cucina prima
fatevi un mutuo e poi recatevi a Roma. Lo troverete nella centralissima piazza
di Spagna nel ristorante annesso al prestigioso albergo “Terrazza dell'Eden” di
Adoni Moses Levy del quale (locale)
il signor Derlingher è lo chef-patron. Si tratta di
uno di quei ristoranti iperesclusivi e super
raffinati dove per due leggiadrissime e
esclusivissime portatine sono capaci di farvi pagare tre o quattrocento euro,
senza contare i vini che si pagano a bicchiere. Il signor Derlingher
nella lunga intervista raccontava di essere stato per anni il cuoco personale
della regina Esisabetta II d’Inghilterra, a Buckungham Palace, e che poi per
fare esperienze di cucina si mise a girare il mondo fino a capitare a Roma e a
finire sotto le grinfie del giudeo. Ci diceva - vi riporto la notizia perché
m'ha particolarmente colpito - che nei ristoranti giapponesi con una delle
nostre porzioni - lui le chiamava porzioni ma sarebbe più corretto chiamarle “assaggi”
- ci mangiano quattro persone.
Ma non è
che i giapponesi mangino poco, è che mangiano continuamente.
Alla
dottoressa Paruzzo probabilmente saranno fischiate le
belle orecchie.
Ora bando
alle chiacchiere, amici. Prendete un pezzettino di carta e un mozzicone di
matita e scrivetevi la ricetta dei gusci per i cannoli. Occorrono 1 kg. di
farina 00, 100 grammi di zucchero, 100 grammi di strutto, 10 grammi di
ammoniaca, un quarto di litro di acqua, un quinto di litro di latte.
Venerdì
21 marzo 2003, diciassettesima lezione: quarta di gastronomia.
Dopo gli
antipasti, i primi e i secondi delle precedenti lezioni la signora Natale
giustamente chiude con il dessert. Il maestro Micciché
non me ce voglia ma finalmente abbiamo un che di fattivo con cui chiudere un
pranzo. La signora ci ha illustrato tre ricettine
delle quali con dovizia di particolari ci ha spiegato i volti e i risvolti. Come
abbiamo potuto vedere con i nostri occhi si tratta di ricette molto semplici e,
come abbiamo potuto gustare, assai saporite.
Vi do di
esse gli Ingredienti, le dosi e anche qualche dritta per la messa in opera.
Mousse di
ananas. Provvedetevi di una scatola di 10 fette di ananas, unite il succo
contenuto nella scatola (in genere 200 grammi di liquido) a 800 grammi di
acqua, aggiungetevi 65 grammi di amido di grano, 4 uova intere, il succo di tre
limoni e la buccia di un limone grattugiato, sminuzzatevi le 10 fette d'ananas
e frullate abbondantemente il tutto fin quando non verrà fuori un composto
quasi liquido e molto schiumoso. Versate il contenuto in una pentola e a fiamma
alta girate fino a quando la schiuma non sarà tutta riassorbita. Versate il
tutto in un'ampia terrina e coprite abbondantemente di frutta fresca di vario
tipo, a mo' di macedonia. Mettete a riposare in frigo.
Dolcetti
(o praline) al cocco: 500 grammi di ricotta, 250 grammi di zucchero a velo
(cioè frullato), 250 grammi di farina di cocco, il contenuto di una o due
tazzine di caffè senza zucchero e la buccia di un limone grattuggiato.
Frullate il tutto e della pasta che viene fate delle polpettine (palline), rivestitele di cacao amaro e mettetele a riposare in
frigo.
Panna
cotta: mezzo litro di panna fresca, mezzo litro di latte, 150 grammi di
zucchero a velo, 10 grammi (2 bustine) di vanillina, 6 fogli da 2 grammi ciascuno
di gelatina (colla di pesce; finalmente oggi ho compreso cos'era quella
misteriosa colla di pesce cui accennava herr Micciché). Mettete i fogli di gelatina (o colla di pesce
che dir si voglia) in 100 grammi di acqua calda e quando vi si saranno sciolti
versatene il contenuto nell'amalgama di cui sopra. Qui ad essere sincero mi
manca un anello, cioè non so se occorre rimettere mano al frullatore o no, e
non so se, ora o dopo, lo si deve mettere dentro il frigo. Comunque di certo
quel che la signora ci ha mostrato alla fine dentro una ampia terrina
somigliava a una specie di materassino, una sorta di schiacciata alta 2 cm.,
del colore della mozzarella. Ci ha spalmato sopra l'intero contenuto d'un
barattolo di marmellata d'arance, ci ha fatto piovere quattro pugni di briciole
di pistacchi verdi, l'ha tagliato a tranci e, in uno con gli altri due dolci, Emanuela,
la hostess, ce l'ha apparecchiato sovra un bel piattino.
Io per la
frutta non stravedo, ma i manufatti della signora Silvana erano veramente squisiti.
Nei confidenziali scampi d'opinione non c'era uno di noi che non fosse
d'accordo. Freschi, rotondi e squisiti in bocca, il loro gusto era pieno e
equilibrato. la signora Silvana Natale, scegliendo sempre prodotti semplici e
di grande efficacia, è stata sempre all'altezza del compito; in particolare per
i dolci di stasera che non necessitano di forno si preparano in cinque minuti.
Come
avviene ogni volta colle sue, anche alla lezione della professoressa Natale di
questa sera eravamo in 34 anziché i soliti 32. Si tratta di un fenomeno
paranormale che ha quasi dello straordinario e per la sua costanza quasi
dell'inquietante. Ma questa, amici, come diceva il vecchio Moustache,
è un'altra storia.
Provvido
coppiere, l'ingegnere, leccandosi anche lui i baffi, ci correva dietro (stasera
c'era un clima quasi festaiolo) con una acconcia bottiglia di Brachetto d'Acqui. Un “dolce”
piemontese colore del rubino ma molto amabile. Un vino, ci ha detto il
presentatore, particolarmente apprezzato dalle signore. Tant'è
vero che la piccola signora Patrizia Marotta, una
lumachina che faticosamente sta evolvendo a donna, audacemente ne ha bevuto
mezzo sorso, e mai in precedenza era arrivata a tanto essendosi tutte le volte
dichiarata risolutamente astemia: l'ingegnere Bonsangue
era commosso come se la piccola avesse pronunciato la sua prima parola.
Due
parole infine sul consueto documentario. Quello di stasera trattava dello speck
prodotto dalla Wolf di Saulis,
lassù nell'alta Carnia. Lo speck è come il prosciutto
crudo, solo che lo affumicano col fumo del legno di faggio. Ma non è di questo
che voglio parlarvi. Desidero mettere in cornice quel che uno della Wolf, nel discorso che faceva per illustrarci l'azienda, ha
detto a un certo punto. Ci diceva che dei quarti posteriori che gli arrivano
dagli allevatori loro fanno gli speck, i prosciutti crudi e quelli cotti, i
salami e mortadelle, gli zamponi e le pancette, i capocolli
e i culatelli, il lardo e la sugna, “e i wurstel” - concluse il norcino – “Che
tanta soddisfazione ci danno!!". Ahinoi,
credo di conoscerla la natura di cotanta soddisfazione, tornandomi alla mente
quella volta che da piccolo io spropositatamente insistendo perché mi dessero
un wurstel, mio zio Liborio si mise a spiegarmi che non era buona cosa mangiarne
“perché li fanno con le parti meno nobili del maiale”. Io per dargli segno che
capivo quel che voleva dirmi gli buttai giù un "Lo fanno con le orecchie e
le code", cui lo zio, levando gli occhi al soffitto e sospirando, oppose
un flebile ed eloquentissimo "Magariii!!" che ebbe la forza di cento discorsi.
Pregevole,
pregevolissima, è la dispensa di cui l'ingegnere ci ha gratificati stasera. Non
esagero se vi dico che se andassimo a comprarcela in libreria (immaginando che
in commercio ne esistano di uguali) la pagheremmo non meno di 50 o 60 mila
lire. Si tratta di una sorta di summa gastronomica che ogni italiano bennato e
provvisto di soldi dovrebbe portarsi nella valigia. Essa non soltanto
accuratamente ci guida nei percorsi culinari regionali, ma di ogni realtà ci da
delle interessantissime informazioni. Contiene tante ricette quante sono le
chiese di Bahia os todos santos, per cui mi verrebbe improbo riportarvene anche i
soli titoli. Tuttavia farò uno sforzo, vi riporterò alcune pagine. Quelle
afferenti alle cucine valdostana e piemontese a beneficio di mia figlia Lorenuccia che vive a Biella, a beneficio di mio figlio Francalberto che tiene un piede a Milano e uno a Roma
quelle delle cucine lombarda e laziale, a beneficio di mio figlio Fabio quelle
siciliane, a beneficio di mio cognato Tanino e mia, ché la adoro, quelle della Toscana
e infine a beneficio di mia sorella la grande quelle della tradizione sarda. Lo
faccio perché ho lo Scanner e l'Ocr, se no stareste
freschi.
Lo faccio
anche per, diciamo così, farmi perdonare del fatto che vi ho fatto mancare i
resoconti delle ultime tre o quattro lezioni. Gli è che scrivendo e scrivendo
m'è parso proprio d'essere scivolato nell'impressionismo, o nell'astrattismo, e
non c'era nulla in tutto quello che potevate leggere che potesse essere
infilato in una pentola o fatto saltare dentro una padella.
Valle d'Aosta
Questa
piccola regione ha una cucina prevalentemente montanara, con una abitudine
antica a consumi parchi e frugali. Il fenomeno turistico che è iniziato verso
la fine del secolo scorso, ha portato ad un cambiamento delle abitudini
gastronomiche, già comunque influenzate dalla vicinanza della cucina francese. In
montagna si preparavano d'estate, anche per l'inverno, carne salata e formaggi,
primo fra tutti la fontina, ancora oggi di larga produzione. Il termine
"fontina" compare già in documenti del 1700 e si riferisce secondo
alcuni al nome di un alpeggio, secondo altri al cognome di una famiglia o al
villaggio di Fontinaz. La produzione locale è ancora
oggi incentrata su latte e latticini, come burro e formaggi (fontina, tome, robiola), polenta, patate (introdotte all'inizio del
1800 dalla Francia), cavolo e castagne. E’ caratteristico anche il consumo di
selvaggina e dei prodotti dei sottobosco come lamponi e mirtilli. Sono piatti
tipici la fonduta, piatto sostanzioso a base di latte, uova e molta fontina
(che si presta bene a questa Preparazione dato che a 60°c fonde senza fatica)
arricchito con tartufi, le zuppe a base di pane e verza, la polenta servita con
salsiccia e fontina, dolci e budini di castagne tra cui il Monte bianco. Altre
specialità sono i “knolle” (gnocchi di farina
gialla), le costolette alla valdostana (con fontina) e la carbonada,
specie di stufato che viene fatto con carne bollita, messa in salamoia e poi
servita con salsa a base di cipolla e vino, presentato con contorno di polenta.
Da ricordare infine il caffè con grappa alla valdostana, sempre servito per
almeno due persone, simbolo di amicizia.
Ricette
Primi
piatti
Fonduta
alla valdostana:
Tempo di
cottura: 30 minuti circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: 30 grammi di burro,
latte, 450 grammi di fontina valdostana, 4 tuorli d'uovo. Preparazione: privare
la fontina della crosta e tagliarla a cubetti, metterla in un recipiente
ricoprendo con il latte e lasciar riposare per circa 3 ore. Fare sciogliere il
burro, aggiungere la fontina e il latte e far cuocere a bagnomaria, mescolando
con un cucchiaio di legno a fuoco moderato sempre nello stesso modo. Quando la
fontina comincerà a filare alzare la fiamma e mescolare velocemente, aggiungere
uno alla volta i tuorli delle uova (prima di aggiungere il tuorlo successivo
fare attenzione che il precedente sia ben amalgamato), mescolare ancora fino ad
ottenere la giusta cremosità e a questo punto la
fonduta è pronta. servirla in ciotoline di coccio con
crostini di pane fritti nel burro .
Polenta
concia:
Tempo di
cottura: 45 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: sale, 100 grammi di burro,
300 grammi di farina gialla, 150 grammi di fontina valdostana. Preparazione: in
un paiolo o in una pentola capace portare a ebollizione l'acqua salata, quindi
aggiungere la farina a pioggia, mescolando energicamente per non formare grumi.Cuocere per 45 minuti sempre mescolando. La polenta sarà
cotta quando alle pareti del paiolo si formerà una crosticina.
A questo punto aggiungere la fontina tagliata a dadini
ed il burro. Mescolare bene per far sciogliere il burro e la fontina. servire
immediatamente.
Zuppa valpellinentze:
Tempo di
cottura: 1 ora e 30 minuti circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: 1cavolo
verza, sale, burro, 300 grammi di fontina, pepe, noce moscata,
brodo di carne, pane integrale raffermo affettato. Preparazione: pulire la
verza e lessarla in acqua salata; toglierla a circa tre quarti di cottura. Abbrustolire
il pane. In un recipiente possibilmente di terracotta, leggermente imburrato,
stendere le fette di pane, il cavolo lessato e le fette di fontina, fare uno
secondo strato da rifinire con delle noci di burro. Versare sopra il brodo in
quantità giusta affinché ricopra tutto, aggiungere la noce moscata
grattugiata, sale e pepe; mettere in forno e circa 160° e cuocere per circa 50
minuti.
Secondi
piatti
Carbonada:
Tempo di
cottura: 2 ore circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: 2 cucchiai di aceto,
1cipolla, sale, 1/2 lt. di vino rosso, 50 grammi di
burro, pepe, farina bianca, 800 grammi di carne di manzo. Preparazione:
tagliare la carne a strisce di circa 5 cm di lunghezza e 1/2 cm. di larghezza,
passarle nella farina e quindi farle rosolare nel burro. Quando sarà ben
rosolata toglierla e metterla in un piatto. Nel burro rimasto far appassire la
cipolla affettata sottilmente, unire 2 cucchiai d'aceto e far sciogliere bene
il fondo di cottura, aggiungere la carne aggiustare di sale e pepe e far
cuocere e fuoco basso per circa 1 ora e mezzo bagnando di tanto in tanto con il
vino rosso. a fine cottura la carne deve risultare morbidissima. servire con la
polenta.
Frittelle
di fontina:
Tempo di
cottura: 15 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: 4 uova, 200 grammi di
fontina, basilico, latte, prezzemolo, rosmarino, olio di semi per friggere, 100
grammi di pane grattugiato, 100 grammi di carne di manzo macinata. Preparazione:
tagliare la fontina a dadini molto piccoli, mettere
il tutto in una terrina, unire il pangrattato, la carne, le uova, il trito di
erbe e il latte. Lavorare bene fino ad ottenere un composto omogeneo e
aggiustare di sale e pepe. Far scaldare l'olio nella padella per friggere,
quando sarà ben caldo distribuire a cucchiaiate il preparato e far dorare le
frittelle da tutti i lati. Servire ben calde accompagnate da spinaci o finocchi
al burro.
Costolette
alla valdostana:
Tempo di
cottura: 15 minuti circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: farina, sale, 1uovo,
burro, 4 costolette di vitello, pepe, 150 grammi di fontina valdostana, pane
grattugiato. Preparazione: tagliare le costolette a metà nel senso orizzontale
lasciandole unite dalla parte dell'osso in modo da formare una tasca. tagliare
la fontina e fettine e con queste farcire le costolette, quindi con il
batticarne premere con forza i due bordi delle tasche e fissare con due
stecchini affinché rimangano ben chiuse e non esca la fontina. Salare e pepare
ogni costoletta, passarle quindi prima nella farina, poi nell'uovo sbattuto,
non salato, infine nel pangrattato. mettere il burro in una padella e far
cuocere le costolette da ambo i lati a fuoco moderato. Scolare e passare su
carta assorbente e servire.
Dolci
Ciambelline di mais:
Tempo di
cottura: 20 minuti circa. Ingredienti, dosi per alcune persone: 3 uova, 150 grammi
di burro, 300 grammi di zucchero, 50 grammi di farina bianca, 500 grammi di
farina gialla a grana fine, scorza grattugiata di limone. Preparazione:
setacciare le due farine in una terrina quindi unire lo zucchero, il burro
ammorbidito, le uova e le scorza di limone. Lavorare bene fino ad ottenere un
composto uniforme. Versare il composto in una siringa da pasticciere con la
bocchetta e stella, formare così delle ciambelline e
sistemarle direttamente nella placca da forno foderata con carta oleata. Cuocere
i dolcetti in forno già caldo a 180° per circa 20 minuti.
Piemonte
La cucina
piemontese è caratterizzata da sapori e aromi forti, pungenti, di bosco. Molti
dei piatti tipici sfruttano prodotti che si raccolgono o maturano da settembre
ad ottobre come i tartufi (famoso quello bianco della zona di Alba, capoluogo
delle Langhe) e l'uva. Altri prodotti tipici sono il
riso, proveniente dalle zone di Novara e Vercelli, e il pesce di acqua dolce,
primo fra tutti il pesce persico. e' una cucina "robusta", che si
sposa bene con i vini tipici della regione; a proposito di vini, prodotto
tipico della regione è il vermouth, vino liquoroso aromatizzato, che nasce nel
1786. Piatti tipici della regione sono la “bagna cauda”
a base di acciughe, olio e aglio; un Tempo era fatta con l'olio di noci, oggi
introvabile; viene servita in appositi fornellini al
centro del tavolo in cui intingere i vari tipi di verdure crude. La fonduta,
con fontina, latte, uova e tartufo d'Alba. La polente cunsa,
cioè condita con formaggi. I bolliti misti, serviti con la salsa verde o bagnet verd. Ricordiamo anche i
formaggi quali robiole (è famosa quella di Roccaverano,
in provincia di Asti), tome e tomini, già noti nel
medioevo, il castelmagno, il murazzano
e il bra tipici del cuneese;
la pasta fatta in casa (taglierini, agnolotti e ravioli), i grissini, creazione
del XVII secolo, attribuita ad un fornaio torinese di nome Brunero, i
gianduiotti cioccolattini con pasta di cacao e
nocciole, i “marron glacés”,
e i biscotti come i crumiri di Casale Monferrato, gli amaretti, i baci di dama.
Ricette
Antipasti.
Vitello
tonnato:
Tempo di
cottura: 1 ora e mezzo. Ingredienti, dosi per 8 persone: sale, 3 uova, 2
cucchiai di capperi, 1 costa di sedano, aceto bianco, salvia, 1 bottiglia di
vino bianco secco, succo di limone, alloro, 6 acciughe sotto sale, 1 kg. di
polpa di vitello (girello), chiodi di garofano, olio d'oliva, 300 grammi di
tonno. sott'olio. Preparazione: mettere a marinare la carne nel vino, unire 2
foglie d'alloro, 3 chiodi di garofano, 4 foglie di salvia e il sedano tagliato
a dadini. Lasciare così per 24 ore avendo cura di
girarla spesso. trascorso questo Tempo togliere la carne dalla marinata,
metterla in una casseruola e irrorarla con il vino filtrato e dell'acqua in
modo che risulti completamente coperta. Aggiustare di sale e far cuocere per
circa un'ora, dopo di che aggiungere le acciughe lavate e diliscate. Lasciar
cuocere per altri 30 minuti. Il brodo a fine cottura non dovrà essere più di
mezzo litro. Far rassodare le uova. a questo punto filtrare il brodo, passare
ai setaccio le acciughe, il tonno e i tuorli sodi. mettere il ricavato in una
zuppiera, aggiungere i capperi tritati, un cucchiaio di aceto, il succo di
limone e l'olio d'oliva. mescolare bene, e diluire la salsa con un poco di
brodo. lasciare raffreddare la carne, affettarla sottilmente, disporla su un
piatto di portata e ricoprire con la salsa.
Salse
Bagna caoda:
Tempo di
cottura: 20 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: 5 spicchi d'aglio, 200 grammi
di olio, 100 grammi di burro, 200 grammi di acciughe sotto sale, verdure e
piacere (cardi, peperoni crudi o arrostiti, foglie bianche di verza,
topinambur, cavolfiore molto tenero). Preparazione: pulire l'aglio e metterlo a
bagno nel latte per circa 2 ore. sgocciolarlo, asciugarlo, tagliarlo a fettine
sottili e metterlo in un tegame (possibilmente di coccio) con l'olio e il burro
a fuoco basso. unire le acciughe lavate e private della lisca centrale, far
cuocere per circa 15 minuti mescolando con un cucchiaio di legno sempre a fuoco
basso (non deve bollire mai). quando la salsa sarà pronta portare in tavola e
tenere sempre in caldo sul fornellino apposito. ogni
commensale si servirà a piacere dei vari tipi di verdure e le intingerà nella
salsa calda.
Primi
piatti.
Risotto
alla piemontese:
Tempo di
cottura: 20/25 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: 1/2 cipolla, 350 grammi
di riso, 1 lt. di brodo, 50 grammi di burro, 1/2
bicchiere di vino bianco secco, formaggio parmigiano grattugiato. Preparazione:
versare in una casseruola il brodo, porre il recipiente sul fuoco e portare a
ebollizione. in 25 grammi di burro fare imbiondire la cipolla tritata, poi
unire il riso, mescolando per un paio di minuti. versarvi sopra il vino, lasciarlo
evaporare e incorporarvi, poco per volta, come si fa per i normali risotti, il
brodo bollente. quando il riso sarà quasi pronto, levare il recipiente dal
fuoco, aggiungere il rimanente burro crudo e 3 cucchiaiate di formaggio
grattugiato: mescolare bene, incoperchiare il
recipiente, lasciare riposare il risotto per 5 minuti, poi servirlo su Piatti
caldi.
Agliata:
Tempo di
cottura: 6/7 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: sale, 3 spicchi d'aglio,
50 grammi di burro, 500 grammi di noci, latte, 80 grammi di mollica di pane,
300 grammi di tagliatelle all'uovo. Preparazione: mettere la mollica di pane in
una tazza e coprirla di latte. sgusciare le noci, poi mettere i gherigli nel
mortaio insieme ai tre spicchi di aglio e pestare tutto quanto, tenendo presente
che poi si dovranno sentire i pezzetti di noce. Dopo aggiungere la mollica di
pane imbevuta di latte (senza strizzarla) e un pizzico di sale: mescolare bene
e lasciare riposare il composto. Lessare le tagliatelle, scolarle,
condirle con il burro crudo e aggiungere tutta la salsa di noci. mescolare con
cura e servire subito.
Tajarin
in bianco con tartufi:
Tempo di
cottura: 10 minuti circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: sale, 2 uova, poco
brodo, 80 grammi di burro, pepe, 400 grammi di farina bianca, noce moscata, formaggio parmigiano grattugiato, 1 tartufo bianco
d'alba. Preparazione: preparare i tajarin impastando
la farina con le uova, unendo una cucchiaiata di parmigiano, e tanta acqua
quanto basta per avere una pasta di giusta consistenza. Lavorarla molto bene,
poi con il matterello stendere una sfoglia sottile e ricavare da essa le
tagliatelle, che non devono superare il mezzo cm. di larghezza. Pulire bene il
tartufo con uno spazzolino in modo da levargli tutta la terra e lavarlo. Porre
sul fuoco abbondante acqua salata e quando bolle lessare la pasta facendola
cuocere per soli 2 minuti. Nel fratTempo mettere in un tegamino il burro e
porlo sul fuoco basso, unire ad esso abbondante formaggio grattugiato al quale
sarà stato mescolato pepe e profumo di noce moscata. Aggiungere
un mestolo di brodo e far ridurre giustamente. Versare il condimento sulle
tagliatelle ben scolate, mescolarle e cospargerle con abbondante tartufo
sottilmente affettato. Servire subito.
Gnocchi
alla bava:
Tempo di
cottura: 40 minuti circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: 200 grammi di
farina, 1 kg. di patate, 80 grammi di burro, 150 grammi di fontina valdostana. Preparazione:
lessare le patate e passarle al passapatate quando
sono ancora bollenti, far cadere il passato sulla spianatoia e aggiungere poco
alla volta le farina fino ad ottenere un impasto di giusta consistenza,
lavorarlo bene e uniformemente fin quando non si attaccherà più alle mani. Formare
dei bastoncini e tagliarli e pezzetti di circa 2 centimetri . Versare gli
gnocchi in acqua bollente salata, appena vengono a galla scolarli
e disporli a strati in una pirofila imburrata, tra uno strato e l'altro mettere
la fontina tagliata e fettine sottili, cospargere l'ultimo strato di fiocchetti
di burro e mettere in forno a 220° per circa 5 minuti. Servire subito.
Secondi
piatti
Lingua
alla piemontese:
Tempo di
cottura: 2 ore e 45 circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: aceto, 1 cipolla,
sale, 1 cucchiaio di capperi, brodo, 1 costa di sedano, 750 grammi di lingua di
vitello, prezzemolo, pepe, farina bianca, 1 pezzetto di peperoncino, 1 carota,
salsa di pomodoro, olio d'oliva. Preparazione: lessare la lingua mettendola in
acqua salata con mezza carota, mezzo gambo di sedano e mezza cipolla, far
cuocere lentamente per circa 2 ore. Nel frattempo tritare la cipolla, il sedano
e la carota, metterle in una casseruola con l'olio e far rosolare bene,
aggiungere il prezzemolo tritato, i capperi, la salsa di pomodoro sciolta in
poco brodo e il peperoncino. Aggiungere lo farina stemperata in poco brodo. Aggiustare
di sale e pepe e lasciar cuocere a fuoco basso per circa 30 minuti, se la salsa
si addensasse troppo aggiungere altro brodo, a fine cottura unire cucchiai di
aceto. Sgocciolare la lingua, spellarla e tagliarla e fettine. Disporre le
fette in un piatto, versarvi sopra la salsa e servire.
Lepre in
salmì alla piemontese:
Tempo di
cottura: 2 ore e 20 minuti circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: 2 cipolle, 1
lepre, sale, 1/4 di lt. di brodo, 100 grammi di
burro, sedano, 1/2 lt. di vino, pepe, alloro, 2
carote, cannella, 2 bottiglie di barbera vecchio. Preparazione: tagliare la
lepre a pezzi uniformi, non troppo grandi. Lavare i pezzi della lepre nel 1/2
litro di vino che non verrà poi utilizzato nella cottura. Sistemare poi la carne
in un capace recipiente di terracotta. Unire le carote, il sedano e le cipolle
tagliate a grossi pezzi, qualche foglia di alloro, 1 o 2 scaglie di cannella e
alcuni grani di pepe. Ricoprire la lepre con il barbera e tenerla in marinata
per 12 ore, poi levare i pezzi di carne e filtrare il vino; mettere le verdure
della marinata in una casseruola, unire il burro e fare soffriggere: quando il
burro sarà dorato sistemare nel recipiente i pezzi di lepre, salarli, rosolarli
bene e versarvi sopra tutto il vino già usato. Cuocere a recipiente coperto ed
a fuoco lento: appena il barbera sarà tutto evaporato, allungare l'intingolo
con del brodo e proseguire la cottura, sempre a recipiente coperto, fino a
quando la carne e le verdure saranno ben cotte. infine levare i pezzi di lepre,
passare al setaccio tutto quanto è rimasto nel recipiente, rimettere la carne
nella casseruola e versarvi sopra il passato. immersa in questo intingolo la
carne diventerà più saporita; sarà migliore servita il giorno dopo, riscaldata
a bagnomaria. Questo piatto si può ricoprire, quando è la stagione, con
sottilissime fettine di tartufo d'alba.
Dolce
Crumiri:
Tempo di
cottura: 20 minuti circa. Ingredienti, dosi per alcune persone: 4 uova, 280 grammi
di burro, 160 grammi di zucchero, 200 grammi di farina bianca, 280 grammi di
farina gialla a grana fine, 1 bustina di vanillina. Preparazione: mescolare
insieme le 2 qualità di farina, lo zucchero e la vanillina, versando tutto
quanto nella spianatoia, poi incorporarvi 4 tuorli e il burro; lavorare bene la
pasta, poi farne una palla, avvolgerla in carta oleata e lasciarla riposare per
circa mezz'ora. Dividere poi la pasta in 2 o 3 pezzi, prenderne un pezzo alla
volta, arrotolarlo a forma di salsicciotto e metterlo in una siringa da
pasticceria, applicando ad essa il disco con il motivo di una stella. Infarinare
leggermente la spianatoia e fare uscire dalla siringa dei cannelli rigati,
tagliando poi questi in pezzi lunghi circa 10 cm., appoggiare delicatamente i
pezzetti di pasta sulla placca del forno imburrata ed infarinata, dando loro la
forma di una mezza luna appena accennata. Cuocere i "Crumiri" in
forno ben caldo (200°) lasciandoveli fino a quando avranno preso un bel colore
biondo (circa 20 minuti). chiusi in scatole di latta si conservano benissimo.
Lombardia
La Lombardia
è una regione estesa, densamente popolata, il cui territorio ha una
conformazione in cui si alternano pianura e montagne, laghi e città. La regione
basa la sua economia anche sull'agricoltura (cereali, ortaggi, frutta) e
sull'allevamento di bovini e suini; inoltre è praticata la pesca di lago. La
cucina risente positivamente di questa abbondanza di prodotti locali e per
questo possiamo dire che un piatto tipico, un ingrediente che sia comune a
tutta la regione, non esiste. Tratti distintivi della regione sono comunque
l'uso del riso più che della pasta, del burro più che dell'olio, della carne,
soprattutto suina, usata per insaccati (tra tutti il salame Milano e quello di Varzi), dei latticini. Molte sono infatti le varietà di
formaggi come il bitto della Valtellina, lo
stracchino, il gorgonzola, il grana, il mascarpone, il taleggio e i formaggi di
montagna del bergamasco. Piatti tipici della regione
sono i pizzoccheri, specialità valtellinese
che consiste di una specie di fettuccine cotte con acqua e verdure, condite con
formaggio e burro rosolato con salvia ed aglio. La “cassoeula”,
piatto a base di verdure e carne di maiale (cotenne, costine e piedini),
servita con polenta o purea di patate. La tortella di
zucca, specialità mantovana di lunga Preparazione, tipicamente natalizia, a base
di zucca e amaretti; vengono serviti conditi con burro e parmigiano. Il
panettone, tipico dolce natalizio, conosciuto e diffuso ormai anche fuori d'Italia.
Tra le varie specialità delle province possiamo ricordare ancora: a Milano, il
risotto, le cotolette e l'osso buco alla milanese, il minestrone, la zuppa di
ceci con tempia di maiale, preparate tradizionalmente per il 2 novembre; a Mantova
la torta sbrisolona, dolce secco; nella zona dei
laghi, l'ottimo pesce d'acqua dolce, soprattutto persico e trote; a Pavia, la
zuppa pavese e il risotto alla certosina; nel bergamasco,
la polente taragna; a Sondrio e nella Valtellina la
bresaola, filetto di bue essiccato e servito con olio, limone e pepe (la
bresaola si prepara anche con carni equine); nel cremonese, formaggi e salumi,
la mostarda e, tra i dolci, il torrone.
Ricette
Antipasti
Paté di
fegato:
Tempo di
cottura: 10 minuti circa. Ingredienti, dosi per alcune persone: sale, 200 grammi
di burro, 250 grammi di fegatini di pollo, pepe, 1 foglia di alloro, 1
bicchierino di Marsala secco, 250 grammi di fegato d'oca. Preparazione: dopo
aver privato i due tipi di fegato della pellicina, tritarli finemente e
metterli in una casseruola. A fuoco basso soffriggerli per pochi minuti insieme
a 40 grammi di burro e all'alloro; regolare di sale e di pepe. Appena cotti,
dopo aver tolto la foglia di alloro, passarli al setaccio per privarli dei
filamenti. Ottenuta la crema, metterla in un recipiente con il restante burro e
lavoratela con un cucchiaio di legno, inglobandovi poco per volta il vino Marsala.
Versare il paté in una terrina e mettere in frigorifero. Servire dopo circa
un'ora.
Primi
piatti
Risotto
alla milanese:
Tempo di
cottura: 25 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: cipolle, 400 grammi di
riso, sale, 100 grammi di burro, 50 grammi di midollo di bue, 1 bustina di
zafferano, pepe, 1,5 lt. di brodo di carne, formaggio
parmigiano grattugiato. Preparazione: spezzettare il midollo e metterlo in una
casseruola con il burro e lo cipolla affettata sottile, far rosolare lentamente
mescolando spesso. Aggiungere il riso e farlo tostare qualche minuto, unire un
mestolo di brodo bollente e man mano che si asciuga unire altro brodo. Sciogliere
lo zafferano in poco brodo e aggiungerlo al risotto. A cottura ultimata
mantecare con il rimanente burro e il parmigiano grattugiato. Servire con altro
formaggio a parte.
Bigoli
con le sardelle:
Tempo di
cottura: 15 minuti circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: sale, 1 spicchio
d'aglio, olio d'oliva, 200 grammi di sarde; 400 grammi di bigoli.
Preparazione: pulire e diliscare i pesci, poi lavarli bene e asciugarli.
mettere sul fuoco una pentola con abbondante acqua salata e quando alzerà il
bollore gettarvi la pasta. Mentre cuoce porre in un tegamino l'aglio
schiacciato e l'olio; rosolare a fiamma minima, poi levare l'aglio, porre nel
recipiente le sardine e spappolarle bene con una forchetta: Fare attenzione
perché occorre cuocerle senza che l'olio abbia a friggere. Scolare i bigoli leggermente al dente e condirli con il sugo
preparato. Mescolare e servire senza accompagnamento di formaggio parmigiano,
come quasi tutti i primi piatti a base di pesce.
Malfatti:
Tempo di
cottura: 20/25 minuti. Ingredienti, dosi per 4/6 persone: 1 cipolla piccola,
200 grammi di ricotta, sale, 600 grammi di spinaci, 3 uova, 150 grammi di
burro, pepe, 250 grammi di farina bianca, noce moscata,
120 grammi di formaggio parmigiano grattugiato. Preparazione: pulire e lavare
accuratamente gli spinaci, poi lessarli senza acqua. Dopo di che li avrete scolati,
strizzateli bene e tritateli. Farli soffriggere in 30 grammi di burro
insaporito dalla cipolla intera alla quale sarà stato praticato un taglio a
croce, e poi tolta. Lasciare raffreddare. Unire agli spinaci la ricotta, metà
del parmigiano, una puntina di noce moscata, 2 uova
intere e 1 tuorlo, e 200 grammi di farina. Lavorare bene l'impasto, salarlo e
peparlo, poi dividerlo in tanti gnocchetti della
grossezza di una noce e passarli nella farina bianca. Lessarli per pochi minuti
in abbondante acqua bollente e salata; quando i malfatti affiorano in
superficie, scolarli e condirli con il rimanente
burro fuso, e l'altra metà del formaggio grattugiato. Tenerli al caldo in forno
per 5 minuti, per farli insaporire, quindi servirli subito affinché non perdano
in bontà.
Piatti
unici
Cassouela:
Tempo di
cottura: 3 ore. Ingredienti, dosi per 4 persone: 1 kg. di cavolo verza, 1
cipolla, sale, brodo, burro, 3 coste di sedano, 600 grammi di costine di maiale,
150 grammi di cotenne, vino bianco, pepe, 2 carote, 300 grammi di salsiccia
luganega, 4 salamin de verz,
1 piedino di maiale, 1 cucchiaio di salsa di pomodoro. Preparazione: spaccare
per il lungo il piedino, fiammeggiarlo insieme alle cotenne, raschiare tutto
bene per eliminare le setole. Poi lavare bene e tagliare le cotenne a listarelle. Metterle in acqua bollente e cuocerle per circa
un'ora così che vengano sgrassate. In una capace casseruola soffriggere la
cipolla tritata, appena comincia a dorare unire le costine, la luganega e i
salamini, lasciare insaporire, quindi bagnare con il vino e far evaporare a
fuoco moderato. A questo punto togliere le carni e nel fondo rimasto unire il
sedano e le carote tagliate a fettine, aggiungere il sugo di pomodoro sciolto
in poco brodo, aggiustare di sale e pepe e far cuocere a fuoco basso. Pulire la
verza e lavare le foglie, tagliarle grossolanamente e metterle in una pentola
ad asciugare con la sola acqua rimasta sulle foglie dopo il lavaggio, facendo
attenzione che non si attacchino al fondo. quando saranno pronte aggiungerle
alle altre verdure e mescolare, adagiarvi sopra la carne e continuare la
cottura scuotendo leggermente la casseruola per far affiorare il sugo,
continuare la cottura per circa un'ora. e' importante togliere il grasso
superfluo che viene a galla. A fine cottura dovrà risultare abbastanza densa e
leggermente collosa. Servire caldissima accompagnata da polenta.
Secondi
piatti
Trippa
alla milanese:
Tempo di
cottura: 3 ore e 15 minuti circa. Ingredienti, dosi per 6 persone: 1 cipolla,
sale, 1 kg. di trippa, brodo, 50 grammi di burro, 300 grammi di pomodori
pelati, 1 costa di sedano, pepe, 3 di salvia, 1 carota, formaggio parmigiano
grattugiato, 150 grammi di fagioli di Spagna. Preparazione: ammollare i fagioli
per una notte. Lessare i fagioli in acqua fredda. Lavare la trippa e tagliarla
a striscioline. in una casseruola soffriggere con il burro un trito di sedano,
carota, cipolla e salvia. quando cominciano a dorare unire la trippa, mescolare
e far assorbire l'acqua. unire i pomodori tagliati a pezzetti, aggiustare di
sale e pepe e far cuocere per circa 2 ore. Bagnare di tanto in tanto con del
brodo. Quindici minuti prima della fine cottura unire i fagioli sgocciolati,
regolare di sale e pepe e lasciar insaporire. servire la trippa ben calda e
cosparsa di parmigiano grattugiato.
Manzo
alla Valtellinese:
Tempo di
cottura: 4 ore circa. Ingredienti, dosi per 6 persone: sale, brodo, 100 grammi
di burro, 1 kg. di polpa di manzo, pepe, 500 grammi di pomodori maturi, 400 grammi
di cipolline. Preparazione: lavare i pomodori e tagliarli a metà privandoli dei
semi; spolverizzarli con sale e pepe. Prendere la carne e su ogni fetta
sistemare mezzo pomodoro; mettere poi una sull'altra tutte le fette di carne
così preparate e legarle bene insieme con un filo incolore, come se fosse un
polpettone. In una casseruola porre il burro spezzettato, sistemare nel
recipiente la carne e farla cuocere a fuoco basso per 3 ore, unendo, se
occorre, un po' di brodo. Trascorso questo tempo aggiungere le cipolline pelate
e proseguire la cottura per 1 ora, sempre a fuoco moderato. Slegare la carne;
disporre le sole fette (senza pomodoro) sul piatto di portata ben caldo e
irrorarle con il loro sugo; completare il piatto aggiungendo le cipolline e i
pomodori dopo aver tolto a questi ultimi la loro pelle che in parte si sarà già
staccata durante la cottura. servire
Contorni
Cavolfiore
al burro:
Tempo di
cottura: 40 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: 1 cipolla, sale, 100 grammi
di burro, prezzemolo, formaggio parmigiano grattugiato, 1 cavolfiore. Preparazione:
lessare il cavolfiore in acqua bollente salata, scolarlo
e dividerlo in tante cimette. tritare la cipolla e il
prezzemolo e farli soffriggere in una pìrofila con il
burro, quando la cipolla avrà preso colore aggiungere il cavolo e lasciar
insaporire. Cospargere di parmigiano grattugiato, mettere in forno già caldo a
180° per 10 minuti circa. Servire.
Dolci
Torta sbrisolona:
Tempo di
cottura: 1 ora circa. Ingredienti, dosi per 6/8 persone: 100 grammi di burro,
200 grammi di zucchero, 200 grammi di mandorle, 100 grammi di strutto, 250 grammi
di farina bianca, 150 grammi di farina gialla, 1 limone, zucchero a velo, 2
tuorli d'uovo, vanillina. Preparazione: mettere le mandorle in acqua bollente,
scottarle quindi pelarle e tritarle finemente. Passare la farina gialla al
setaccio. versare sulla spianatoia la farina bianca e unire quella gialla, le
mandorle, lo zucchero, la vanillina, la scorza di limone grattugiata ed i
tuorli. Aggiungere lo strutto ed il burro ammorbidito, lavorare fino ad
ottenere un impasto che non sia omogeneo ma che si sbricioli. Imburrare una
tortiera e mettere in forno già caldo a 180° per circa un'ora. Sfornare,
lasciare intiepidìre e spolverizzare con lo zucchero
a velo.
Panettone
alla milanese:
Tempo di
cottura: 45 minuti. Ingredienti, dosi per 6/8 persone: sale, 1uovo, 180 grammi
di burro, 70 grammi di sultanina, 180 grammi
di zucchero, 850 grammi di farina bianca, 100 grammi di lievito di birra, 4
tuorli d'uovo, 50 grammi di canditi a dadini. Preparazione:
fare sciogliere in una ciotola con poca acqua tiepida il lievito e metterlo in
una terrina con 100 grammi di farina; mescolare con la forchetta e lavorare
rapidamente la pasta in modo da ottenere un panetto piuttosto morbido. Mettere
il panetto in una piccola terrina leggermente infarinata e lasciare lievitare
in ambiente caldo per 3 ore, coperto con un tovagliolo. Impastare poi il
panetto con altri 100 grammi di farina e poca acqua tiepida e lasciare ancora
lievitare nello stesso modo per altre due ore. Con la farina rimasta formare
sulla spianatoia la fontana, mettere al centro il burro sciolto a lieve calore,
lo zucchero, 4 tuorli, 1 uovo intero e un pizzico di sale. Lavorare con energia
per circa 20 minuti o fino a quando si formeranno delle bollicine nella pasta,
che dovrà essere ben soda. Aggiungere il composto lievitato e impastare il
tutto fino a che la pasta si staccherà dalla spianatoia. Strizzare e asciugare
l'uvetta, precedentemente ammorbidita in acqua tiepida, tagliare i canditi a dadini e unire tutto all'impasto lavorando ancora la pasta,
in modo che gli ingredienti siano uniformemente distribuiti e l'impasto risulti
soffice e lucido. Formare una pagnotta rotonda e non troppo alta, circondarla
con una fascia di cartoncino, porla sulla placca da forno leggermente imburrata
e farla lievitare in luogo caldo per altre 4 ore o fino a che avrà raddoppiato
il suo volume. Poi con la punta di un coltello affilato fare un'incisione a
croce sulla sommità della pagnotta, mettere al centro un fiocchetto di burro e
passare in forno ben caldo (220°) per 45 minuti o fino a quando, infilando
nell'impasto un ago da calza, questo uscirà perfettamente asciutto, e la crosta
avrà assunto il tipico colore bruno leggermente bruciato. Lasciare raffreddare
e servire.
Toscana
La
regione degli antichi etruschi è una terra di forti tradizioni, caratterizzata
da un grande attaccamento alla propria identità culturale. Il territorio,
prevalentemente collinare, ha ampie zone pianeggianti e si affaccia sul Tirreno
con una costa frastagliata. Molte sono le città d'arte e di rilevanza storica. Questo
insieme fa della Toscana una delle principali mete turistiche italiane. Sono
molti i prodotti tipici della regione: i vini, l'olio d'oliva, ì bovini di
razza “chinina”, i polli del Valdarno, i funghi, il
cinghiale della Maremma, i tartufi di san Miniato, e ancora carciofi, asparagi,
cavoli neri, fagioli, formaggi. Da questa varietà di prodotti nasce una cucina
schietta e semplice; i metodi di cottura usati sono quelli tradizionali della
griglia, dei fritto e dell'arrosto. Accanto a questa semplicità, si muove la
fantasia, che ha permesso la creazione di piatti originali, eleganti nella loro
frugalità, tramandati fino ai nostri giorni. La cucina toscana è anche stata
messaggera di cultura e civiltà in Europa, particolarmente nel Rinascimento,
quando cuochi e prodotti toscani giunsero fino in Francia al seguito di Caterina
de' Medici. La conformazione assai varia dei
territorio determina un offerta molto assortita di specialità gastronomiche in
ogni provincia. La zona di Massa Carrara, tra montagne e mare, risente degli
influssi della cucina ligure, ma offre anche piatti originali come la polenta
servita con lo stufato di capra. Nella lucchesia
domina in ogni pietanza l'olio d'oliva; piatto particolare è la garmugia, a base di varie verdure; dolce tradizionale (fin
dal 1458) è il buccelato, ciambella all'anice. Nella Garfagnana, si coltiva il farro, usato con i fagioli per
preparare la tipica zuppa. Caratteristiche del pisano sono l'abbondanza di
ortaggi, usati per minestre e sformati, e la pesca alla foce dell'Arno delle cèhe (ceche), piccole anguille che vengono preparate
fritte. La cucina livornese è una cucina di mare, nota per le sue zuppe, come
il caciucco, e per varie preparazioni in umido che
prendono il nome dalla città (ad esempio triglie alla livornese). Nel grossetano sono i piatti di selvaggina, i salumi di
cinghiale e i formaggi come il pecorino di montagna di seggiono
o la ricotta a dominare le tavole; una zuppa speciale è l'acquacotta
a base di pane raffermo abbrustolito e servito in un brodo fatto con acqua,
aglio, pomodoro, funghi, cui vengono aggiunti uova e formaggio. Nella zona di Siena
sono da ricordare i pici o pinci
(specie di spaghetti tirati a mano), l'ottima produzione di pecorino delle
crete e i dolci, noti ormai in tutto il mondo, come i ricciarelli e il
panforte. Nel pistoiese sono prodotti tipici i funghi
e le castagne, gli asparagi di Pescia e i
"fagiolini di Sant'annd' lunghi e dal gusto
aspro, insieme ai formaggi con i quali si mangiano i neccí,
piccole schiacciatine di farina di castagne. Nella zona di Arezzo piatti tipici
sono le pappardelle servite con sugo d'anatra e la scottiglia,
stufato di origine medievale a base di vari tipi di carni (bianche e di
selvaggina) servito con pane abbrustolito. La cucina fiorentina raccoglie in se
tutte le cucine della regione. Moltissimi sono i piatti che possiamo ricordare:
í crostini con fegatini di pollo, minestroni e zuppe come la ribbolita, risotti, grigliate di carne (la bistecca alla
fiorentina di manzo chianino), tanti piatti di
fagioli, all'uccelletto o al fiasco (cotti sulla brace del camino in un fiasco
spagliato), o ancora piatti come l'arista, lombata del maiale arrosto, che
secondo la tradizione fu servita la prima volta nel 1430 ai vescovi greci
durante il consiglio ecumenico, che trovarono "aristos",
cioè "la migliore" da cui il nome. Tra i dolci possiamo trovare varie
specialità come lo zuccotto, a base di panna, i cenci e la schiacciata alla
fiorentina, tipici di carnevale, i biscotti di Prato alle mandorle, il
castagnaccio, preparato con la farina di castagne.
Ricette
Antipasti
Crostini
di fegatini:
Tempo di
cottura: 35/40 minuti. Ingredienti, dosi per 6 persone: 1 cipolla, sale,
capperi, brodo, burro, 350 grammi di fegatini di pollo, vino bianco, pepe, pane
casalingo, olio d'oliva. Preparazione: tritare la cipolla e farla imbiondire in
2 cucchiai d'olio e un poco di burro. Unire i fegatini tagliati, cuocere per
circa 25 minuti bagnando con il vino. A fine cottura tritare tutto finemente,
aggiungere i capperi e i filetti d'acciuga tritati, cuocere ancora unendo un
po' di brodo, aggiustare di sale e pepe. Spalmare l'impasto su fettine di pane
tostate e bagnate appena nel brodo.
Primi
piatti
Acquacotta:
Tempo di
cottura: 1 ora circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: 1 cipolla, 1 kg. di
funghi porcini, 4 o 6 uova, aglio, 350 grammi di pomodori pelati, 1 cista di
sedano, prezzemolo, formaggio pecorino grattugiato, 1 carota, olio d'oliva. Preparazione:
Preparare il brodo vegetale con il sedano, la carota, la cipolla e i pomodori,
il tutto tagliato a dadini e far cuocere per venti
minuti. Tagliare i funghi porcini e farli trifolare
con olio, aglio tritato, peperoncino e prezzemolo. Aggiungere i funghi al brodo
vegetale, salare, pepare e portare e cottura. Qualche minuto prima di servire
cuocere nella zuppa le uova 'in camicia'. servire in
scodelle di coccio, spolverando di pecorino grattugiato.
Ribollita:
Tempo di
cottura: 1 ora e 30 minuti circa. Ingredienti, dosi per 6 persone. 400 grammi
di cavolo nero, 300 grammi di cavolo verza, 1 cipolla, sale, 2 spicchi d'aglio,
2 coste di sedano, pepe, 5 pomodori, 1 rametto di timo, 350 grammi di fagioli
cannellini cotti, 1 porro, 2 carote, 1 bicchiere di olio d'oliva, 300 grammi di
pane raffermo. Preparazione: in un grande tegame mettere a rosolare la cipolla
e l'aglio tritato. Quando ha preso colore aggiungere il porro, il sedano e le
carote, il tutto affettato molto finemente. Quindi unire i pomodori a pezzetti,
il timo, i cavoli tagliati finemente, sale e pepe. Far appassire tutte le
verdure. Prendere i fagioli metterne circa un quarto da parte e passare il
resto. Aggiungere tutto il passato alla zuppa. Se necessario aggiungere acqua
calda. Fare cuocere per circa un'ora. Quando sarà tutto pronto aggiungere i
fagioli interi messi da parte; far cuocere ancora qualche minuto, la Preparazione
dovrà risultare piuttosto liquida. Affettare il pane e sistemarlo sul fondo su
due strati. Al momento di servire riscaldare a fuoco basso e con il coperchio. Servire
con aggiunta di olio di oliva e pepe nero direttamente nei piatti.
Sformato
di riso alla Toscana:
Tempo di
cottura: 1 ora circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: 1 cipolla, 100 grammi di
rigaglie, 400 grammi di riso, sale, 300 grammi di salsiccia, olio, brodo,
burro, un bicchiere di vino bianco, pepe, 5 pomodori, formaggio parmigiano
grattugiato. Preparazione: spellare la salsiccia e sminuzzarla, pulire e lavare
le rigaglie, quindi tritarle grossolanamente. Mettere sul fuoco una casseruola
con il burro, due cucchiai di olio e la cipolla tritata finemente, fare
appassire leggermente la cipolla senza però lasciarla troppo colorire, quindi
unire la salsiccia sminuzzata e le rigaglie; mescolare a lungo, poi bagnare con
il vino bianco. Non appena il vino sarà evaporato unire i pomodori spellati e
privati dei semi, fare cuocere leggermente poi unire il riso, lasciandolo
rosolare per qualche minuto e mescolando sempre. quindi cominciare a versare il
brodo bollente, e portare il riso e cottura completa aggiungendo man mano altro
brodo non appena il precedente viene assorbito. Salare leggermente e pepare
invece in abbondanza. Togliere il riso dal fornello, incorporarvi tre buone
manciate di parmigiano e rovesciarlo in uno stampo rotondo con il buco centrale
ben imburrato. Pressare leggermente il composto e metterlo in forno per cinque
minuti. Quindi sfornare e rovesciare lo sformato sul piatto di servizio.
Secondi
piatti
Bistecca
alla Fiorentina:
Tempo di
cottura: 6/7 minuti. Ingredienti, dosi per 2 persone: sale, olio, pepe, 1 kg.
di bistecca completa di filetto e controfiletto. Preparazione: mettere la
bistecca in un largo piatto, irrorarla con un filo d'olio, insaporirla con
abbondante pepe macinato al momento e lasciarla marinare così per dieci minuti.
Fare arroventare la griglia (sarebbe meglio usare la brace di legna), adagiarvi
la bistecca e lasciarla cuocere tre o quattro minuti per parte; salarla un
attimo prima di levarla dal fuoco e servirla subito, caldissima.
Cinghiale
in salmì:
Tempo di
cottura: 2 ore circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: 1 cipolla, sale, vino
rosso, 2 spicchi d'aglio, 400 grammi di pomodori pelati, 1 costa di sedano,
pepe, 200 grammi di olive nere, rosmarino, alloro, 800 grammi di polpa di
cinghiale con cotenna, 1 carota, olio d'oliva. Preparazione: tagliare la polpa
a pezzi, metterla in un tegame con il sale e far fare l'acqua per qualche
minuto. In una casseruola rosolare il trito di cipolla carota, aglio, sedano,
alloro e rosmarino. Aggiungere i pezzi di cinghiale scolati e farli colorire a
fuoco vivace. Bagnare con 2 bicchieri di vino rosso, aggiustare di pepe e sale
e cuocere lentamente. Quando il vino si sarà ritirato, unire i pomodori e
portare a cottura versando del brodo o acqua se occorre, a fine cottura
aggiungere le olive.
Trippa
alla fiorentina:
Tempo di
cottura: 1 ora circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: 1 cipolla, sale, 1 kg.
di trippa, 1 bicchiere di vino rosso, 300 grammi di pomodori pelati, 1 costa di
sedano, pepe, 1 carota, 1 carota, formaggio parmigiano grattugiato, olio
d'oliva. Preparazione: far rosolare gli odori tritati finemente con 6 cucchiai
d'olio d'oliva, aggiungere la trippa tagliata a striscioline e farla
insaporire, aggiungere il vino rosso e farlo evaporare. Aggiungere i pomodori,
aggiustare di sale e pepe, continuare la cottura per circa 40 minuti a fuoco
basso. Servire bollente con il parmigiano a parte.
Triglie
alla livornese:
Tempo di
cottura: 30 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: sale, 4 triglie da 200
grammi, 2 spicchi d'aglio, 5 cucchiai d'olio, 1 costa di sedano, 2 cucchiai di
prezzemolo, pepe, 2 cucchiai di farina bianca, 400 grammi di pomodori maturi. Preparazione:
tritare insieme aglio e sedano, quindi spezzettare i pomodori. Mettere l'olio
in un tegame, e unire il trito di aglio sedano e prezzemolo. Lasciare
soffriggere a fuoco moderato per qualche minuto, poi unire i pomodori, sale e
pepe e continuare la cottura, sempre a fuoco moderato, per 20 minuti. pulire i
pesci, quindi lasciarli scolare e poi infarinarli leggermente. Quando i
pomodori saranno a metà cottura, fare scaldare in una padella il restante olio
e farli rosolare prima da un lato, poi dall'altro le triglie. Toglierle e
sistemarle nella pirofila, in un solo strato, saldarle e peparle appena. Passare
al setaccio il composto di pomodori, lasciando scendere il passato sulle
triglie; unire il restante prezzemolo e lasciare cuocere per circa 10 minuti,
girando le triglie una sola volta con molta delicatezza.
Dolci
Schiacciata
alla Fiorentina:
Tempo di
cottura: 30 minuti circa. Ingredienti, dosi per alcune persone: sale, uova, 80 grammi
di zucchero, strutto, zafferano, 250 grammi di farina bianca, noce moscata, lievito di birra, arancia, zucchero a velo, 1
vanillina. Preparazione: mettere la farina in una zuppiera, aggiungere il
lievito sciolto in acqua tiepida e lavorare con un cucchiaio cercando di
ottenere un impasto abbastanza consistente. Lasciarlo riposare in un luogo
tiepido coperto con un tovagliolo per un'ora circa, appena la pasta sarà
lievitata aggiungere l'uovo, lo strutto (lasciare un poco per ungere la
teglia), lo zucchero, la vanillina, una punta di zafferano, la scorza d'arancio
grattata, un pizzico di noce moscata e uno di sale. Lavorare
energicamente con un cucchiaio per almeno 10 minuti. Versare l'imposto in una
teglia rettangolare unta con lo strutto, lo spessore della schiacciata deve
essere di circa 2 cm. Lasciare riposare nella teglia per 2 ore avendo cura di
coprirla con un tovagliolo. Mettere in forno già caldo (a 150°) per 30 minuti
circa, sfornarla e farla raffreddare quindi imbiancarla con lo zucchero e velo.
Lazio
Le
ricette laziali sono piuttosto semplici ed economiche, e forse per questo manca
nel Lazio un vero e proprio capolavoro di culinaria. Il piatto simbolo di
questa regione può essere considerato l'abbacchio, del quale vengono usate
anche le interiora (o coratella) preparate talvolta con i carciofi. Le
frattaglie trovano impiego come condimento della pasta (ad esempio i rigatoni
con la pagliata, cioè parte dell'intestino dei vitelli di latte) o come secondo
piatto (ad esempio la coda alla vaccinara, la trippa,
i fagioli con le cotiche, ancora oggi sui menu di locali popolari). Lungo la
costa è apprezzabile la cucina marinara. Per il resto troviamo piatti caserecci
e campagnoli profumatissimi per le erbe e gli aromi di cui sono ricchi. Tra i
piatti tipici della regione, particolare rilievo hanno, nella cucina romana, la
salsa amatriciana, a base di guanciale e pecorino
romano, secondo l'usanza di Amatrice, paese del Sabino che ne rivendica la
paternità (anche se alcuni assegnano i natali di questa ricetta alla provincia
dell'Aquila). Altri primi piatti tipici sono le fettuccine alla papalina, gli
spaghetti all’arrabbiata o alla carbonara, i supplì di riso. Tra i piatti di
carne troviamo i saltimbocca alla romana, fettine di vitello con prosciutto
crudo e salvia, cotte in burro e vino per pochi minuti e servite con la salsa
ottenuta, e le costolette di agnello scottadito, cotte sulla griglia. Altre
specialità sono i fritti, come quello "alla romana", con animelle,
cervello, schienali e carciofi; molto popolari sono anche i broccoli e le rape,
insalatine di campo, come cicoria e rughetta, la lattuga romana, i carciofi. Una famosa ricetta
è quella di origine ebraica dei carciofi alla “giudia”
(chiamati alla ”giudia o anche alla “giudea” per il
fatto che la punta del gambo la si taglia, o, se si vuole, la si circoncide
come fanno i giudei con prepuzio degli appena nati), fatti dorare interi in
olio. Tra i formaggi ricordiamo la ricotta, il pecorino e la tipica provatura (mozzarella) delle zone dell'agro pontino. La ricotta è usata anche per la preparazione di
dolci e crostate; dolci di carnevale di origine antica sono le frappe e le
castagnole, a base di pasta fritta.
Ricette
Antipasti
Costine
alla provatura e alici:
Tempo di
cottura: 30 minuti circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: sale, 150 grammi di
burro, poco latte, pepe, pane casereccio affettato, 2 acciughe sotto sale, 300 grammi
di mozzarelle. Preparazione: insaporire con sale e pepe la mozzarella dopo
averla tagliata a fettine. Tagliare delle fette di pane della stessa grandezza
di quelle di mozzarella. Infilare nello spiedo una fetta di pane e una di
mozzarella fino a riempirlo: l'ultimo pezzetto sarà di pane. Il formaggio e il
pane devono essere ben uniti. Calcolare uno spiedino a testa. Finito di
preparare gli spiedini, porli in una teglia facendo in modo che il ferro dello
spiedo rimanga appoggiato tra un bordo e l'altro della teglia: devono restare
sospesi senza toccare il fondo del recipiente. Disporre la teglia in forno già
caldo (200°) e tenerla per 20 minuti, pennellando ogni tanto gli spiedini con
burro fuso. Soffriggere leggermente il restante burro insieme alle due alici
(pulite e diliscate) facendole sciogliere. Aggiungere per allungare un po' di
latte bollente e versare la salsa in un piatto di portata caldo. Servire
subito.
Primi
piatti.
Bucatini
all'amatriciana:
Tempo di
cottura: 30 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: sale, 250 grammi di
pomodori pelati, peperoncino, olio d'oliva, 400 grammi di bucatini, formaggio
romano o grana, 150 grammi di guanciale (ganascia di maiale). Preparazione:
tagliare il guanciale a dadini. In una padella
mettere un filo d'olio e farvi rosolare il guanciale a fuoco lento, quando sarà
ben dorato toglierlo e metterlo da parte. Nello stesso olio aggiungere i
pomodori sminuzzati e il peperoncino, aggiustare di sale e far cuocere per
circa dieci minuti. A fine cottura aggiungere il guanciale e far insaporire. Nel
fratTempo cuocere i bucatini in abbondante acqua salata. Scolarli
al dente, condire con il sugo e spolverizzare con il formaggio; mescolare bene
e servire.
Minestra tuscia:
Tempo di
cottura: 30 minuti circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: 1 cipolla, 1 patata,
sale, 1 spicchio d'aglio, 30 grammi di burro, 1 gambo di sedano, alcune foglie
di basilico, 1 ciuffo di prezzemolo, 1 pomodoro maturo, 1 carota, formaggio
parmigiano grattugiato, 1 zucchina, 50 grammi di semolino. Preparazione:
affettare la cipolla, spuntare la zucchina, lavarla e tagliarla a listarelle. Tritare il prezzemolo, l'aglio il sedano e il
basilico. Raschiare bene la carota, pelare la patata e grattugiarle tutte e
due. Togliere la buccia al pomodoro e tagliarlo a cubetti. Mettere tutte le
verdure in una pentola, aggiungere un litro di acqua e salare. Far cuocere da
quando inizia a bollire per circa 15 minuti, a questo punto unire il semolino
mescolando bene affinché non si formino i grumi, lasciar cuocere ancora
quindici minuti. Togliere la minestra dal fuoco, unire il burro e 2 cucchiai di
parmigiano grattugiato, mescolare bene e servire.
Spaghetti
alla carbonara:
Tempo di
cottura: 10 minuti circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: 150 grammi di pancetta,
sale, 3 uova, aglio, 400 grammi di spaghetti, 3 cucchiai di formaggio pecorino
grattugiato, pepe, 3 cucchiai di formaggio parmigiano grattugiato, olio
d'oliva. Preparazione: far soffriggere in un largo tegame unto di olio la
pancetta tagliata a dadini, unire uno spicchio di
aglio schiacciato e levarlo quando sarà ben rosolato. rompere le tre uova
intere in un piatto e sbatterle bene. Poi mettere a lessare gli spaghetti e scolarli al dente. A questo punto versarli nel tegame del
soffritto, mescolare e togliere il recipiente dal fuoco. Aggiungere le uova
sbattute, un po' di pepe nero, 1 cucchiaiata di parmigiano e 1 cucchiaiata di
pecorino grattugiati. Mescolare affinché le uova si trasformino in una fluida
crema gialla. Unire poi il restante formaggio, mescolare e servire.
Secondi
piatti.
Abbacchio
alla romana:
Tempo di
cottura: 45 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: sale, aglio, aceto bianco,
pepe, 1 rametto di rosmarino, 1 kg. di agnello (con coste e rognone), 2
acciughe sotto sale, olio d'oliva. Preparazione: tagliare l'agnello a pezzetti
regolari. Soffriggere in una padella l'olio con 2 spicchi di aglio schiacciati,
poi mettervi i pezzi di agnello e lasciarli a rosolare a fuoco moderato. Salare
e pepare. Pestare nel mortaio le foglioline del rosmarino con le acciughe
lavate e diliscate e mezzo spicchio di aglio, versare nel mortaio anche qualche
cucchiaiata di aceto. Quando l'agnello sarà pronto versarvi sopra questa salsa,
mescolare e aspettare che l'aceto evapori. Poi sistemare l'agnello cosparso di
sugo in un piatto di portata scaldato e servire.
Coda alla
vaccinara:
Tempo di
cottura: 4 ore e 50 minuti circa. Ingredienti, dosi per 8 persone: 1 cipolla,
100 grammi di lardo, sale, 1 spicchio d'aglio, 1 sedano, prezzemolo, 30 grammi
di strutto, 1 bicchiere di vino bianco, pepe, 1 carota, salsa di pomodoro, 2
kg. di coda e guancia di bue. Preparazione: fare un trito finissimo con
prezzemolo, aglio, cipolla e carota. Poi tritare il lardo e tagliare la coda e
la guancia a pezzetti, lavarli e immergerli in acqua in ebollizione. Quando
l'acqua alzerà di nuovo il bollore togliere la carne. In una casseruola di
terracotta mettere il lardo, lo strutto e il trito. Lasciare a soffriggere un
istante e unire i pezzetti di carne, mescolare e rosolare fino a che la carne
si colorisca. Salare, pepare e continuare a rosolare, bagnando poco per volta
con il vino bianco. Quando questo sarà evaporato unire due cucchiaiate di salsa
di pomodoro sciolta in mezzo litro di acqua calda. Coprire il recipiente e
cuocere a fuoco bassissimo per circa 4 ore. A cottura ultimata aggiungere alla
carne le coste del sedano a pezzetti e lasciare sul fuoco ancora mezz'ora. Mettere
la carne sul piatto di portata coprendola con il suo sugo. Servire calda.
Salsicce
con broccoletti:
Tempo di
cottura: 20/25 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: sale, 450 grammi di
salsiccia, 1 spicchio d'aglio, 800 grammi di broccoletti
di rapa, strutto, pepe, peperoncino rosso piccante. Preparazione: soffriggere
in un recipiente di coccio lo strutto con lo spicchio di aglio schiacciato e un
pezzettino di peperoncino, unire poi le salsicce. aggiungere i broccoletti, puliti e lavati, coprire il recipiente e
cuocere lentamente. Se è necessario bagnare, durante la cottura, con un po' di
acqua o brodo, mescolando spesso. Togliere il peperoncino e servire.
Contorni.
Carciofi
alla giudìa:
Tempo di
cottura: 15 minuti circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: 8 carciofi, sale,
pepe, 1 limone, olio d'oliva. Preparazione: pulire accuratamente i carciofi con
un piccolo coltello a lama affilata tagliando le foglie esterne più dure in
senso circolare fino ad arrivare alle foglie più chiare che sono le più tenere.
Immergere i carciofi per qualche minuto in acqua acidulata
con succo di limone. Scolarli, asciugarli bene e
batterli per allargare le foglie. Condire con sale e pepe. Friggerli in
abbondante olio ben caldo girandoli spesso perché si cuociano tutti bene. A
cottura quasi ultimata spruzzarli con qualche goccia di acqua fredda per
renderli più croccanti. Toglierli dalla padella, passarli su carta assorbente e
servire subito.
Fave col
guanciale:
Tempo di
cottura: 15 minuti circa. Ingredienti, dosi per 6 persone: sale, 3 kg. di fave,
olio, 1 bicchiere di brodo, pepe, 200 grammi di guanciale
(ganascia di maiale), 1 cipollina novella. Preparazione: in un tegame piuttosto
largo soffriggere a fuoco basso l'olio con il guanciale di maiale a fettine,
mescolare ed unire la cipolla intera, le fave sgranate, il sole, il pepe ed il
brodo bollente. Cuocere a fiamma viva ed e recipiente coperto per 15 minuti
circa, mescolando di tanto in tanto.
Dolci.
Budino di
ricotta:
Tempo di
cottura: 40 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: 500 grammi di ricotta, 5
uova, burro, 100 grammi di zucchero, farina bianca, 1 bicchierino di rhum, 30 grammi
di cedro candito, 30 grammi di arancia candita, cannella in polvere, scorza
grattugiata di limone. Preparazione: in una terrina mettere la ricotta, unire
un uovo intero e 4 tuorli, mescolare bene, quindi aggiungere 2 cucchiai di
farina, 60 grammi di zucchero, un pizzico di cannella, i canditi, la scorza di
limone grattugiata e il rum. Amalgamare bene il tutto. montare a neve gli
albumi e unirli al composto mescolando delicatamente. Imburrare uno stampo a
pareti lisce, spolverizzarlo di farina e versarvi il composto (non deve
superare la metà dello stampo). Mettere in forno a 160° per circa 40 minuti. A
cottura ultimata toglierlo dal forno, lasciarlo raffreddare, levarlo dallo
stampo e quindi spolverizzarlo con lo zucchero rimasto e un pizzico di cannella.
Sicilia
La cucina
di questa regione è legata alle tradizioni del passato, in particolare modo
alle dominazioni arabe e normanne, che hanno lasciato una grossa impronta su
tutti gli aspetti della vita della popolazione locale. Prodotti tipici della
regione sono gli agrumi (aranci, pompelmi, limoni, mandarini, ecc...), le
verdure (soprattutto pomodori, zucchine, melanzane) e i prodotti della pesca. La
pesca, nonostante la crisi provocata dai rischi di estinzione di alcune specie
e dall'inquinamento delle acque è uno dei capisaldi dell'economia della
regione: pesce azzurro, tonno, pesce spada e crostacei che arrivano sui nostri
mercati, provengono in gran parte da queste zone. Non a caso, la base della
cucina siciliana è rappresentata proprio dal pesce, preparato in vari modi,
servito con aggiunta di erbe aromatiche o con pasta. Oltre al pesce ed alla
pasta, sempre ben condita, un'altra specialità siciliana è rappresentata dalla
pasticceria in genere, la cui base spesso è la pasta di mandorle. Piatti tipici
della regione sono: tra i primi piatti, gli arancini di riso, la pasta con le
sarde e la pasta 'ncasciata, specialità messinese preparata con fegatini di pollo, carne di
vitella, melanzane, mozzarella e uova sode; a Catania troviamo la pasta alla Norma,
con sugo di pomidoro, melanzane e ricotta salata; il nome deriva dall'opera
lirica di Vincenzo Bellini, compositore catanese. Tra
i piatti di pesce, la agghiotta di pesce spada,
servita con uvetta, pinoli, olive verdi e capperi, ed accompagnata con fette di
pane tostato; nel trapanese il pesce viene servito
con il “couscous” di derivazione araba. Tra i dolci,
i cannoli alla siciliana, un Tempo Preparazione tipica di carnevale ora in uso
tutto l’anno. La cassata ed il torrone, detto "torrone di Sant'Agata", a Catania, dal nome della patrona della
città.
Ricette
Antipasti
Caciu
all'Argintera:
Tempo di
cottura: 10 minuti circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: aceto, sale, 1
spicchio d'aglio, pepe, origano, olio d'oliva, 300 grammi di caciocavallo. Preparazione:
tagliare il formaggio a fette alte circa un centimetro. In una padella mettere
l'olio e far soffriggere l'aglio, unire le fette di formaggio, farle dorare
appena e spruzzarle con l'aceto, quindi farlo evaporare. Spolverizzare con
l'origano pepe e un poco di sale. Servire immediatamente.
Primi
piatti.
Pasta
alla Norma:
Tempo di
cottura: 50 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: Sale, 2 spicchi d'aglio,
350 grammi di spaghetti, basilico, 600 grammi di pomodori maturi, olio d'oliva,
3 melanzane, 100 grammi di ricotta affumicata grattugiata. Preparazione: lavare
le melanzane senza sbucciarle, spuntarle alle estremità e tagliarle e fette
sottili, cospargerle di sale e lasciarle così per un'ora affinché perdono
l'amaro. Sbucciare i pomodori ed eliminare i semi, quindi farli a tocchetti. In un'ampia padella far rosolare l'aglio
schiacciato con l'olio, quando l'aglio comincia e prendere colore unire i
pomodori e il basilico tritato. Aggiustare di sale e pepe, facendo cuocere per
15 minuti. Intanto lavare le melanzane eliminando il sale, asciugarle e quindi
friggerle in abbondante olio dorandole bene. Un po' alla volta passarle su
carta assorbente, aggiustarle di sale e pepe. Cuocere gli spaghetti in
abbondante acqua salata. Scolare la pasta e versarla nella padella del sugo,
spolverare con la ricotta, unire le melanzane, mescolare bene e servire.
Pasta con
le sarde:
Tempo di
cottura: 50 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: 1 cipolla, sale, 30 grammi
di pinoli, 50 grammi di uva sultanina, 1 bustina di zafferano, pepe, 2 acciughe
sotto sale, olio d'oliva, 300 grammi di bucatini, 400 grammi di sarde, 500 grammi
di finocchietto selvatico di montagna. Preparazione: pulire le sarde, togliere
la lisca e la testa lasciandole unite su un lato. pulire il finocchietto
selvatico tenendone solo le cime; lavare bene e lessare in acqua leggermente
salata per circa dieci minuti. scolare conservando il liquido di cottura e
tritare le cimette grossolanamente. Mettere ad
ammorbidire l'uvetta in poca acqua tiepida. Tritare finemente la cipolla,
metterla in un recipiente abbastanza largo e coprirla di acqua, aggiustare di
sale e far cuocere, aggiungere un poco di olio, la bustina di zafferano sciolta
in poca acqua tiepida, i pinoli e l'uvetta strizzata. Cuocere il tutto e poi
unire le sarde; dopo circa dieci minuti unire il finocchietto, sale e pepe. Continuare
la cottura a fuoco moderato mescolando ogni tanto. A fine cottura unire le
acciughe precedentemente dissalate, diliscate e spappolate a parte in un
tegamino con poco olio. Far cuocere la pasta nell'acqua di cottura del
finocchietto. Scolarla al dente e condirla con la
salsa. Farla riposare qualche minuto e servirla.
Spaghetti
al tonno:
Tempo di
cottura: 20 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: 1 cipolla, sale, 2 cucchiai
di capperi, olio, 300 grammi di pomodori pelati, 350 grammi di spaghetti, 1/2
bicchiere di vino bianco, pepe, 250 grammi di tonno fresco. Preparazione:
tritare la cipolla e farla soffriggere con un poco di olio, quando comincia a
prendere colore unire il tonno tagliato a tocchetti e
farlo rosolare bene. Aggiungere il vino e far evaporare, quindi unire i
pomodori, i capperi tritati, aggiustare di sale e pepe e far cuocere per circa
15 minuti. Mentre cuoce con la forchetta cercare di spappolare il tonno. Cuocere
gli spaghetti e scolarli al dente condirli con il sughetto preparato. Mescolateli bene e serviteli.
Vermicelli
alla siracusana:
Tempo di
cottura: 40 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: sale, 1 spicchio d'aglio,
basilico, formaggio pecorino grattugiato, olive nere, 300 grammi di pomodori
maturi, 2 acciughe sotto sale, olio d'oliva, 1 melanzana, 1 peperone giallo, 1
cucchiaio di capperi sotto sale, 350 grammi di vermicelli (spaghetti). Preparazione:
fiammeggiare bene il peperone quindi togliergli la pellicina ormai bruciata,
dividerlo a metà, svuotarlo e tagliarlo a listarelle.
Dissalare e diliscare le acciughe e farle a pezzetti. Tagliare a dadini i pomodori e la melanzana, snocciolare le olive,
lavare i capperi e tritarli. In un tegame mettere l'olio, lo spicchio di aglio,
le acciughe, le melanzane e i pomodori, far rosolare bene il tutto; quindi
unire le olive, il basilico sminuzzato, il peperone, i capperi e aggiustare di
sale. Continuare la cottura a fuoco moderato. Cuocere la pasta in abbondante
acqua salata, scolarla al dente e condirla con il sughetto preparato e il formaggio grattugiato. Mescolare
bene il tutto e servire.
Secondi
piatti.
Agnello aggrassato:
Tempo di
cottura: 1 ora circa. Ingredienti, dosi per 6 persone: 1 cipolla, sale, vino
rosso, 3 spicchi d'aglio, Prezzemolo, 2 cucchiai di strutto, pepe, olio
d'oliva, 50 grammi di caciocavallo, 1 kg. di spezzatino di agnello, 500 grammi
di patate novelle, 50 grammi di pecorino siciliano. Preparazione: tagliare a
velo la cipolla e farla soffriggere con l'olio, usando un largo tegame; quando
inizierà a colorire unire lo strutto e appena si sarà sciolto mettere nel
recipiente i pezzi di agnello. Tritare finemente il prezzemolo e metterlo sopra
alla carne, aggiungendo gli spicchi di aglio tritato grossolanamente. Salare e
quando l'agnello sarà leggermente colorito irrorarlo con mezzo bicchiere di
vino rosso, lasciandolo evaporare. Pelare e lavare le patatine, tagliando
ognuna in 4 spicchi; unirle alla Preparazione e coprire l'agnello con acqua
calda, salando ancora e insaporendo con abbondante pepe. Cuocere a fiamma bassa
per 40 minuti, fino ad avere la carne tenera e l'acqua quasi tutta evaporata. Aggiungere
allora il pecorino a pezzetti e far cuocere ancora per 5 minuti; fuori dal
fuoco cospargere con il caciocavallo grattugiato, mescolando velocemente. Il
sugo di cottura deve risultare, alla fine, denso e consistente. servire subito.
Sarde a
beccafico:
Tempo di
cottura: 30 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: sale, 50 grammi di pinoli,
1 cucchiaino di zucchero, prezzemolo,
pepe, alloro, 100 grammi di pane grattugiato, olio d'oliva, 50 grammi di uvetta
passolina, 750 grammi di sarde, succo di arancia o di
limone. Preparazione: mettere l'uvetta ad ammorbidire in poca acqua tiepida. pulire
le sarde, togliere la testa, la coda e la lisca centrale, aprirle a libro,
sciacquarle ed asciugarle. In una padella con un poco di olio far dorare un
cucchiaio di pangrattato, quindi metterlo in una scodella, aggiungere l'uvetta
strizzata, i pinoli, lo zucchero, un poco di olio, il prezzemolo tritato, sale
e pepe avendo cura di mescolare bene tutto. Distribuire il composto preparato
su ogni sarda, quindi richiuderle avvolgendole bene in modo da formare un fogottino. Quando saranno tutte pronte sistemarle in una
teglia da forno ben oliata alternandole con foglie di alloro, spolverizzare con
il pane grattugiato e un filo d'olio. Cuocere in forno caldo a 180° per circa venticinque minuti. Quando saranno
pronte toglierle dal forno e irrorarle con il succo di limone o di arancia e
servire.
Involtini
di pesce spada:
Tempo di
cottura: 25 minuti circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: sale, 1 cucchiaino
di capperi, prezzemolo, formaggio pecorino grattugiato, succo di limone,
alloro, peperoncino, 1 cucchiaio di salsa di pomodoro, pane grattugiato,
origano, olio d'oliva, 10 olive verdi, 450 grammi di pesce spada tagliato a
fette molto sottili, 100 grammi di ritagli di pesce spada. Preparazione:
battere le fettine di pescespada. in una terrina unire il pane grattugiato, il
pecorino, la polpa di pescespada sbriciolata, i capperi, le olive e il
prezzemolo tritati, la salsa di pomodoro, sale, olio e peperoncino, avendo cura
di mescolare bene il tutto. Su ogni fettina di pesce mettere un poco del
composto preparato e arrotolare le fette formando degli involtini. Realizzare
degli spiedini alternando un involtino a foglie di alloro. Cuocere sulla brace
bagnando con una salsina composta da olio, succo di limone, sale, origano e
pepe. Servire caldi.
Contorni.
Melanzane
ripiene:
Tempo di
cottura: 1 ora e 10 minuti circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: 1 cipolla,
sale, basilico, pepe, 500 grammi di pomodori, 2 o 3 acciughe sotto sale, olio
d'oliva, 500 grammi di melanzane, 50 grammi di caciocavallo, 1 cucchiaino di
capperi sotto sale. Preparazione: pelare e privare dei semi i pomodori, poi
tritarli finemente. Far dorare la cipolla finemente affettata nell'olio, unire
i pomodori e procedere come per una normale salsa. lavare le melanzane ed
incidere la loro polpa a spicchi lasciando intera la base, spolverizzarle di
sale e capovolgere le melanzane su una gratella, lasciandole sgocciolare così
per un'ora o due affinché emettano la loro acqua amarognola, trascorso questo Tempo
lavarle e asciugarle. Dissalare e diliscare le acciughe, tagliarle a pezzetti e
stemperarle nella salsa di pomodoro; unire i capperi lavati e tritati, qualche
foglia di basilico e un pizzico di sale e di pepe. Far restringere bene il
sugo, poi levarlo dal fuoco e unire il formaggio ridotto a piccolissimi
pezzetti. Mescolare e distribuire il composto tra uno spicchio e l'altro di
melanzane, che già saranno state collocate in una teglia. irrorarle
abbondantemente di olio e mettere in forno già caldo a 160°; e metà cottura
capovolgere le melanzane. si servono sia calde che fredde.
Cazzilli:
Tempo di
cottura: 50 minuti circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: 500 grammi di
patate, sale, 2 uova, 25 grammi di burro, prezzemolo, 25 grammi di formaggio
pecorino grattugiato, pepe, farina bianca (poca), olio di semi per friggere,
pane grattugiato, 25 grammi di caciocavallo, 25 grammi di prosciutto cotto. Preparazione:
lavare le patate senza pelarle, metterle in una casseruola, coprirle di acqua
fredda e farle cuocere per circa 30 minuti da quando cominciano a bollire. Tritare
intanto il prosciutto cotto e un ciuffo di prezzemolo, poi tagliuzzare
finemente il caciocavallo. Scolare le patate, pelarle e passarle allo
schiacciapatate raccogliendo le purea in una casseruola. unire, quindi, i
tuorli mescolando rapidamente e con energia. mettere il recipiente su fuoco
basso e incorporare al composto di patate il burro ammorbidito, a pezzettini, e
il sale, quando il burro si sarà sciolto, ritirare il recipiente dal fuoco ed
unire al composto il pecorino grattugiato, il prosciutto cotto, il prezzemolo e
il caciocavallo. Aggiustare di sale e pepare abbondantemente. Appena tutto sarà
freddo preparare con il composto dei cilindretti lunghi circa 5 cm. leggermente
schiacciati. infarinarli, passarli negli albumi poco sbattuti e salati e infine
nel pangrattato. Friggerli pochi per volta nell'olio, poi scolarli,
passarli su carta assorbente e tenerli in caldo mentre friggono gli altri. Servire
subito.
Dolci
Cassata
siciliana:
Tempo di
cottura: nessuno. Ingredienti, dosi per 8 persone: 600 grammi di ricotta, 20 grammi
di pistacchi, 190 grammi di zucchero, 125 grammi di cioccolato fondente, 40 grammi
di zucchero a velo, acqua di acqua di fiori d'arancio, 1/2 cucchiaino di
cannella in polvere, 1 pan di Spagna rotondo di 24 cm., 200 grammi di canditi a
dadini, 200 grammi di frutta candita mista, 1
baccello di vaniglia, 4 cucchiai di gelatina di albicocche, 1 dl. di liquore
maraschino. Preparazione: incidere il baccello di vaniglia nel senso della
lunghezza, metterlo in una casseruola con lo zucchero semolato e qualche
cucchiaio di acqua e cuocere finché lo zucchero si sarà sciolto. Mettere la
ricotta in una terrina e con una frusta a mano lavorarla energicamente finché
sarà soffice e ben montata, poi unire a filo lo zucchero sciolto. Incorporare
quindi il cioccolato grattugiato grossolanamente, i canditi a dadini, 2 cucchiai di maraschino, i pistacchi e la
cannella. Tagliare il pan di Spagna a fettine dello spessore di 1 cm.: con una
parte di esse rivestire internamente una teglia del diametro di 24 cm. foderata
di carta oleata, spennellarle di maraschino, versare sopra il composto di
ricotta e coprire con il pan di Spagna rimasto. Passare lo stampo in frigo per
2 ore, poi sformare la cassata su un piatto da portata e spennellarla con la
gelatina sciolta a bagnomaria. Mescolare lo zucchero a velo con acqua di fiori
d'arancio sufficiente a ottenere un composto di media densità e incorporarvi
qualche goccia di colorante alimentare verde. Versare la glassa ottenuta sul
dolce e livellarla con una spatola, coprendo anche i bordi. Decorare con la
frutta candita e lasciare che la glassa si rapprenda prima di servire.
Gelatine
all'arancia:
Tempo di
cottura: 15/20 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: olio, 200 grammi di
zucchero, foglie di menta, 1/2 di succo di arancia, 4 fogli di gelatina, 4
cucchiai di liquore all'arancia, panna montata. Preparazione: portare a
ebollizione mezzo bicchiere di succo d'arancia. togliere il recipiente dal
fuoco, aggiungervi la gelatina prima ammorbidita in acqua e sgocciolata e farla
sciogliere mescolando. Unire lo zucchero, ancora mezzo bicchiere di succo
d'arancia e rimettete sul fuoco mescolando di tanto in tanto: spegnere prima
che il liquido riprenda il bollore. Aggiungere il succo di arancia rimasto e il
liquore: filtrare il tutto attraverso un colino foderato internamente con una
garza e lasciare intiepidire. Distribuire il miscuglio in 4 stampini ad anello
individuali (circa 12 cm. di diametro) leggermente unti d'olio, farli
raffreddare completamente e metterli in frigo per circa 2 ore. Sformare le
gelatine nei piatti individuali e decorare con delle foglie di menta e la panna
montata.
Biancomangiare:
Tempo di
cottura: 15 minuti circa. Ingredienti, dosi per 6 persone: 170 grammi di
zucchero, 1 bicchiere di latte, 250 grammi di mandorle, 1 limone, 1 stecca di
cannella, 100 grammi di amido di mais. Preparazione: frullare per 2 minuti le
mandorle con 1 litro d'acqua fredda, filtrare attraverso un colino a trama
fitta e mescolare il liquido ottenuto con il latte, lo zucchero e l'amido di
mais. trasferire il tutto in una casseruola, aggiungere la scorza del limone e
la cannella e cuocere a fiamma media mescolando fino a ottenere una crema
densa. spegnere il fuoco, eliminare la scorza del limone e la cannella e distribuire
il composto in 6 stampini del diametro di 8 cm., bagnati d'acqua. Lasciare
raffreddare e metterli in frigo fino al momento di servire.
Sardegna
In Sardegna
è difficile individuare una cucina regionale, perché ogni paese, ogni città, ha
una sua tradizione specifica: d'altra parte spesso la stessa specialità può
essere indicata con nomi diversi. I piatti sono cucinati con grande pazienza,
in modo assai semplice e rustico, ma sempre genuino. Caratteristiche risorse di
questa regione sono la pastorizia e l'allevamento dei suini, che caratterizzano
la gastronomia più dei prodotti della pesca, nonostante la notevole estensione
delle coste. Il più interessante prodotto locale è il capretto. Piatti forti
della cucina sarda sono anche le paste, le carni di agnello e di maiale, e i
formaggi, soprattutto il pecorino, che viene preparato in piccole forme con
diversi tempi di stagionatura, ottenendo prodotti di grande nome come il
"fiore sardo". Anche la cacciagione (cinghiale, capriolo, lepre,
tordi, beccacce) e la fauna ittica (pesci e crostacei) offrono una vasta gamma
di prodotti, adatti a soddisfare i gusti più raffinati. La cucina di mare ha,
fra i suoi prodotti più rinomati, la bottarga, di
muggine o di tonno, e le aragoste. I dolci tradizionali sono tutti di piccole
dimensioni e di pasta secca. In alcuni di questi è usata la sapa, cioè il mosto
cotto. Piatti tipici della regione sono la carta musica: sfoglia sottile di
pane per la quale occorrono pochi minuti di cottura; si adatta sia ad essere
conservata che ad essere usata per preparare varie minestre. “is malloreddus”, forse il piatto
più noto della cucina sarda. Si tratta di gnocchetti
preparati con farina, acqua e zafferano e fatti asciugare per almeno due giorni
prima della cottura. Angiolottus o Culingiones: ravioli serviti con pecorino o pomodoro. “Sa
corda”, treccia di intestini di latte cotti interi allo spiedo, in graticola, o
in forno con patate. Porceddu: piccoli maialini di
latte cotti interi allo spiedo o secondo la tradizione in una buca scavata nel
terreno e poi ricoperta con brace e mirto.
Ricette
Primi
piatti
Malledoreddus al sugo o gnocchetti sardi:
Tempo di
cottura: 50 minuti circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: 1 cipolla, sale, 50 grammi
di salsiccia, basilico, 3 cucchiai di formaggio pecorino grattugiato, pepe, 500
grammi di pomodori, olio d'oliva, 280 grammi di malloreddus.
Preparazione: mettere in un tegame l'olio con la cipolla tritata, la salsiccia
spellata e sminuzzata, il basilico spezzettato e l'aglio schiacciato: rosolare
bene, aggiungere la polpa dei pomodori tagliata a dadini,
salare, pepare e proseguire la cottura per circa mezz'ora a fuoco basso. Nel
frattempo cuocere i malloreddus in abbondante acqua
bollente leggermente salata, scolarli al dente,
condirli con il sugo preparato e spolverizzarli con il pecorino.
Mazzamurru:
Tempo di
cottura: 20 minuti circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: 1 cipolla, sale,
basilico, 500 grammi di pomodori, olio d'oliva, 150 grammi di pecorino sardo
grattugiato, pane di semola raffermo. Preparazione: tritare finemente la
cipolla e soffriggerla in poco olio d'oliva, unirvi poi i pomodori passati al
setaccio e far cuocere per circa 20 minuti quindi unire il basilico
tagliuzzato. Tagliare a fette il pane di semola e tuffarle in acqua bollente
salata, estrarle con un mestolo forato, sgocciolarle bene e sistemarle a strati
in una terrina alternando ogni strato con il sugo di pomodoro e con il
formaggio pecorino. Prima di servire lasciare che il pane assorba un po' di
condimento.
Culingionis o ravioli di magro:
Tempo di
cottura: 1 ora circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: sale, 7 uova, burro,
zafferano, formaggio pecorino grattugiato, pepe, farina bianca, noce moscata, salsa di pomodoro, 400 grammi di semola, 500 grammi
di pecorino fresco, 300 grammi di bietole o spinaci. Preparazione: preparare la
pasta con la semola, le 4 uova e un pizzico di sale, se riuscisse troppo soda
unire un po' d'acqua. fare poi con la pasta una palla, avvolgerla in un
tovagliolo e lasciarla riposare. Lavare bene le bietole e lessarle con la sola
acqua rimasta aderente dopo il lavaggio, salarle. Appena cotte toglierle dal
fuoco, strizzarle e tritarle. Preparare il ripieno dei ravioli: grattugiare il
pecorino fresco, metterlo in una scodella e mescolarvi le bietole, le tre uova
intere e un cucchiaio di farina. Salare, pepare e insaporire con noce moscata e un pizzico di zafferano. Prendere la pasta e
stendere la sfoglia, poi preparare dei ravioli quadrati della grandezza di cm.
4 di lato riempirli con il ripieno e richiuderli sigillando bene i bordi. Farli
lessare in abbondante acqua salata; a cottura avvenuta scolarli
delicatamente, versarli in una terrina e condirli con sugo di pomodoro e
abbondante pecorino grattugiato.
Secondi
piatti
Anatra al
mirto:
Tempo di
cottura: 50 minuti circa. Ingredienti, dosi per 6 persone: 1 cipolla, sale, 1/2
costa di sedano, 1 mazzetto di prezzemolo, pepe, 1 carota, 1 anatra di kg.
1,200, frasche di mirto. Preparazione: mettere in una capiente pentola
dell'acqua fredda, unire l'anatra già pulita e aromatizzare con carota, sedano,
cipolla e prezzemolo. Salare e lasciare bollire. Quando è cotta scolarla e disporla in un recipiente ampio e basso,
spolverizzare di sale e pepe e rivestirla di frasche di mirto. Coprire con un
coperchio e far riposare il tutto per 3 - 4 ore. Servirla fredda tagliata e
pezzi.
Coietas
o involtini alla sarda:
Tempo di
cottura: 20 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: 1 cipolla, 100 grammi di
lardo, sale, aglio, prezzemolo, olio d'oliva, 8 fettine di manzo. Preparazione:
con il batticarne appiattire le fette di carne. Fare un trito finissimo con il
lardo, aglio e prezzemolo e mescolare bene. Spalmare il composto sulle fettine,
arrotolarle e chiuderle con degli stecchini. Mettere gli involtini in una
casseruola con dell'olio e far rosolare bene, a metà cottura aggiungere un
mestolo di brodo caldo e aggiustare di sale. Servire ben caldi.
Aragosta
arrosto:
Tempo di
cottura: 15 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: sale, prezzemolo, 1
limone, olio d'oliva, 1 aragosta di 1 kg., pane di semola grattugiato. Preparazione:
tagliare e metà, per lungo, l'aragosta cruda, togliere la coda dal suo guscio,
poi metterla in una teglia, irrorarla con olio, prezzemolo tritato e succo di
limone: salare e cospargere con un cucchiaio di pane grattugiato. mettere il
recipiente in forno a 180° e cuocere per circa 15 minuti. Appena la coda sarà
cotta affettarla, disporla su un piatto di portata e servirla subito ben calda.
Ghisau:
Tempo di
cottura: 1 ora e 15 minuti circa. Ingredienti, dosi per 6 persone: 1 cipolla,
600 grammi di patate, sale, 1 kg. di polpa di manzo, pepe, 250 grammi di
pomodori, 3 mestolini di brodo di carne, olio d'oliva. Preparazione: fare a
pezzetti la polpa di manzo e le patate. Soffriggere in un ampio tegame l'olio
con la cipolla e appena è dorata aggiungere la carne. Farla rosolare e unire la
polpa dei pomodori passata al setaccio e le patate. Versare il brodo, salare,
pepare e continuare la cottura e fuoco basso. Se il sugo si addensa troppo
unire qualche goccia di brodo. Servire caldissimo.
Contorni.
Piselli
allo zafferano:
Tempo di
cottura: 30 minuti circa. Ingredienti, dosi per 6 persone: 2 cipolle, sale, 1
mestolo di brodo, 1 cucchiaio di zafferano, pepe, 600 grammi di piselli
freschi, olio d'oliva. Preparazione: innanzitutto preparare del buon brodo nel
quale si scioglie lo zafferano. Poi fare un trito di cipolla e rosolarlo
nell'olio. Appena è dorato unire i piselli, salare e pepare. Far cuocere
dolcemente e mescolare spesso aggiungendo il brodo precedentemente preparato. Porre
il coperchio sulla pentola e terminare la cottura fino a che il brodo si
asciughi. Servire caldo.
Pomodori
ripieni di uovo:
Tempo di
cottura: 10 minuti circa. Ingredienti, dosi per 6 persone: 2 bicchieri di
aceto, sale, 7 uova, basilico, pepe, 6 pomodori tondi, pane grattugiato, olio
d'oliva. Preparazione: versare in una casseruola dell'acqua salata, unire mezzo
bicchiere di aceto di vino e portare a ebollizione. Spaccare quindi 6 uova e
depositarle nel bollore per cuocerle in camicia. Appena pronte toglierle e
metterle a raffreddare. Prendere dunque i pomodori, privarli della pelle,
tagliarli a metà e togliere i semi. condirne una metà con sale e pepe,
adagiarvi l'uovo, spolverizzare con basilico tritato e ricoprire con l'altra
metà. Adesso passare nell'uovo sbattuto i pomodori così preparati e cospargerli
di pangrattato. Metterli a friggere per 5 minuti in olio bollente, asciugarli
su fogli di carta assorbente e servirli caldi.
Dolci
Gueffus:
Tempo di
cottura: 1 ora circa. Ingredienti, dosi per alcune persone: 300 grammi di
zucchero, 500 grammi di mandorle, 3 cucchiai di acqua di fiori d'arancio. Preparazione:
scottare le mandorle in acqua bollente e spellarle. Farle asciugare e pestarle
fino a ridurle in farina. In un tegame sciogliere 200 grammi di zucchero con un
piccolo bicchiere di acqua e 3 cucchiai di acqua di fiori d'arancio, mescolare
fino a che si otterrà uno sciroppo limpido e trasparente. Adesso unire la
farina di mandorle, mescolare a lungo e lasciare cuocere. togliere dal fuoco e
fare raffreddare. Appena il composto è tiepido formare delle palline, rotolarle
nello zucchero e lasciarle raffreddare completamente. A questo punto avvolgerle
in foglietti di carta stagnola e poi in uno di carta velina. Richiudere alle
estremità come se si confezionassero caramelle e con le forbici sfrangiarne i
bordi. I gueffus si conservano a lungo in scatole di
latta o in vasi di vetro.
Torta di
ricotta:
Tempo di
cottura: 20 minuti circa. Ingredienti, dosi per 6/8 persone: 300 grammi di
farina, 300 grammi di ricotta, 3 uova, burro, 300 grammi di zucchero, zucchero
a velo, lievito in polvere, scorza grattugiata di limone. Preparazione:
mescolare lo zucchero insieme alla ricotta, aggiungere 3 tuorli d'uovo e,
continuando a mescolare, unire la farina, la scorza di limone ed il lievito. Montare
quindi gli albumi a neve e aggiungerli piano pino al composto precedente. Imburrare
la tortiera, mettervi il composto e infornare a 180° per circa 20 minuti. Appena
la torta raggiunge un colore dorato sfornarla e lasciarla raffreddare. Poi
rovesciarla sul piatto di portata e imbiancarla con zucchero a velo.
Suspirus:
Tempo di
cottura: 30 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: 200 grammi di zucchero,
200 grammi di mandorle, farina bianca (poca), 2
albumi, 1 bustina di vanillina. Preparazione: immergere in acqua in
ebollizione le mandorle, poi pelarle e tritarle finemente. Montare a neve ben
soda i due albumi, quindi unire ad essi lo zucchero, la vanillina e le
mandorle, mescolando delicatamente fino a quando il composto risulterà ben
legato. Disporre l'impasto a cucchiaiate su una placca infarinata, distanziando
i "suspìrus" tra loro perché cuocendo si gonfiano. Infornare a calore moderato (160°) e,
quando i dolcetti avranno preso un bel colore dorato, sfornarli e lasciarli
raffreddare, poi servirli.
Martedì
25 marzo 2003, diciottesima lezione: terza di galateo a tavola.
L'attesa
tesina di cui alla lezione del 7 marzo è diventata, per le cure della gentile
dottoressa Oliveri e le premure dell'ingegnere Bonsangue, una vera e propria dispensa, preziosa non meno
delle altre o forse di più se consideriamo la necessità che tutti ne abbiamo. La
dottoressa Oliveri con l'eleganza e il bello stile
che l'adornano vi ha riversato gran parte delle cose che ci ha detto sull'arte
della 'mise “en place” e sui corretti comportamenti
di chi offre un pranzo e di chi ne profitta.
Ne
riporterò l'indice, e niente di più, parendomi indiscreto appropriarmi, senza
altra fatica che quella del fotocopiare, del bagaglio d'una cultura che alla
elegantissima e compitissima signora Michela chissà quanto studio e quanta
applicazioni sono costati. Mi viene in mente quella pagina del Gattopardo di Lanza di Tomasi nella quale il
vecchio principe Fabrizio al fine di giustificare le ragioni della sua
debolezza innanzi alla splendida dissolutezza del giovane Tancredi
pazientemente spiega alla moglie che per fare "quel Tancredi, proprio quel
Tancredi che tanto amiamo e non un Tancredi diverso", i suoi antenati
s'erano dovuti mangiare dieci o undici patrimoni.
Lasciamo
alla bella Michela i suoi indissoluti patrimoni di
sobrietà ed eleganza ed accontentiamoci dell'indice:
Saper
stare a tavola:
Sedersi a
tavola
Contegno
del commensale
Tovagliolo
Inizio
del pasto
Posate
Cucchiaio
Forchetta
Coltello
Bicchiere
Coppa
lavadita
Sale e
pepe
Pane
Piatto
Come
servirsi
Come
versare da bere
Burro
Minestra
Salsa
Formaggio
Dolci
Stuzzicadenti
Fumare
Brindisi
Dopo
pranzo
Suggerimenti
vari
Come si
mangiano alcuni cibi:
Spaghetti
Ostriche
Caviale
Melone
Pompelmo
Paté
Aragosta
Pesce
Ossi
Uccelletti
Lumache
Uova
Insalata
Legumi
Asparagi
Carciofi
Frutta
cruda
Noccioli
e semi
Banana
Fragole e
lamponi
Uva
Arancia
Fichi
freschi
Pere,
mele, pesche
Ananas
Pranzo
importante:
Numero
invitati
Tavola
tovaglia
Apparecchiatura
Decorazione
e centro tavola
Piatti
Argenteria
Coperto
Bicchieri
Caraffe e
bottiglie
Credenza
Illuminazione
Abito da
indossare
Arrivo
degli ospiti
Posti a
tavola
Segna
posti
Posti
d'onore
Menù
Errori da
evitare
Minestra
Le altre
portate
Ripassare
le portate
Pane
Insalata
Prima del
dolce
Formaggio
Dessert
Presentazione
dei piatti
Brindisi
Vini
Pranzo e
champagne
Presentazione
dei vini
Come
servire i vini
Comportamento
a tavola
Caffè
Liquori
Fumare
Dopo
pranzo
Pranzo
tra amici:
Orario
Vini
Apparecchiatura
Presentazione
dei piatti
Le
sigarette
Servizio
senza personale
I doveri
del pranzo
Caffè
Al
ristorante:
Comportamento
Da non
fare
Chi
invita
Chi è
ospite
Questa
ricchezza non mi appartiene, non l'ho creata io. Per cui non ritengo di avere
il diritto di disperderla al vento dell'hertz, non comunque senza il consenso e
l'autorizzazione della dottoressa Oliveri e
dell'ingegnere Bonsangue. A mi obiettasse che con le
ricette l'ho fatto abiettamente e senza obiezioni risponderei che l'ho fatto
perché la ricetta oggi come oggi è un articolo super inflazionato di cui le
edicole e le trasmissioni televisive d'ogni mattina traboccano. Invece questo
galateo, che dell'impeccabile allure della signora Michela è la colta matrice,
è un qualcosa di unico e, visti i risultati, di assolutamente speciale. Se la
conosceste ne converreste.
Tuttavia
non voglio essere scortese con chi fedelmente mi ha seguito fino a questa
penultima lezione. Si può essere virtuosi per colmo di virtù ma lo può essere
anche per assenza di vizi. Perciò vi elenco, amici, dieci errori che a tavola,
luogo di intense perdizioni ("Gli italiani sanno brandire soltanto due
stendardi: la tovaglia e il lenzuolo", dice Roberto Gervasi),
dovete assolutamente evitare di fare.
1): Non
dite mai, a inizio di pasto, "buon appetito" e se qualcuno
starnutisce non ditegli "salute";
2): Non
intingere pezzetti di pane o biscotti nel tè o nel caffè;
3): Quando
vi riempiono il bicchiere non prendetelo mai in mano, non sollevatelo,
non avvicinatelo alla bottiglia e non
dite mai "basta";
4): Non
fissatevi a guardare la limpidezza di un bicchiere o la marca della porcellana:
5): Non
servite mai a cena gli antipasti;
6): Non
servite mai a pranzo minestre e brodi;
7): Non
toglietevi mai la giacca ed evitate di sbottonarla se prima non vi siete seduto;
8): Non
chiedete mai il bis se non siete espressamente invitati a farlo;
9): Non
prendete più di un primo, di un secondo col contorno e della frutta se non
siete espressamente invitati a farlo;
10): Se
nel piatto c'è qualcosa che non va chiedetene il cambio al cameriere senza
spiegargli il motivo;
E’ stata
una serata amorevole e festosa; si sentiva che stiamo inclinando a finire. Le
parole della dottoressa Oliveri ci arrivavano sul
cuore come il vento di favonio nei fiori di campo. Provvida e felice è stata
l'idea dell'ingegnere Milazzo, un uomo che ha felicemente navigato per tutti i
mari e in tutte le stagioni, di far coniare delle targhe elogiative che nel
corso del "Gran Gala" i partecipanti del 2° corso consegneremo al
direttore del corso e ai relatori. Che disdetta il non poterci essere!
Venerdì
intanto ci diremo addio brindando con un bottiglione di champagne
dell'ingegnere Milazzo, uomo di inesauribili effervescenze.
Mercoledì
26 marzo 2003: visita guidata allo stabilimento Averna
di Caltanissetta.
Dove si
produce quell'Amaro Averna
il cui gusto maschio e morbido molce il cuore ai
siciliani emigrati e rende corrivi e irsuti quelli che non si decidono a farlo.
I bar e le caffetterie di Svizzera e della Germania ne sono pieni, e m'ha
stupito l'averne scorto anche in dei bar di Danimarca. L'Averna
è l'unica impresa di Caltanissetta che sia nota
all'estero, ma con la città non ha mai legato. Tant'è
che la proprietà da tempo si è spostata a Milano lasciando qui solo la linea
produttiva dell'amaro, sulle cui bottiglie la scritta "Caltanissetta"
tuttavia si rimpicciolisce sempre di più.
Si tratta
comunque di un'azienda importante, molto bene attrezzata e capace di una
rilevante produzione. La famiglia Averna negli ultimi
anni ha diversificato la produzione acquisendo e rilanciando dei marchi
illustri un po' declassati quali la Pernigotti, la Sperlari e, per i vini i liquori e gli spumanti, la Villa Frattina e stringendo degli importanti accordi commerciali
con alcuni marchi stranieri.
Della
visita non posso dire un granché, perché, assordato dal clangore delle
macchine, stordito dagli effluvi alcolici, intontito dal profumo del caramello,
confuso col gruppo nelle strettoie, non aiutato dall'imbonitore che aveva una
dannata fretta di concludere e andarsene, poco ho capito. Però m'è parso di
capire che sono in grado di imbottigliare in un'ora fino a 16 mila bottiglie,
che solo qui a Caltanissetta l'anno scorso hanno
prodotto e venduto 7 milioni e mezzo di litri di amaro, in circa - facendo due
righe di conti - 13 milioni di bottiglie.
Opportunamente,
nel pistolotto di cortesia, l'ingegnere Bonsangue ha
definito l'azienda "modernamente artigianale". Si tratta di un audace
ossimoro che solo il nostro fervido ingegnere poteva inventare; in realtà
l'azienda si è biecamente taylorizzata e si fregia
d'una meccanizzazione di prim'ordine, tant'è che a libro paga ora tiene non più di una ventina di
operai e qualche alchimista.
Venerdì
28 marzo 2003, diciannovesima e ultima lezione: quinta di gastronomia.
Doveva
esserci il gran botto e non c'è stato; è finita come la sinfonia degli addii di
Haydn, ove dopo l'attacco del tumultuoso finale,
espressione di gioia e serenità, il movimento veloce all’improvviso si tronca
ed inizia un malinconico "adagio", durante il quale ad uno ad uno, i
singoli strumentisti, terminata la parte, depongono lo strumento, spengono la
candelina che arde sul leggio e lasciano la sala, così che nella sala semibuia
a poco a poco il direttore resta solo con due violini, fino a quando anche
questi terminano malinconicamente la loro melodia, posano lo strumento,
spengono con un leggero soffio la candela e vanno via.
Affrettandosi
a compilare e a consegnare il questionario, così quasi tutti stasera hanno
fatto, anzi fuggivano come se avessero il diavolo alle calcagna, sicché, lì
sopra il tavolo, la monumentale “Matusalemme” dell'ingegnere Milazzo è restata immota
e inviolata sopra il tavolo come un invincibile totem (come vedremo meglio in
seguito anche nel campo delle bollicine, che per definizione ed essenza sono
quanto di più estraneo possa esserci rispetto alla cupa e biliosa tetraggine
degli Ebrei, corrono nomi biblici). Perché stasera pareva che tutti avessero una
dannata fretta di chiudere, così che alla fine siamo rimasti in quattro a
rendere al corpo dei relatori schierato al completo con gran sussiego i
doverosi ringraziamenti e i meritati complimenti.
Interessante
come ogni altra delle sue era stata la lezione che l'ingegnere Bonsangue aveva condotto procedendo di prora come un
rompighiacci. Ci ha spiegato tutte le cose che dovremmo tenere a mente quando
andiamo a comprarci il vino.
Permettetemi
di fare sfoggio di un po' di erudizione, io che finora mi sono avvicinato agli
scaffali dei vini come il gattino appena nato si avvicina alle tettine di mamma gatta.
Immaginiamoci
la scala dei vini come una piramide. Alla base c'è il gran mare del vino
comune, tecnicamente definito "da tavola" che non ha alcuna etichetta
ma che se ne avesse una dovrebbe avere quella di V.C.C.
(“vino di consumo corrente”, che raccoglie il 40% dei 60 milioni di litri che
in Italia annualmente si producono; al gradino immediatamente superiore troviamo
il vino definito IGT** (IGT sta per “indicazione geografica tipica”) in quanto
a produzione voluminoso come il primo, se è vero, com’è vero, che anche il vino
di Delia si fregia della suddetta definizione; salendo, la piramide si
restringe di colpo per dare luogo alle quasi 300 etichette (per 8,5 milioni di
litri prodotti, sui 60 milioni complessivi) dei vini DOC (sigla che sta
“denominazione di porgine controllata”, e in ultimo, con solo 1,5 milioni di
litri, le 21 prestigiose etichette che come il Brunello di Montalcino
si fregiano della definizione di vini DOCG (che sta per “denominazione di
origine controllata e garantita”. I vini doc e i vini
docg sono definiti vini di qualità prodotti da
regioni determinate). Invece la sigla VQPRD (che sta per “vini di qualità
prodotti in regioni determinate” contrassegna taluni prestigiosissimi e costosissimi
rossi bordolesi. Infine per VLQPRD per i vini liquorosi (la ELLE sta appunto
per “liquorosi”) e VSQPRD per i vini spumanti (la ESSE sta appunto per
spumanti).
Le
etichette dei vini sono o dovrebbero essere dei libri aperti tramite i quali
l’acquirente dovrebbe poter capire cosa effettivamente contiene ogni bottiglia.
Quali
indicazioni contengono le etichette? Vediamole.
Devono
contenere le seguenti undici indicazioni:
1): Il
nome del produttore (Tasca, Gaja, Zonin);
2): La
denominazione del prodotto (cioè il tipo di vino: Moscato, Barbera, Chianti);
3): Uno
di questi tre aggettivi (ma non sempre): "classico",
"riserva", "superiore". Viene definito classico il vino che
viene prodotto da uve tolte dal nucleo (dal cuore) di una riconosciuta zona di
produzione; viene definito riserva quando è invecchiato più del Tempo minimo di
invecchiamento previsto dal protocollo e infine viene definito superiore quando
la gradazione alcolica supera (in genere di un grado o di un grado e mezzo) al
minimo dovuto;
4):
L’indicazione se è un vino igt, doc
o docg (in assenza è un comunissimo vino da tavola);
5): Il
millesimo, cioè a dire l'anno della vendemmia (indicazione obbligatoria solo
per i docg);
6): Il
tipo di vino (per es.: dolce, abboccato,
amabile);
7): La
gradazione alcolica, per esempio: 12,5. Però a volte questa cifra può apparire
seguita da un'altra (per esempio 12,5 + 2,5). Il 2,5 si riferisce alla gradazione
potenziale alcolica non svolta, cioè a dello zucchero che, avendo voluto il vinificatore escludere le ultime fasi fermentative, è stato
fatto rimanere zucchero, la qual cosa conferisce al vino una maggiore
dolcezza);
8): La
capacità (in genere 750 ml. e). La e, se c’è, sta a significare che si tratta
di una capacità riconosciuta a livello europeo;
9): Il numero
del registro di imbottigliamento e sigla della provincia nella quale è stato
imbottigliato. Come per esempio r.i. 218 TV (cioè
registro di imbottigliamento n. 218 della provincia di Treviso); se questa
indicazione manca significa che il vino è stato imbottigliato in un sottoscala
o peggio; ma detta indicazione a volte la si può trovare anche nel retroetichetta, nel tappo o nel collarino;
10): Il nome
dell'imbottigliatore;
11): Il
paese, inteso come nazione, di produzione;
12): Nei
migliori spumanti prodotti col metodo “champenois”
viene indicata anche la data di sboccatura, che è il breve momento che segue
l'affinamento e precede la chiusura definitiva della bottiglia col classico
tappo di sughero a forma di fungo, quando ai residui di feccia depositatisi sul
collo della bottiglia tenuta capovolta si sostituisce il così detto “liqueur d'expedition”. La data di
sboccatura in degli spumanti minimamente degni di considerazione non deve mai
essere inferiore di 2 anni alla data nella quale andate ad acquistarli.
Vi
risparmio, miei pazienti lettori, l'argomento tappi e cavatappi, e quel che
l'ingegnere ci ha illustrato circa le diverse forme dei bicchieri e quelle
delle bottiglie, sui loro culi e le loro spalle. Non
che non fossero interessanti (sulla bocca dell'ingegnere Bonsangue
tutto diviene estremamente interessante) ma perché è ora che anch'io dopo tanto
scrivere chiuda.
Ci teneva
l’ingegnere Bonsangue, da quella persona scrupolosa e
da quel gran direttore che è, a conoscere il nostro riservato parere
sull'andamento del corso, e pertanto ci ha invitati, sotto la tutela
dell'anonimato, a essere franchi nell'esprimere giudizi e critiche. Per
compiutezza d'informazione desidero chiudere questo compendio riportando le
voci del questionario che ci ha
sottoposto e le risposte che ho dato.
Le
domande, a parte le due canoniche riguardanti il sesso e la fascia d'età, erano
le seguenti (indicherò come detto sopra anche le risposte):
A): come
siamo venuti a conoscenza di questo corso: a) tramite locandine affisse, b)
tramite volantini, c) tramite giornali, d) tramite la radio, e) tramite un
conoscente.
- ho
scritto "Tramite locandine affisse" (le ho notate, sia quest’anno che l’anno scorso, dal signor Lo Piano, dove,
quando posso, assai volentieri mi reco a desinare).
B): perché
ci siamo iscritti al corso di eno-gastronomia: a) perché interessato ai temi in
programmazione, b) perché è una occasione di socializzazione, c) perché non
avevo niente di meglio da fare; d) altro (specificare).
- ho
scritto "Per un fatto di cultura".
C): a
quale o a quali temi del corso eravamo maggiormente interessati all'atto
dell'iscrizione: a) a tutti, b) all'enologia, c) alla gastronomia, d) alla
pasticceria, e) al galateo a tavola, f) alle scienze dell'alimentazione.
- ho
risposto “gastronomia”.
D): la quarta
domanda voleva che indicassimo, secondo un ordine decrescente di gradimento,
l’interesse che i cinque temi trattati hanno destato in noi.
- ho
posto “enologia”, “galateo a tavola” e “la scienze dell'alimentazione” al primo
posto; “gastronomia” al secondo e al quinto il corso di “pasticceria” (qui
penso di avere sbagliato la conta, ma herr Micciché è stato così antipatico che non me ne dispiaccio).
E): se
pensiamo che il tempo di ciascuna delle lezioni sia stato insufficiente,
adeguato o eccessivo.
F): - ho
risposto “insufficiente” per l'enologia e “adeguato” per le altre quattro
discipline (mi rendo conto che il tempo non si può iperdilatare,
tuttavia quelle di enologia mi sembravano sempre un po’ troppo brevi).
G): quale
fosse il nostro giudizio globale sui relatori del corso: per la pasticceria ho
messo “scarso”, per il galateo a tavola e la gastronomia ho messo “buono”, per
la enologia e la scienze dell'alimentazione “ottimo” (credo però di essere
stato un po’ troppo ingiusto con i meriti e la grazia della sinuosa ed elegantissima
dott.ssa Oliveri).
H): quale
fosse il nostro giudizio globale sulla organizzazione del corso.
- Ho
messo un sentitissimo “ottimo”.
I) quale
fosse il nostro giudizio globale sul materiale didattico fornito durante il
corso: ho messo un meritatissimo ‘ottimo’.
L): se
ritenevamo la quota di iscrizione pagata “molto conveniente”, “conveniente”, “congrua”
oppure “eccessiva”.
- ho
risposto “molto conveniente”.
M): se
l'orario di svolgimento del corso (dalle 17 alle 19) ci fosse parso comodo o
scomodo.
- ho
scritto “un po’ scomodo” (l’ho fatto pensando agli altri più che a me stesso,
perché io dopo esserne stato dominato per trent’anni ora
il tempo sono io che lo domino io; ma pochissimi godono di questo privilegio. E
questo spiega i molteplici ritardi di un gran numero di corsisti). A specifica
domanda ho risposto che avrei preferito che iniziasse alle ore 18 (se fosse
iniziato alle 18 avrei sicuramente portato un discepolo).
N): se la
cadenza bisettimanale (martedì e venerdì) ci sia andata bene o invece non ne
preferissimo una settimanale o trisettimanale.
- ho
risposto di gradire il bisettimanale mi era andato bene.
O): se
abbiamo trovato più o meno spaziosa e più o meno accogliente la sala dei
ricevimenti ove si sono svolte le lezioni pratiche:
- ho
risposto che la trovavo spaziosa e accogliente.
P) quale
eventuale suggerimento credevamo di poter dare per quel che riguarda l’aspetto
organizzativo .
- ho
scritto “prolungamento di mezz’ora o di un’ora”.
Q) quali
eventuale suggerimento credevamo di poter dare per quel che riguarda l’aspetto
didattico
- (anche
se non c’entra niente con l’organizzazione e nemmeno con la didattica) ho
scritto che forse sarebbe stato utile, o opportuno, o simpatico, che il primo
giorno, all’inizio, il direttore ci avesse dato a tutti un minuto o due per
presentarci e farci conoscere.
R): la
penultima domanda ci chiedeva se consiglieremmo ad un nostro amico o conoscente
di frequentare questo corso:
- ho
risposto sì (e in vero se il corso iniziava alle 18 il mio amico Sorce si sarebbe accodato).
S): l’ultima
domanda ci chiedeva un giudizio complessivo sul corso.
- ho
risposto con un sentito e sincero “ottimo”, che vada tutto a gloria
dell’ingegnere Vincenzo Bonsangue, enoteista principe.
Qui
finisce, miei pazienti ed esausti lettori, il mio “Viaggio alla ricerca dei
cibi genuini”, come recitava il titolo di una memorabile trasmissione dello
scrittore Mario Soldati agli albori della televisione. Di più non so dire, ma
il bicchiere è sempre pieno (pardon, pieno di un terzo).
*: così
si chiama il bottiglione da 6 litri, che è quella che in genere si sparano
addosso i corridori di formula uno quando vincono una gara. La scala è la
seguente: il quarto, per i francesi “chopine” (di 0,185
di litro); la mezza, per i francesi “fillette” (di 0,375
di litro); la champagnotta normale, per i francesi “bouteille” (di 0,75 di litro); la per i francesi e per
tutti “magnum” (di litri 1,5); la “double magnum” o “jéroboam” doppia della magnum e
quindi di 3 litri; la réhoboam (di litri 4,5). Seguono
la “salmanazar” di ben 9 litri; la “balthazar” (di 12 litri), per poi sconfinare nella “nabuchodonosor” (di 15 litri) e nella “mechior”
(di 18 litri).
**: per
intenderci, il dop cui molti prodotti alimentari
(soprattutto formaggi e salumi) aspirano equivale di fatto all'igt dei vini, cioè, come ho capito stasera, a ben poco.
Epilogo
Leggendo
la biografia di Pellegrino Artusi, cui questa emerita
associazione s'ispira e che titolandoglisi vuole
costantemente onorare, risalta che nella sua lunga vita il venerabile fu
buongustaio, banchiere e letterato. “Si parva licet componere magnis” come dicono i
latini, vi confesserò che a me pare per qualche aspetto di somigliargli. Perché
magari non sarò un eccelso buongustaio ma che sono una buona forchetta lo si
vede anche ad occhio. Perché per trenta e passa anni sono stato anch'io un
banchiere, o, a voler rimpicciolire la cosa, un bancario. Per quel che riguarda
la qualifica di letterato invece fate voi, ora che avete letto ciò che ho
scritto ad onore di questo gradevolissimo corso.
Elenco
delle dispense:
Breve
storia del vino
Dizionario
del vino
Abbinamenti
cibo - vino
I
principali vitigni coltivati in Italia
La
vinificazione
Degustazione
dei vini
Gastronomia
- pesce e formaggio, un incontro felice
I dolci
della tradizione siciliana
Scienze
dell'alimentazione - guida intelligente ai consumi alimentari
Storia
della gastronomia italiana, le cucine regionali, ricette regionali
Il
galateo a tavola.
Elenco
dei partecipanti:
Amico Giuseppe
Angilella
Maria Chiara
Bartolotta Carmelo
Bizzetti
Giampiero
Burgio
Maria
Candura
Maria
Cerami Giuseppe
Chité
Maurizio
De Trovato
Massimo Carlo
De Vitto Florindo
Di Mino Matteo
Falzone
Patrizia
Falzone
Carlo m. Alberto
Ferrara Sandra
Giambusso
Maria Maddalena
Licata Giovanni
Licata Giuseppa
Lo Celso Domenico
Lunetta Gaetano
Macaluso
Maria Maddalena
Marotta
Patrizia
Milazzo Giovanna
Milazzo Enrico
Miraglia
Michele Simone
Pernaci
Giuseppe
Picardo
Rosario
Ristagno Vincenza
Rita
Russo Ida
Torregrossa Anna Tiziana
Versaci Gilda
Vitarelli
Evelina
Zagarella
Concetta
Aforismi
sul cibo
E’ meglio
dormire con un cannibale sobrio che con un cristiano ubriaco
(Henry Melville)
Al primo
bicchiere agnello, al secondo leone, al terzo maiale
(dal Talmud)
Diffida
della persona astemia!
(Gianni Brera)
Dio ha
creato il cibo, il diavolo i cuochi
James
Joyce
La dieta
è un sistema per allungare la vita rendendola insopportabile
(Pitigrilli)
Il
peccato di gola è quello che tenendoti in vita ti permette di commettere gli
altri
(Cesare Marchi)
“La
cucina qui è veramente disgustosa...., e poi danno delle porzioni così piccole!”
(Woody Allen)
Mangiare
è un diritto, digerire è un dovere
(Marcello
Marchesi)
Meno
tavole rotonde e più tavole calde per favore!
(Marcello
Marchesi)
Non sarà
mai facile governare un paese che conta ben 200 tipi diversi di formaggi
Charles
De Gaulle
Quando si
è innamorati ci si entusiasma perfino di un ristorante cinese
(Lella Costa)
Solo ciò
che non mangiamo ci fa bene alla salute
(Guido Ceronetti)
Stare a
dieta tutta la vita per vivere una settimana in più? E se poi in quella
settimana piove o ti viene un mal di denti?
(Woody Allen)
Mo, non
sono sovrappeso, è che ho 18 centimetri in meno di
altezza
(Shelley Winters)
Oggi il
70% dell’umanità muore di fame e il restante 30% fa la dieta
(Luciano De
Crescenzo)
Il pepe
rosso è il nutrimento del rivoluzionario
(Mao Tse Tung)
Si nocte levis coena
brevis
Plinio il
vecchio
(I mondo
si divide in tre grandi categorie: formaggiai, salumai e poveri di spirito)
Mia
L’essere
educati è un grande privilegio, ma esclude da tante cose
(Oscar Wilde)
Solo il
bacio di una donna può dare dei piaceri superiori ma molto più ingannevoli ed
illusori.
E’ nella
dose il veleno
(Paracelso)
La
scoperta di un piatto nuovo è più prezioso per il genere umano che la scoperta
di una nuova stella
(Anthelme Brillat-savarin)
(Uomo
affamato, uomo arrabbiato)
James
Joyce
Uno
stomaco limitato può andar d'accordo soltanto con una sensibilità limitata,
cioè animalesca. L'uomo ispirato dall'etica e dalla ragione ha nei confronti
dello stomaco un atteggiamento che consiste nel considerarlo un organo non
animalesco, ma umano.
(Ludwig Feuerbach, dai principi
della filosofia dell'avvenire)
Chi non
ama il vino, le donne e il canto rimane uno stolto per tutta la vita
(Martin Lutero)
Der mensch ist, was
er isst (l'uomo è ciò che
mangia)
(Ludwig Feuerbach).
Mi
permetto infine di fornire dei suggerimenti su quello che potrei di più e
meglio gradire (fami, seti, appetiti, cupidigie, brame...) a chi voglia e possa
contrarre un mutuo e desideri cavarsi il piacere d’invitarmi a pranzo.
Menu
consigliato a chi non avesse timore d'invitarmi alla sua tavola (le portate
vengono citate NON in ordine di preferenza):
Antipasti:
Affettati di suino. Di ogni tipo e specie, per l'aurea regola che in ogni
tavola che si rispetti si comincia con degli affettati e si finisce col
formaggio.
Primi
piatti: (come condimento aggiunto sono graditi, quando non indicato
diversamente, pecorino invecchiato e peperoncino rosso).
Tipo di
pasta con sarde fresche, uva passa, capperi, pinoli, sarde salate e mollica di
pane tostata impropriamente detta "pasta alla milanese".
Tipo di
pasta inteso "Alla tunisina", cioè condita con pesce spada, capperi,
olive e melanzane.
Spaghetti
con sugo di pomodori e ricotta fresca, che i palermitani chiamano “pasta cacata". Ditali in zuppa di fagioli scuri, con
verdure, pancetta e peperoncino, nello stile dei messicani.
Spaghetti
riccamente conditi di olio, aglio e con una ancora e sempre molto congrua
quantità di peperoncino (messo in sede di cottura, evitare di aggiungerlo a
freddo, dopo).
Cannarozzoni rigati con sugo di pomidori, melanzane fritte e ricotta salata, nel
tipo che i catanesi chiamano "alla Norma".
Bucatini
all'amatriciana (per una esatta Preparazione della
quale cinque sono gli Ingredienti fondamentali: sugo di pomodori freschi,
guanciale, pecorino romano, peperoncino e una spruzzata di vino rosso.
Lasagne
alla bolognese, altrimenti chiamato "Pasticcio di lasagne".
Caciucco
di mare con crostini di pane tostato.
Spaghetti
alle vongole o alla marinara.
Spaghetti
integamati con cavolfiore, aglio e abbondantissimo
cacio.
Minestra
di ditali con "ramanastri" e pisellini verdi.
Riso
annegato in zuppa di cavoletti verdi (dalle nostre parti "smuzzatura" o "tagliallasso")
e impastati con ricotta fresca.
Riso
annegato nel siero di ricotta e condito con peperoncino rosso.
Zuppa di
pesce con crostini di pane tostato.
Secondi
piatti : (sono banditi i volatili di ogni genere e tutti i tipi di selvaggina).
Polpettine
alla turca con contorno di pisellini.
Salsiccia
di maiale cucinata alla griglia con contorno di spinaci al burro.
Pesce
spada ai ferri o al salmoriglio arricchito da un
contorno di gamberetti.
Cotoletta
di vitello alla milanese.
Gamberoni
arrostiti.
Fritto di
pesce misto.
Costata
di manzo "alla fiorentina" (non sono gradite le imitazioni), con
contorno di patatine fritte.
Totani, o
almeno calamari ripieni.
Riempitivi:
Stufato
di patate, melanzane e piselli (saltato in padella e servito freddo).
Purè di
patate al gorgonzola, con sminuzzo di wurstel.
Gateau e
crocchette di patate.
Cazzilli.
Patatine
fritte.
Arancini
di riso al burro.
Torte
salate (“quiques”) di ogni tipo, a cominciare dalle
cinque dette "di Lorena" e finire a quelle, più generiche ma non meno
buone, che si infarciscono di formaggi d'ogni tipo o di carciofi, oppure di
crema di piselli, o con asparagi o con pancetta, o con melanzane o con
ricotta...; si raccomanda solo che siano tutte di ampio raggio e di variata
farcitura.
Infine
spiedini palermitani, una mafalda con delle panelle, una bene imbottita di mortadella, una con del
salame, una con del crudo di San Daniele e una con del formaggio "piacintinu".
Dolci:
Cassatelle di ricotta. Torta di ricotta al limone.
Cassata
siciliana.
Qualsiasi
altro tipo di pasticceria fresca a base di ricotta (ravioli, cannoli, rollò).
Panettone
milanese del tipo più classico (con canditi e uvetta).
Frutta:
Una o due
arance. Nient'altro.
Vini:
Rosso:
Lambrusco amabile di Romagna.
Bianco: “Colomba
platino” delle cantine "Corvo" di Salaparuta
o anche “Regalali”.
Vini da
dessert: Moscato dolce del Piemonte o Vino di Porto.
Spumante
(qualora ne ricorresse il caso): Martini dolce (lo champagne non è gradito).
Per
finire:
Formaggi
d'ogni genere e stagionatura. Per l'aurea regola, sopra richiamata, che in ogni
tavola che si rispetti si comincia con degli affettati e si finisce col
formaggio.
Il
caviale? Se ci fosse non mi dispiacerebbe provarlo (No, il Tartufo no, l'ho
assaggiato quando vivevo in Piemonte e non mi ha esaltato).
Gelato:
Ogni tipo
di gelato al cioccolato.
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27 maggio
2010