G. Bizzetti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Aula Magna …e Bevi…!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2003

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si rivolga adesso alla mensa il pensier, ch’anco l’afflitta Niobe del cibo ricordossi il giorno che dodici figliuol morti le furono! (Omero)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Prologo

 

Mi  sono iscritto ad un corso di eno-gastronomia che la libera associazione degli "Artusiani" (per auto definizione  "un gruppo di amici, amanti della buona cucina, soliti riunirsi attorno ad una tavola imbandita per disquisire sui più svariati argomenti e promuovere attività culturali” ha anche quest’anno organizzato in questa città.

L’associazione si ispira al famoso scrittore e gastronomo Pellegrino Artusi, nato a Forlimpopoli nel 1820 e vissuto fino alla veneranda età di novantun anni, autore del celeberrimo libro «La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene», divenuto il best seller dell'arte culinaria).

L’anno scorso non feci in Tempo ad iscrivermi. Ma quest’anno ho potuto farlo, giacché mi piaceva aggiungere alle nuove dimensione di membro emerito del circolo "Disoccupati contenti" e a quella di "Ozioso Remunerato" anche la qualifica di “Cuoco Diplomato”.   

 

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Il corso del quale andrò a trattare durerà diciannove lezioni (più due o tre riunioni  di tipo Picwickiano ancora definire) che andranno dal 21 gennaio al 28 marzo, ed io - amici cari - periodicamente vi metterò al corrente dei fatti salienti o curiosi che mi capiterà di vedere e di ascoltare nelle succose serate che il preclaro ingegnere Vincenzo Bonsangue, anima e (soprattutto) corpo di questa benemerita associazione) ci apparecchierà.

 

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21 gennaio 2003, prima lezione: prima di enologia.

 

Le lezioni hanno preso avvio alle ore 17 di oggi martedì 21 gennaio. Dopo le presentazioni di rito, la prima seduta viene dedicata, come il calendario e dovere impongono, al vino. A questo riguardo, essendo gli “artesiani” sopra tutto un'associazione di persone bennate e ben disposte alla vita, il direttore del corso, il soprannominato ingegnere Bonsangue, ha voluto farci compiere un excursus sulla storia di questa antica bevanda. Non pensavo che sul vino potessero dirsi tante cose e così interessanti; l'intero uditorio pendeva dalle labbra del relatore. Dovete sapere che sono ben 10 mila anni che l'uomo lo beve, e che da allora e fino a qualche decennio fa - fino a che la civiltà delle bollicine non ha preso il sopravvento - l'uomo, in specie l'uomo povero, è stato solito cenare con del pane, del formaggio e un bicchiere di vino.

Io che come gli aruspici nell'inferno di Dante cammino in avanti tenendo la testa interamente rivolta all'indietro, ho voluto farlo questa mattina nell'ora del desìo della prima colazione, il più felice dei miei tre pasti quotidiani: Una stanga di pane, una sontuosa scheggia di pecorino ben speziato e un buon bicchiere di rosso hanno poderosamente messo in movimento e poi felicemente corroborato i succhi del mio corpo, ponendomi in pace col mondo. Di più, in corpo mi scese subito un soavissimo torpore, un dolcissimo sonno che mi ha fatto dormire, felice come il piccolo Marcel Proust dopo che la mamma gli aveva dato il bacio della buonanotte, per altre tre ore, dopo di che mi sono levato di buona lena e di ottimo umore.

Evviva il vino dunque, "il vino fa bonsangue", ha giustamente e spiritosamente detto, puntualmente rifacendosi al nome e al mestiere del nostro pantagruelico ingegnere (omen nomen, avrebbero detto i latini), la relatrice di scienze dell'alimentazione dott.ssa Mariella Paruzzo.

 

 

 

24 gennaio 2003, seconda lezione: prima di gastronomia.

 

La seconda lezione di ieri pomeriggio venerdì 24, dovendosi por mano a mestoli e casseruole, si è tenuta presso i fastosi saloni e le cospicue cucine della ditta China, lassù a Sant'elia. Argomenti del giorno: Imparare a riconoscere, dall'odore e dal sapore (o meglio, dal profumo e dal gusto) alcuni tipi di vini. Non erano esercizi troppo difficili, solo per questo motivo mi è capitato di indovinare sempre.

L'ingegnere è poi passato a trattare degli accoppiamenti vino - cibi, continuando a dilettarci con l'unire una competenza di prim'ordine ad un fascino affabulatorio non comune (l'ingegnere è finissimo conoscitore di vini e un rinomato degustatore). Per esempio ci ha detto (faccio questo esempio non senza una personale precisa ragione) che con la torta e i dolci la scelta tra lo spumante dolce e il brut non si pone: il dolce pretende sempre il dolce, quali che siano i gusti personali del o della festeggiata. La torta e il dolce chiamano lo spumante dolce, mentre il brut da persone (fintamente) vissute va bene con gli antipasti freddi, sia che abbiano a base il pesce e sia che non ce l'abbiano. Con gli antipasti caldi invece si raccomanda un tenue rosato.

A proposito di antipasti - passo a dirvi della lezione di gastronomia tenutaci dalla professoressa Silvana Natale -: i freddi e i caldi è d'uopo servirli separati, senza confonderli. Prima servite quelli freddi e poi, dopo, quelli caldi.

Il corso è assai bene organizzato e il suo direttore è un uomo affascinante (un bel tipo di gaudente, allegro ma non sbracato, buongustaio ma non crapulone) e per fortuna lo slow food sta tornando di moda in questi tempi privi di grandi ideali. A chi segue il tg5 delle 13 di sicuro non sfugge che tutti i giorni verso le 13,20 va in onda una bella rubrica dedicata al gusto del mangiare e del bere che, salvo che mi trovi fuori di casa, mai mi perdo.

Al nostro corso partecipano persone di mezz'età, ben disposte alla vita o comunque desiderose di dimenticarne le magagne, visibilmente golose, spesso felicemente soccombenti nella diuturna lotta con la bilancia. E non è solo divertente parteciparvi ma anche gratificante, perché quel che si cucina ce lo apparecchiano e lo consumiamo caldo sul posto: Ieri abbiamo delibato degli antipasti che la signora Natale aveva appena preparato.

Martedì - evviva noi! - sarà la volta del maestro pasticciere.

 

 

 

28 gennaio 2003, terza lezione: prima di pasticceria.

 

Eccoci alla serata dedicata ai dolci. Il maestro pasticciere, al secolo il signor Luciano Micciché, ha trattato della pasta frolla, manufatto principe della pasticceria di base, nel cui impasto - è un segreto del signor Micciché del quale vi faccio felicemente partecipi - è sempre buona cosa aggiungere un cucchiaino di miele.

Sviluppando il tema e passando dalla teoria alla pratica il signor Micciché ha approntato, infornato e ci ha apparecchiato due crostate, una di mele e una di ricotta che da sole valevano, come si suole dire, il prezzo del biglietto, che, provvido sommelier, il nostro caro e impagabile ingegnere ci ha prontamente e sollecitamente aiutati a mandar giù - sempre che di aiuto avessimo bisogno - con un vino liquoroso dolce (sempre un dolce con i dolci, non dimenticatevelo), che non ricordo quale fosse.

Il nostro provvido coppiere avrebbe voluto mescerci, se avesse potuto, piuttosto qualche goccia dell'assai celebre Picolìt. Che cos'è il Picolìt? E’ uno dei più costosi o forse il più costoso dei vini italiani, un passito del colore dell'oro antico e che quanto quello quasi costa. Difatti una sua bottiglia di mezzo litro la paghereste tra le duecentocinquanta e le trecento mila lire.  

Venerdì si tratterà di apporti calorici; ci hanno detto di portarci una calcolatrice. Ahimè, temo che andando di questo passo ci chiederanno di portare una bilancia. 

 

 

 

Lezione di pasticceria, intervento tecnico.

 

Miei fedeli lettori, prima di trattare della lezione di stasera, la lezione della calcolatrice, devo fare un passo indietro e tornare a quella di venerdì scorso.

Per dirvi che il direttore del corso a ciascuno di noi ha dato una dispensa che contiene una trentina di ricette di dolci della tradizione siciliana e che una di queste si chiama "Dolce di Carne".

Vi confesso che lì per lì, istintivamente, essa mi fece abbastanza schifo, fino a quando almeno i succhi gastrici non mi portarono a chiedermi perché facessi tanto lo schizzinoso quando si sa bene che sono ghiottissimo di polpette fritte e i dolci mi piacciono maledettamente. e così sono andato persuadendomi non solo che l'idea di un dolce di forno con la carne tritata non doveva essere del tutto malvagia ma che anzi poteva risultare geniale, così che m'è venuto il gusto di provarla.

miei fedeli amici non voglio, vi prego ardentemente di credermi, che mi facciate la sorpresa di farmela trovare bella e cucinata, poiché vorrò averlo io quando sarà il piacere di sperimentarla.

E poiché come vi dicevo la ricetta non m'è parsa affatto malvagia voglio, miei cari e pazienti lettori, a apparecchiarvela, qualora v'intrigasse, e dopo di essa vi darò i titoli delle altre ricette della dispensa.

 

Dolce di carne:

 

Presentazione: "è questa una Preparazione molto antica, curiosa ed unica, originaria della contea di modica zona di produzione rinomata in fatto di dolci. queste impanatine di carne sono dette in siciliano "'mpanatigghi", un termine che discende dalla parola spagnola "empanadilla". Di pasticcini a base di carne la cucina tradizionale della Sicilia è piena. Si pensi, ad esempio, all'antichissima ricetta del pasticcio di pollo di un emiro di Catania di nome Ibn Timnà. Inoltre tra la fine del "700 ed i primi dell'800 erano molto noti i dolci di carne delle monache del monastero dell'Origlione di Palermo e i "pasticciotti di carni ‘cca ciculatti" dei convento dei frati di Mazzarino del nisseno.

Ingredienti per 6/8 persone. Per il ripieno: 1 kg. di carne di vitello tritata finemente; 1 kg. di zucchero; 1 kg. di mandorle abbrustolite macinate; 200 grammi di cioccolato fondente; un pizzico di cannella; 12 chiare d'uovo. per l'impasto: 1 kg. di farina 00; 300 grammi di zucchero; 300 grammi di sugna; 12 tuorli d'uovo; zucchero impalpabile.

Esecuzione: unite alla farina i tuorli d'uovo, lo zucchero e la sugna fusa. impastate con le mani facendo amalgamare bene, quindi su una base di marmo, dove avrete versato un po' di farina, stirate finemente con il matterello e date all'impasto forma rotonda. A parte passate sul fuoco per un paio di minuti il tegame con la carne, lo zucchero, le mandorle, il cioccolato, la cannella e le chiare d'uovo, mescolando continuamente. spegnete il fuoco e farcite l'impasto con il ripieno ben amalgamato, chiudendolo in modo che il dolce assuma la forma di una mezza luna. fatelo cuocere quindi per 15 minuti nel forno a 180 gradi. Fate raffreddare e servite in tavola su di un largo piatto, guarnendo a piacere con zucchero a velo.

 

Ecco le altre 28 ricette cui facevo cenno prima. Se ve ne interessasse lo sviluppo scrivetemi o telefonatemi.

Biancomangiare; Buccellato; Cannoli; Cassata gelata; Cassata siciliana; Dolce di castagne e riso; Couscous dolce; Crostata all'arancia; Cuccìa; Cutumé; Ericini; Gelato di campagna; Gelato di frutta; Gelo di melone; Gelato di gelsomino; Mandarini ripieni; Mustazzoli di Erice; Pasta di mandorle; Pasticcini di melanzane; Sfinci di san Giuseppe; Sfinci di riso; Sorbetto al limone o all'arancia; Sorbetto di pesche bianche; Torta di Spagna con ricotta; Spuma gelata; Spumette di nocciole; Torrone; Zuccata.

 

E adesso un paio di precisazioni di natura tecnica sulle crostata di cui vi ho fatto cenno. Il mastro Micciché quella di mele la chiuse con le classiche otto listelle disposte a cancelletto (più o meno così #), mentre quella di ricotta la chiuse con un altro strato di fasta frolla, perché se no il forno - ci ha spiegato - avrebbe bruciato la ricotta, datane la freschezza.

 

 

 

31 gennaio 2003, quarta lezione: prima di scienze dell'alimentazione.

 

Miei fedeli lettori anche se siete solo in cinque (ma se il Manzoni ne aveva venticinque posso ben accontentarmi), puntuale vengo a relazionarvi sulla quarta lezione del corso del 'Magnareebere' come diceva il grande Brera. La puntata di ieri sera non è stata all'altezza delle precedenti fosse per il solo fatto che ci hanno mandati a casa a becco asciutto e a stomaco vuoto. Ma non è stato solo per questo: la dottoressa Paruzzo ha fatto la profetessa di sciagure e la calcolatrice le è servita per farci calcolare l'eccedenza di peso e farci determinare quello che secondo la imperante cultura dell'apparire potremmo definire "il peso ideale televisivo". Secondo i suoi astrusi calcoli, chi vi scrive dovrebbe perdere - se vorrà sentirsi elegante, se vorrà morire bene, se vorrà star comodo nella bara - all'incirca una trentina di chili.

Oh santi Numi! Se riducessi il mio peso ai 65 chili invocati delle tabelle della dottoressa Paruzzo dovrei essere sollevato da terra e portato di peso (e non ci vorrebbe neanche troppa fatica a farlo) in manicomio. Quella del nutrizionismo pianificato a me par essere una delle nuove frontiere del far soldi facile; io penso che un adulto della mia età, con la mia posizione e con la mia testa, i suoi bravi novanta chili, dopo trent'anni di duro lavoro e quattro o cinque promozioni di merito, se li debba anche godere. Ne fa fede la complessione fisica del già citato e non abbastanza lodato ingegnere Bonsague il quale alto all'incirca quanto me, pesa - ce lo ha rivelato lui stesso - ben 115 chili. Ma piena e prestante è la sua figura che regala una sensazione di gagliarda e granitica solidità e ce lo rassicura - e questa è forse la cosa che ancora di più conta - come uomo in pace col mondo e con il suo intestino.

In definitiva a me non pare giusto che con queste tre "t" che in questi tempi votati all'effimero e all'individualismo di massa accanitamente ci inseguono (così Edoardo Raspelli definisce la cucina terragna, e ci avete fatto caso a quante riviste, servizi, pubblicità, pubblicazioni ogni giorno escono sull'argomento!) da una parte ci spingono al piacere del mangiare e subito dall'altra i sacerdoti della dietologia ci tolgono la forchetta di mano ricordandoci, come i monaci catastrofisti nell'anno 999, che al minimo ci viene il cancro al colon e al massimo ingrassiamo e diventiamo brutti.

La nostra è la società delle contraddizioni: il nuovo Eros passa per la bocca (vi prego di non fraintendermi) però dobbiamo essere virtuosi ("Nisi caste tamen caute", si dicevano i preti tra di loro). Questa moda del 'Vivere male per morire bene' ha trasformato, secondo la illuminante definizione di Beppe Grillo (uno che i suoi cento chili li pesa) ciò che un Tempo era un peso per lo stomaco in un peso per la coscienza. Detto questo ritornerei alla cronaca della serata.

La calcolatrice ce l'hanno fatta usare anche per determinare il numero delle calorie che consumiamo nelle 24 ore, ma il procedimento è complesso perché occorre una tabella che qui non posso tradurre. Lo scopo è quello di farcene introitare ogni giorno tante quanto ne bruciamo. Discorsi tristi, amici cari, avevo preso degli appunti da usare a vostro beneficio ma non ho voglia di guardarli.

Riporto qualcosa che ancora ricordo a mente: la relatrice (che, è giusto riconoscerglielo, ha una linea che le fa onore) ci ha vivamente raccomandato di fare cinque piccoli pasti (leggeri, li ha definiti) al giorno, così che quando ci sediamo a tavola non mangiamo a quattro ganasce; che per frenare l'azione dei radicali liberi (quindi il processo di invecchiamento organico) dobbiamo bere quantomeno due litri di acqua al giorno (che schifo!); che un (bel) piatto di pasta con fagioli e verdure è il pasto più sano e completo che ci sia  (questo lo condivido in pieno, specie aggiungendoci del peperoncino rosso e un paio di fette di lardo).

Un'altra cosa buona a sapersi è l'effetto positivo che i dolci esplicano non solo sul nostro palato ma anche nella psiche. Succede che gli zuccheri così detti complessi (glucidi) vanno a liberare nel nostro sistema nervoso una sostanza chiamata serotonina la quale suscita nelle cellule cerebrali un effetto quasi dionisiaco. Non per nulla l'avvocato Agnelli - questo lo sto aggiungendo io che molto di lui ho letto in questi giorni che è morto - che non era per niente ghiotto soleva farsi portare due o tre volte al giorno una mousse di ricotta e cioccolato (l’Avvocato, buonanima, è morto di un tumore ma questo non diciamoglielo ai dietologi).  

 

A proposito di pietanze buone e di pietanze cattive, ecco secondo Mariella 'light' di che cosa dovremmo castamente nutrirci:

 

a): pesce, specialmente quello azzurro (io sono a posto, stravedo per il tonno in scatola);

b): carni bianche (non mi piacciono, non posso farci niente);

c): carni rosse (vado matto solo per quelle di maiale, quando insaccate. e per le polpettine alla turca),

d) non stravedo per uova (non magio un uovo bollito da più di trent’anni). Ma le frittate con dentro qualsivoglia verdura le mangio abbastanza volentieri);

e) latte e i suoi derivati (preferisco di gran lunga i suoi derivati; sono un divoratore di formaggi d'ogni tipo e stagionatura;

f) amidacei in genere (di budini e di paste che ne mangerei un mastello al giorno);

g) legumi (mi piacciono i fagioli neri soffritti con verdure, spezie, lardo e pancetta);

h) frutta e verdura (la frutta non mi piace, eccezion fatta per le arance; le verdure adoro mangiarmele con i fagioli, meglio se padellate, alla messicana).

 

Basta, non ci provo gusto a continuare; è stata una triste serata quella di ieri sera, le parole della relatrice mi hanno depresso. Fortuna che a cena m'aspettava una mousse di riso e ricotta dove, ve lo giuro, ho fatto cadere duecento grammi di parmigiano. 

Martedì prossimo la lezione verterà sull'analisi sensoriale dei vini. Il buon maestro ci ha pregati (un po' tutti, ma sopra tutti le signore) di non buttarci addosso profumi. Mi sa che dovrò farmi il bagno. 

 

 

 

4 febbraio 2003, quinta lezione: seconda di enologia.

 

Lavato e strizzato come un tovagliolo mi sono apparecchiato ad apprendere come si riconoscono i vini e come li si descrive. La lezione è stata impegnativa quanto nessun'altra prima di oggi, tant'è che è durata quasi tre ore anziché le canoniche due, ma l'argomento era fondamentale per chi come me voleva penetrare quelle formule e quei gesti così arcani da sembrare quasi esoterici ai quali i sommelier ieraticamente si abbandonano quando in televisione ci decantano le caratteristiche del 'divino liquore'. E ho appreso che non si tratta di parole dette a vanvera né di formule astratte; esse obbediscono ad un preciso glossario codificato dall'associazione italiana dei sommelier che, come le risposte ai quesiti agli esami della patente, nulla concede all'improvvisazione.

Non mi dilungherò sull'argomento se non per aggiungere che gli assaggi (o, se preferite, le degustazioni) sono state fatte, per l'onore e il piacere dell'ingegnere Bonsangue, con prodotti di alta qualità.

Superbo, eccelso, ho trovato uno spumante siciliano, di certo all'altezza dei migliori champagne, che il nostro buon ganimede ci ha fatto conoscere e assaggiare. Si tratta del Burgo brut dei conti di Scammacca(*). e questo e gli altri due preziosi vini della serata hanno trovato nei nostri stomaci il meritato riposo in compagnia di un tipo di maritozzo (i 'cuddriredda') che uno dei partecipanti al corso ha voluto farci assaggiare di suo.

Venerdì prossimo si tratterà di gastronomia e il programma prevede la Preparazione, e pertanto il consumo in loco, di due primi. "ora sì che cominciamo a ragionare", come disse il grande Totò abbrancando con occhio cupido un mastellone di pasta asciutta.  

 

(*) Mi cimento a descrivervi il vino dei conti di Scammacca:

 

(con aria ispirata, scrutando in controluce il bicchiere, prima dal basso verso l'alto e poi dall'alto verso il basso): "Allo sguardo si presenta di un colore giallo paglierino tenue, di brillante limpidezza (pausa), con riflessi dorati (pausa), ricco di sottili e persistenti effervescenze". (Ruotando ad arte il bicchiere e inspirando intensamente, ad occhi chiusi): "all'olfatto sviluppa un intenso profumo di agrumi da cui emergono essenze di mela verde e lapislazzuli viola". (Tenendo il bicchiere per la base, assaggiare due volte schioccando entrambe le volte le labbra, a occhi chiusi dopo avere deglutito): "in bocca è poco caldo (pausa), secco (pausa), gradevolmente morbido (pausa), sapido e fresco". (doppia pausa per poi partire decisi) "Rivela subito un gusto intenso ed equilibrato (stop, di nuovo pausa), persistente (di nuovo pausa), fine, (pausa e via di nuovo decisamente) che ce lo fa definire decisamente armonico e pronto" (assaggiare di nuovo brevissimamente, chiudere gli nuovo gli occhi e, assumendo un'espressione ispirata): "Va servito freddo per il suo abbinamento più tipico che è quello con degli aperitivi di classe o in una cena a base di crostacei".

 

 

 

7 febbraio 2003, sesta lezione: seconda di gastronomia.

 

Sesta puntata di questa sorta di soap opera "che - me lo scrive - geniale con la penna quanto col pennello - mio cognato Tanino - "incolla ogni volta i miei lettori allo schermo del computer". La lezione di stasera ha riguardato i primi piatti e ce l'ha tenuta, come ogni altra di gastronomia, la professoressa Silvana Natale. Una gentile signora con gli occhi chiari e una caratteristica - a me così è parso - fuori del comune. Questa caratteristica fuori del comune è costituita dal fatto che la signora Natale, che ordinariamente si spende come insegnante, sacrifica il Tempo che le rimane ad una pervicace passione per la cucina. Converranno i miei benevoli lettori col fatto che per la donna d'oggi, in specie se è emancipata, la cucina è la peggiore delle condanne cui [la donna emancipata di cui si diceva] si sottopone ogni giorno sempre più malvolentieri, correndo per fast food e riparandosi nei cibi pronti. E che piuttosto siamo noi maschi che in questa confusa fase di epocali capovolgimenti mentali (e ormonali) aspiriamo a dare alla nostra vita, ma spesso senza fare nulla perché l'aspirazione si concretizzi, una dimensione diciamo così casalinga. Mia moglie ed io siamo di questi, e assai volentieri ci scambieremmo i ruoli, solo che una sorta di sclerosi mentale che gli anni anziché dissipare acuiscono ci impedisce di intenderci. 

La pasta l'hanno inventata i cinesi - ha esordito la glaucopide Silvana - i quali ancora oggi ne fanno un forte uso (il riso in Cina è piuttosto il cibo dei poveri), consumandola nella forma che noi chiamiamo fresca, e proprio sulla pasta fresca è stata condotta la lezione di stasera.

Tralasciando il molto che è stato solo detto, vengo a raccontarvi, miei fedeli amici, delle due pietanze che le sue sapienti mani, davanti a noi per le nostre affamate menti e le voraci bocche, hanno approntato: un rotolo di spinaci con funghi e parmigiano, cotto al forno, e una portata di tagliolini ai quattro colori con contorno di lenticchie. Alle differenti colorazioni (e al miglior sapore) delle quali provvedevano per una parte il peperoncino, per l'altra gli spinaci e per l'altra ancora il cacao amaro.

Fossimo stati tedeschi ci saremmo messi tutti disciplinatamente a scrivere silentemente copiando, ma siccome siamo italiani ci siamo applicati a chiedere alla relatrice, quasi facessimo a gara a chi la sparava più grossa, «Professoressa, ma al posto degli spinaci si ci può mettere la rucola?», «Professoressa, e la bietola?», «E la zucca, professoressa?», «Le patate, con le patate non si sbaglia mai!», «La ricotta, la ricotta, io ci metto la ricotta, professoressa…», «La ricotta sì, ma se ci aggiungi le melanzane è meglio». Oppure a chiederle se al posto del peperoncino si ci può mettere lo zafferano o lo zenzero, oppure il bergamotto o le castagne. «Io ci metto le castagne, professoressa", "Macché castagne! io ci metto il nero di seppia", "E io il salmone, no, anzi, il caviale. “Il caviale professoressa, nessuno mi batte col caviale!".

Metteteci quel che volete, marrani, ma ricordatevi che in cucina ci vogliono coraggio e fantasia. Metteteci quel che volete, ma ricordatevi di coprire il tutto con molto contorno, il quale farà giustizia di ogni vostro arzigogolo mentale.

Fortuna che la povera donna era lesta nel parlare quanto nel lavorare, se no con tutti quei grilli parlanti finivamo a mezzanotte. Io non ho fatto domande né ho preso nota delle ricette; per approdare ai fornelli dovrei passare sul cadavere di mia moglie e anche se come cuoco mi auto stimo non voglio suscitare una batracomiomachia per così poco. Diciamo che il mio approccio a queste lezioni è solo cerebrale e che di questo m'accontento. Imparo l'arte e, come si suole dire, la metto da parte. 

Il risultato del lavoro è stato eccellente e alla professoressa Natale sono stati tributati i più calorosi applausi. La signora è giunta ad essi procedendo risoluta sulla strada del condire abbondante. Lardellate di salse, di sughi e di besciamelle, farcite di spezie e di formaggi, le sue pietanze si sono offerte ai nostri palati piene, morbide e succolente dandoci ancora più di quel che promettevano. Chissà perché il metodo mi ha portato la mente al modo di far musica di Giuseppe Verdi, compositore non disprezzabile se la sua musica l'avesse scritta non pensando al pubblico e alla cassetta, e a me per questo riesce insopportabile. Perché allo scopo di suscitare l'irrefrenabile delirio dei loggionisti e diluvi di applausi egli ricorreva all'espediente tutto italiano di caricare i finali degli atti di poderosissimi 'crescendo', facendo strepitare all'unisono e a più non posso tutti i fiati, le ugole e le fanfare dell'orchestra.

Sono del tutto sicuro che la signora Silvana sa seguire sentieri più raffinati ed esclusivi e che la via da lei perseguita stasera era, per il livello non eccelso della platea, la più opportuna.

Buona compagnia ha fatto agli intingoli di cui sopra il bicchiere di rosso offertoci dall'inossidabile ingegnere Bonsangue. Stavolta dal suo inesauribile cilindro è uscito un vino 'novello' di 12 gradi (“Novello di Rallo” si chiama) assolutamente raccomandabile. Ma cos'è un “vino novello!?” Lasciamo stare la definizione tecnica che lo declama "Vino a fermentazione infracellulare in ambiente anaerobico", diciamo subito che la definizione che lo dà come il vino nuovo che ogni anno, sotto san Martino, si spilla dalle botti è riduttiva. Perché il “vino novello” muore giovane, non arriva nemmeno a Pasqua, muore, beato lui, senza conoscere la malinconia di una lenta corruzione (“Muore giovane chi è caro agli Dei, diceva quel bugiardo di Mimnermo). Limpidissimo, di colore rosso porpora con qualche riflesso violaceo, ricco nello stesso Tempo e di glicerina (è la glicerina che conferisce ai vini la morbidezza) e di tannino (che invece gli dà il caratteristico vigore), al palato evoca un intenso sapore di fragola, di lampone e, ci ha detto l'ingegnere, dello smalto che le signore usano per tingersi le unghia. E tutti lo abbiamo trovato squisito. 

Non posso scrivere ancora, non è possibile che ogni mio intervento sia sempre più lungo del precedente, di questo passo con le lezioni di marzo arriveremo agli “acta diurna”. Fatemi aggiungere soltanto che abbiamo scoperto, dopo quello di Delia e a parte i molti sancataldesi che forestieri non sono, una signorina che va e viene col pullman da Montedoro e addirittura una signora che ci raggiunge dalla lontana, saluberrima e cara agli Dei Piazza Armerina: sono questi dei segni palmari della credibilità dell'associazione e del prestigio del suo direttore.

Penso però che ad apertura di corso egli avrebbe dovuto chiamarci - e mi meraviglio che così bon vivant e cameratesco com'è non lo abbia fatto - ad uno ad uno tutti e trentadue, e farci dire in trenta secondi, a braccio, qualcosa di noi stessi, non fosse che per darci modo di mostrare la quantità di spirito che il nostro sangue contiene. Ora "fervit olla et vivit amicitia", ma siamo un po' come il Giappone: un arcipelago di isole in un mare 'di-vino'.

 

 

 

11 febbraio 2003, settima lezione: seconda di pasticceria.

 

Andava in scena la seconda lezione di pasticceria, ma è stata una serata fiacca. Il maestro pasticciere col suo fisico asciutto, i capelli alla prussiana, i guantetti da chirurgo e la desolante stringatezza nel parlare non ci ha acceso né la fantasia né i succhi gastrici. Lo stesso “Vinsanto” che per accompagnare i suoi manicaretti l'ingegnere Bonsangue ci ha offerto ci è parso, alla fine, più un vino da offertorio che quel liquore da compagnia che in è effetti (per chi dei miei lettori non lo sapesse si chiama “Vinsanto” perché i toschi che lo producono sono soliti spillarlo il giorno di tutti i Santi).

Come di frequente capita, la recita più gustosa ci è venuta dal nostro rabelaisiano direttore che a fine opera, simpaticamente e visibilmente preso da un imbarazzo che solo la sua golosità vinceva, ha domandato al maestro pasticciere se lo faceva disporre della non poca ricotta condita che, inusata, era rimasta nel mastello, ricotta che -  avutone il permesso, in quattro e quattr'otto ha gagliardamente divorato - ("Per la Madonna, signore, cattivo cuoco è colui che non sa leccarsi le dita!". William Shakespeare).  

Venerdì, festa di san Valentino, la lezione salta. "Anziché venire, restatevene a casa e cercate con qualche cautela di porre in pratica le cose che vi abbiamo insegnato, ché se il vostro partner ne esce vivo non vi lascerà più!".

 

 

 

18 febbraio 2003, ottava lezione: prima di galateo a tavola.

 

“Finalmente il galateo a tavola…!”. Quasi mi esprimo come si espresse con i suoi soldati Alessandro Magno prima di attaccare le superbe mura della città di Rodi, volendo significare che prima d'allora avevano solo scherzato, “Qui è Rodi e qui si salta”. La lezione ce l'ha tenuta la tenue, delicata, dolcissima dottoressa Michela Oliveri che forse la cosa meno bella che ha è - ma dico forse perché i nomi sono come i tailleurs, dipende da chi li indossa - il nome. La quale nell'intervento di stasera ha trattato della così detta “mise en place”.

La “mise en place” è l'arte di apparecchiare la tavola e non è sicuramente mestiere, finora almeno non lo è stato, per noi uomini.

Nella sua trattazione la giovane signora (pertinente al ruolo sia in senso metafisico che fisico) si è mossa su due binari: quello dell'occasione formale e quello dell'occasione informale, non trascurando di lumeggiarci sulle situazioni di interferenza.

Tutti gli appunti che ho scrupolosamente preso attengono all'occasione formale (per la quale noi intenderemo il pranzo di lusso), perché nell'occasione formale le regole sono rigide e poco può essere lasciato all'improvvisazione.

Intanto cominciamo con il dire che lo si chiama pranzo quando il trattenimento inizia in un orario che sia compreso tra le ore 12,30 e le 20, e cena se ha inizio dopo le 22. Se non volete passare per degli inguaribili snob evitate di chiamare il pranzo colazione, e meno che mai quando si tratta di un pranzo formale. Evitate di essere in tredici a tavola; non perché il tredici porti male ma solo perché i servizi di posate e stoviglie sono composti solitamente di dodici pezzi e sarebbe del tutto fuori luogo porre in aggiunta pezzi di altro tipo, forma o colore. Se non avete problemi di questo genere allora invitatene quattordici o sedici.

La buona padrona di casa apparecchierà su di un tavolo di dimensioni adeguate al numero dei convitati giacché sono parimenti sconvenienti sia un tavolo troppo grande che uno troppo piccolo, così che si evitino tra un commensale e un altro sia l'eccessiva distanza che una distanza eccessivamente vicina (diciamo che la misura di separazione ideale sta sui 35/40 centimetri).

Utilizzate una tovaglia chiara o meglio ancora bianca, pregiata o comunque fine (a questo scopo particolarmente si raccomanda il lino di Fiandra), che dovrà apparire perfettamente stirata (ci sono dei particolari ferri da stiro che consentono di stirarla quando essa è apparecchiata sul tavolo) e dovrà pendere sulle gambe dei convitati per non più di 40 centimetri. Conviene sottoporre alla tovaglia un panno di mollettone bianco sia allo scopo di preservare il legno del tavolo e sia per poterle dare, sopra, una passata di ferro.

I tovaglioli dovranno essere assolutamente coerenti con la tovaglia e non devono apparecchiarsi aperti a ventaglio sopra il bicchiere più grande come qualche ristoratore particolarmente fantasioso ha preso a fare. Ovviamente non vanno messi neppure dentro i portatovagliolo giacché i portatovagliolo si usano quando il tovagliolo viene utilizzato più volte e ovviamente questa è una situazione che non può ricorrere in un pranzo formale. 

La padrona di casa, che come raccomandava monsignor Della Casa dovrà sedersi a tavola “fresca come una rosa", terrà accanto al tavolo da pranzo un carrello o una idonea base di supporto dove disporrà (perfettamente impilati) i piatti di ricambio, bene ordinate le posate di scorta e quegli articoli o generi di consumo che si porranno sulla tavola solo nel momento giusto e per il Tempo d'uso, quali per esempio la frutta, il dessert, la formaggiera, le bottiglie di vino di scorta (in dei cestelli con ghiaccio quelle di bianco), quelle dell'olio e dell'aceto. Le bottiglie vuote andranno via via allontanate.

L'accorta signora avrà cura di assegnare i posti alternando convenientemente le dame e i cavalieri in ragione dell'età, del rango, dei comuni interessi, e, senza darlo ad intendere, delle possibilità di intese.

Illeggiadrirà la tavola con dei fiori (sempre colori sobri, meglio se chiari, mai fiori di campo in un pranzo formale) che porrà su uno o più portafiori di cristallo o d'argento. Se il tavolo non è troppo lungo li porrà nel suo giusto mezzo, se è troppo lungo ne metterà due. Se lo preferisce potrà sostituire i fiori con dei candelabri d'argento. Gli uni e gli altri dovranno essere sempre proporzionati alle dimensioni del tavolo e dovrà evitarsi che l'altezza dei fiori occluda ai commensali la vista di chi gli sta davanti o che la fiamma delle candele li abbacini.

Andiamo adesso ai piatti. Sulla tovaglia dinanzi ad ognuno dei posti assegnati dovrà porsi un ampio sottopiatto che mai verrà tolto o utilizzato. Non è necessario che sia del tipo dei piatti d'uso, può anche essere di cristallo o d'argento o anche d'acciaio, l'importante - ripeto - è che non venga mai tolto. Sopra di esso si porranno via via i piatti di portata. A questo riguardo ricordatevi che la pasta asciutta la si serve sui piatti piani (cioè non concavi, non fondi, i quali invece andranno utilizzati per le minestre, mentre per i consommè andranno meglio le tazze). Non utilizzate mai lo stesso piatto per due portate, e non costringete mai il convitato ad usare la stessa posata per due portate.

La padrona di casa esperta imbandirà la tavola ponendo in ogni posto l'esatto numero di posate e di bicchieri che dovranno essere utilizzati dall'inizio alla fine del pranzo, porne di meno è sbagliato così come porne di più. Non azzardatevi a mettere gli stuzzicadenti né a tavola e nemmeno sul carrello o supporto di servizio. Stuzzicadenti è una parola che nel dizionario dei pranzi formali non esiste e questo vale anche per i convitati così che se vi è proprio necessario sgravarvi un dente da una sfilacciatura di carne o di verdura chiedete discretamente d'andare in bagno.

Se vorrete porre l'acqua minerale in delle caraffe (ma non in caraffe da due litri ché per sollevarle ci vorranno i muscoli di Ercole) utilizzate solo acqua del tipo liscio; se invece vorrete mettere a tavola sia l'acqua liscia che quella gasata lasciate i due tipi nelle loro bottiglie originali (ma di vetro, mai di plastica). Se il vino è di buona qualità lo lascerete nelle bottiglie originali, se si tratta di un vino comune (il che in un pranzo informale è proprio da evitare) lo porrete in delle caraffe più piccole di quelle dell'acqua.

Andiamo adesso alla difficile questione della disposizione delle posate intorno al piatto, questione difficile perché ancora non si è riusciti a definire delle norme che facciano dottrina. Ma una regola fondamentale c'è, ed è questa.

Vanno poste a sinistra del piatto le posate che vanno usate con la mano sinistra (in genere le forchette) e a destra le posate che vanno usate con la mano destra (in genere i coltelli, e, se c'è, il cucchiaio); cucchiai in tavola non se ne mettono, a meno che non debba servirsi della minestra. In caso contrario vanno tenuti, perché qualche commensale poco avvertito potrebbe chiederne uno, nel carrello o nel supporto di servizio. Le forchette e i coltelli (che come abbiamo detto dovranno essere di numero pari all'occorrenza) vanno allineati l'uno accanto all'altro in rigoroso ordine di prelazione. Così che a destra del piatto, da più vicino a più lontano, si porranno la forchetta per la pasta asciutta (che quindi va a destra), il coltello per la carne, il coltello per il pesce e la forchettina per la verdura. A sinistra del piatto, nello stesso senso centrifugo, si porranno la forchetta per la carne, quella per il pesce e così via eventuali altre o altra. I coltelli vanno allineati con la lama rivolta verso l'interno.      

In alto, dietro al piatto, si porranno le posate (più piccole) per l'antipasto, per la frutta e per il dessert o il gelato; essi vanno disposti nel verso col quale si prendono in mano. I bicchieri vanno posti alla destra del piatto (alla destra perché vanno presi con la mano destra), in posizione più arretrata, uno a fianco dell'altro, dal più grande al più piccolo: primo quello per acqua, poi quello per il vino rosso, quindi quello per il vino bianco e dietro a tutti (ma solo se è previsto lo champagne o lo spumante) la 'flute', oppure la coppa se lo spumante è del tipo dolce. Se la 'flute' viene utilizzata con l'aperitivo o l'antipasto dovrà essere subito portata via e quindi si conchiuderà il pranzo col liquore (in genere un amaro, raramente il brandy che eventualmente si andrà a prendere in un'altra sala), per cui al posto della “flute” si porrà il classico bicchierino da liquore; gli altri bicchieri resteranno a tavola tutto il Tempo.

Dal lato opposto a quello dove avrete sistemato i bicchieri porrete il piattino con del pane già affettato e qualche grissino (il pane va sbriciolato delicatamente con le mani nell'apposito piattino e portato in bocca con la forchetta, giammai con il coltello che fa tanto “Cumpari Turiddu”) e la tazza con l'insalata non condita, che ciascuno si condirà come meglio gli attalenta. 

La saliera, la pepiera (con il pepe nero; le altre varietà di pepe li si terrà nel carrello di servizio), la formaggiera, il cavalletto dove poggiare Temporaneamente il coltello allo scopo di non sporcare la tovaglia, e la ciotola per bagnarsi (bagnarsi, non lavarsi) le dita compongono il così detto ménage. Ogni commensale dovrà averne uno, tuttavia se la padrona di casa non disponesse di un numero sufficiente di contenitori di cristallo (per il sale, per il pepe e per il formaggio) potrà ricorrere alle saliere e alle formaggiere classiche, avendo cura però di porne una coppia ogni due commensali (le ciotole con l'acqua dove bagnarsi le dita invece, come si comprenderà, sono strettamente personali). La formaggiera dopo la portata che ne ha richiesto l'uso va (purtroppo – ma esclamazione di personale disappunto attiene esclus) allontanata dalla tavola; dopo l'insalata andranno allontanati sia il sale che il pepe; la ciotola lavadita e il cavalletto poggia coltello invece vanno tenuti per tutta la durata del pranzo.

Crediamo d'avervi riferito le cose fondamentali che ieri sera sono uscite dalla bocca della leggiadra relatrice.

Qualche altra raccomandazione ancora a proposito della “mise en place”:

Sotto le bottiglie vanno messi sempre dei sottobottiglia (i ristoratori li chiamano coprimacchia); si chiude sempre con il dessert o con il gelato, non con la frutta; l'antipasto va servito solo a pranzo, mai a cena.

Adesso vi offro qualche piccola curiosità di natura tautologica sul galateo. "Il galateo" è un trattato di buona creanza composto dall'ecclesiastico Giovanni Della Casa (Firenze 1503, Roma 1553) dietro richiesta di Galeazzo Florimonte vescovo di Sessa, cui il Della Casa lo dedicò nel 1553. E fin qui non c'è niente di straordinario, monsignor Giovanni prima di prendere i voti era stato un fervido gaudente ed era uso alle migliori pratiche di mondo; curiosa è piuttosto l'etimologia del termine. Difatti galateo nella sintassi latina del Tempo voleva dire Galeazzeo, nel senso di 'dedicato a Galeazzo' e non credo che se stasera la dottoressa Oliveri non ce lo avesse detto molti lo avrebbero supposto. Chi volesse leggere l'opera del Della Casa e non volesse recarsi in libreria o in biblioteca può scaricarsela dal sito della “Liberliber.it” ove la si trova per intero. Per quel che mi riguarda e il poco che posso dire io trovo insuperabili i consigli di donna Colette Rosselli (donna Letizia) e soprattutto estremamente gradevole il modo con cui li porge, anche se troppo di frequente li dimentico.

Monsignor Della Casa soleva dire che il vero signore si riconosce a tavola e questo veramente me lo dice (sempre) anche mia moglie. Ma ce ne avvedremo il prossimo 7 marzo quando la diafana dottoressa Oliveri scenderà in campo col cipiglio d'una Brandimarte per redarguirci sul come si sta a tavola e si mangia. Temo che divertiremo meno di stasera perché come disse Elias Canetti "Ognuno per smettere di mangiare dovrebbe vedersi mentre mangia".     

Il timore di perdere i pochi lettori che tenacemente mi seguono mi induce a tenere in ombra, almeno stasera, ché già troppo mi sono dilungato, le performances dell'inesauribile ingegnere Bonsangue il quale in avvio ci ha intrattenuti, proiettandocene un interessantissimo filmato, sul prosciutto di Parma e dopo ci ha doppiamente deliziati facendocene gustare la squisita dolcezza.

 

 

 

Lezione di pasticceria, intervento tecnico

 

Mia sorella Marilidia che se aprisse un ristorante farebbe chiudere tutti gli altri, mia sorella Marilidia che Gianfranco Vissani e Nadia Santini ambirebbero di servire ai suoi tavoli, mia sorella Marilidia che muove il mestolo con la stessa grazia con la quale la divina Yo-Yo-Ma muove l'archetto(*) (l’altra invece, la più piccola – Fatimina - è versatissima nel campo dello spadellamento e delle farciture (torte salate e intingoli d’ogni genere) mi ha chiesto - non capisco perché - le ricette di pasticceria. Ed io per accontentarla le ho chieste alla cortesissima signora Macaluso che siede nel banco dinanzi al mio. Vengo a trascriverle una ad una,  per sua gentile concessione.

 

Pan di Spagna: Ingredienti: n. 7 uova; 250 grammi di zucchero; 200 grammi di amido di mais. lavorazione: preparare una teglia imburrata; dividere i tuorli dagli albumi; montare gli albumi a neve aggiungendo durante lo sbattimento 2 o 3 gocce di limone; amalgamare lo zucchero e i tuorli e aggiungerli all'album montato a neve; aggiungere l'amido e girare delicatamente (non frullare); mettere tutto dentro la teglia e infornare a 180° per 20 o 25 minuti.

 

Sfingi all'uovo (dolce tipico siciliano) - Ingredienti: 1 lt. d'acqua; 100 grammi di burro o strutto; 1 kg. di farina 00; n. 28 uova; 300 grammi di farina 00; 20 grammi di bicarbonato. Lavorazione: fate bollire l'acqua con lo strutto; quando bolle aggiungete la farina; quando si amalgamano scendeteli dal fuoco e aggiungete ad uno ad uno le 28 uova e il bicarbonato; quando arrivate al 20° uovo aggiungete 300 grammi di farina 00 e quindi riprendete ad aggiungere le altre 8 uova: non fare riposare l'impasto ma friggetelo oppure infornatelo sulla carta da forno (bignè).

 

Sfinci tradizionali - Ingredienti: 900 grammi di farina rimacinata; 100 grammi di farina 00; 100 grammi di zucchero; 100 grammi di strutto (o burro o olio di semi); n. 2 uova; 50 grammi di lievito di birra; 1 lt. di acqua tiepida; 1 pizzico di sale. Lavorazione: più o meno come sopra.

 

Rollò (dolce tipico nisseno) - Ingredienti per 3 fogli di 40 x 60 cm. di pan di Spagna: 1 kg. di uova (n. 13 o 14); 5 gocce di limone; 200 grammi di zucchero; 250 grammi di farina 00 o di amido di mais; 50 grammi di mandorle in polvere (abbrustolite e tritate con la pelle); 50 grammi di cacao amaro e 25 grammi di miele. Lavorazione: separare i tuorli e gli albumi delle uova; montare gli albumi a neve unendovi le 5 gocce di limone; aggiungere lo zucchero ai tuorli e unire agli albumi; amalgamare delicatamente il tutto con la farina, le mandorle in polvere e il cacao; stendere l'impasto sulla carta da forno; cuocere a 220° per 8 minuti. Ingredienti per la farcitura di un foglio di 40 x 60 cm. di pan di Spagna: 350 grammi di zucchero; 1 kg. di ricotta di pecora. Lavorazione: si tiene la ricotta a scolare; vi si aggiunge lo zucchero; si amalgama il tutto e lo si tiene a riposare per una notte; la mattina dopo lo si passa con il passapomodoro; lo si spalma sul foglio di pan di Spagna e lo si arrotola con la carta da forno; lo si lascia riposare per 6 ore; si copre il rotolo con la ricotta, con scaglie di cioccolato e tritato di pistacchi; si taglia a fette e si serve.

 

Torta Savoia (dolce tipico nisseno) - Ingredienti per 4: fogli di 40 x 60 cm. di pan di Spagna: 1 kg. di uova intere; 400 grammi di zucchero; 900 grammi di farina 00; 25 grammi di miele. Lavorazione: impastare come descritto per i rollò; tenere sotto pressa per 5 ore; coprire con cioccolato fondente. Ripieno: cioccolato di Gianduja o Nutella; zucchero a velo.

 

Dolcetti Savoja (dolce tipico nisseno, (la pasticceria secca che più mi piace) - Ingredienti per la pasta frolla di base: 1 kg. di farina 00; 450 grammi di burro o di margarina; 300 grammi di zucchero; 4 uova intere; 25 grammi di miele; 1 busta di vanillina; aromi preferiti (arancia, cacao, vermouth, amaro o altro). Lavorazione: amalgamare burro e zucchero; aggiungere le uova intere, la farina, il miele e gli aromi; impastare la pasta e farla riposare avvolta nella pellicola trasparente per 1 ora in frigo. Se la aromatizzate con il cacao aggiungete un po' d'acqua; spianate la pasta con il mattarello (tenete conto che in forno il volume della pasta aumenta di un quarto); tenere in forno a 190° per 20 minuti; tagliate dopo che si è raffreddato.

 

Crostata Savoja (dolce tipico nisseno). Esattamente come per i dolcetti Savoja, con la sola differenza che dopo che la si è uscita dal forno le si spennella la superficie con un uovo intero sbattuto.

 

Torta Gianduja: Ingredienti: 1 kg. di mandorle sgusciate, tostate e tritate; 300 grammi di zucchero; 400 grammi di cioccolato fondente. Lavorazione: mischiare le mandorle con lo zucchero e tritare ripetutamente, quindi aggiungere il cioccolato sciolto e fare raffreddare.

 

Biscotti Umberto (dolce tipico nisseno) - Ingredienti: 1 kg. di farina 00; 300 grammi di zucchero; 200 grammi di burro o strutto; 15 grammi di ammoniaca; 125 grammi di acqua; 3 uova; 1 busta di vanillina. lavorazione: impastare come si fa con la pasta frolla base; tenere in forno a 190° per 20 minuti.

 

Raffiolini (dolce tipico nisseno) - Ingredienti: 1 kg. di uova (n. 13 o 14); 400 grammi di zucchero; 600 grammi di farina 00. Lavorazione: dopo avere sistemato l'impasto a strisce sulla carta forno spolverare con zucchero semolato e a velo. Tenete in forno a 180° per 15 minuti.

 

Brioches - Ingredienti: kg. 1 di farina 00; 100 grammi di zucchero; 100 grammi di strutto; 25 grammi di sale; 50 grammi di lievito di birra; 450 di metà acqua e metà latte. Come si lavorano non ci è stato detto.

 

Pasta fresca all'uovo ripiena - Ingredienti: 400 grammi di farina 00; 3 uova intere; 1 tuorlo; 2 cucchiaini di acqua; 2 cucchiaini di olio; mezzo cucchiaino di sale.

 

Pasta fresca all'uovo non ripiena - Ingredienti: 400 grammi di farina 00; 4 uova intere; un pizzico di sale.

 

Pasta semplice - Ingredienti: 400 grammi di farina; 200 grammi di acqua; un pizzico di sale.

 

Pasta colorata - Ingredienti: 400 grammi di farina; 3 uova intere; 1 tuorlo; 100 grammi di spinaci o di bietole.

 

Care sorelle, vogliatemi sempre bene.

 

(*) giovane cinese virtuosa di violino.  

 

 

 

21 febbraio 2003, nona lezione: seconda di scienze dell'alimentazione.

 

Non potevo non farlo né volevo celarlo, ma tanto vale che prima d'iniziare lo dichiari apertamente: stasera ho fatto l'amico del giaguaro. Il mio cuore ha battuto all'unisono con quello del reprobo, ha parteggiato per lui, lo ha difeso e ripetute volte ha fatto finta di non sentire tutto il giusto, il vero e il buono che il pubblico ministero come dardi fiammeggianti impietosamente gli scagliava addosso. Alla fine ho votato per un verdetto di non colpevolezza, rimandandolo ...in cucina. Perché stasera come un treno lanciato a 200 km. all'ora e la rotonda porta d'ingresso di una galleria si sono scontrati l'acuminata scienza della dottoressa Paruzzo e tutti interi i 115 chili del nostro imponente e impenitente direttore.       

Lugubri rintocchi sono usciti stasera dalla graziosa bocca della signora Mariella “slim line” Paruzzo nelle lunghe due ore che ella ha dedicato al sovrappeso. Non c'era una parola sbagliata nelle moltissime che ella con passione, convinzione e persuasione ha speso per farci deporre il coltello e la forchetta.

Mi ha stretto il cuore vedere in questa sorta di Termidoro al cetriolo e allo sfilatino di crusca il povero ingegnere Bonsangue dover confessare come un reo la sua insana passione per la pasta alla carbonara, dover ammettere i suoi molteplici adulteri con tutti i companatici di questo mondo, dover dichiarare le sue notturne fughe con dolci e paste e infine dover dichiarare di non alzarsi mai da tavola se non quando abbondantemente sazio. Così che alla fine egli ha dovuto offrire le sue opime rotondità allo staffile della carnefice ed è stato trattato senza pietà, tanto che poveraccio sembrava Cristo alla colonna (fatta salva la non irrilevante circostanza che il vero Cristo era solo pelle ed ossa). Sia chiaro, lo meritava: i suoi 118 centimetri di giro vita lo condannano senza appello, ma io ho parteggiato per lui ammirandone il coraggio. Egli porta i suoi pesi e le sue circonferenze assai giocosamente, senza quei maledetti sensi di colpa che ci uccidono più che i trigliceridi e i radicali liberi (maledetto Marco Pannella, perché una volta per tutte non si decidono a metterlo dentro e così finiamo di soffrire…?!). 

Dicevo che non c'era una parola sbagliata nelle moltissime che la agguerritissima relatrice ha appassionatamente speso per fargli e farci deporre il coltello e la forchetta. Ha cominciato definendo l'obesità la malattia del XXI secolo e cantandoci chiaro che se abbiamo un giro vita superiore ai 102 centimetri (88 le donne) il becchino sta certamente per bussare alla nostra porta, giacché l'impotenza sessuale, l'ipertensione, le malattie cardiovascolari, il diabete e il tumore al colon ci appartengono come le pulci al cane.

Siamo obesi, non giriamoci attorno con le parole. Ma perché ingrassiamo? Ingrassiamo perché mangiamo male, ingrassiamo perché mangiamo troppo, ingrassiamo perché ogni giorno introitiamo più calorie di quelle che bruciamo e ingrassiamo perché mangiamo troppo formaggio, poiché il formaggio - Mariella, cuore di pietra, nessuno glie lo ha detto che il mondo si divide in tre grandi categorie e cioè in formaggiai, in salumai e in poveri di spirito? - è il più formidabile amico di chi vuole ingrassare e il più spietato nemico di chi vorrebbe dimagrire.

- "Spiegami una cosa, Mariella" - con voce melliflua ad un certo punto le ha fatto l'ingegnere Bonsangue che, desideroso di vendicarsi, evidentemente la aspettava al passo - "Dammi per favore una spiegazione, visto che tutte le volte che abbiamo mangiato insieme la mia curiosità anziché diminuire è invece aumentata: “Come mai, Mariella, tu che mangi come un lupo, ti mantieni sempre così magra?!!" -.

La Robespierre dei fornelli incassò con classe non cadendo nell'errore di negare: - "Stavo appunto per dirlo - gli rispose col migliore dei suoi sorrisi - si ingrassa o non si ingrassa anche per ragioni ereditarie" -.

Al che da molte bocche distintamente si è sentito uscire e toccare il soffitto un grosso, liberatorio e calvinistico sospiro di sollievo. - "Allora perché affannarsi a cercare la grazia se siamo tutti predestinati,!!" - Una buona metà di noi s'è detto - "”Non saremo mai come vorremmo essere per colpa dei nostri genitori e dei nostri zii!!".

Fermo restando che la mia solidarietà al fratello grasso era soprattutto solidarietà verso me stesso, vi dico amici che non sempre è così; non cerchiamo comode scappatoie. Cominciare a dimagrire è meno difficile di quanto non si pensi. Il difficile è cominciare, ché poi lo stomaco come ogni altro muscolo si abitua, e meno mangeremo e meno vorremo mangiare, e se ci pensate anche nelle pratiche sessuali e in quelle intellettive succede la stessa cosa. Provateci senza esagerare, non dovete esagerare ma neanche privarvi troppo ("Et surtout, pas de zèle…!", raccomandava il principe di Talleyrand ai suoi ministri), provate pure a raffrenarvi un po', ma non perdete mai il piacere del palato.

Diete per perdere peso ne esistono millanta che tutta notte canta, e sono tutte buone a far deperire il nostro portafogli e a fare ingrassare dietologi e farmacisti. Tutte promettono di più di quel che mantengono, nessuna fa miracoli, qualcuna può fare del male. 

Tra le troppe diete che quotidianamente ci frustano la coscienza - dieta a punti, dieta dissociata, dieta monocibo, dieta Scarsdale, dieta Beverly hills, dieta Mayo, dieta con pasti sostitutivi, e non poteva mancare neanche una dieta così detta computerizzata. La agguerritissima relatrice che ce le ha descritte tutte ha salvato solo quella mediterranea, "perché - ci ha spiegato - è statisticamente dimostrato che noi del sud viviamo meglio e più a lungo degli svedesi, dei finlandesi e degli inglesi e, se guardiamo bene, anche dei torinesi e dei milanesi". Giusto, giustissimo, anzi perfetto: nessuno mette in dubbio l'efficacia terapeutica dell'olio d'oliva e del fangotto di fave. Ma non se l'è mai chiesto la “slim line” dottoressa Paruzzo se tra i motivi della longevità di noi mediterranei non vi sia anche quello che lavoriamo poco e quel poco che facciamo comunque venga ci va bene lo stesso?

Mangiamo fratelli, mangiamo con gusto, mangiamo con gioia, con curiosità, con competenza, mangiamo fino a quando i sensi di colpa non prendono il posto della soddisfazione. Mangiamo con piacere, concediamo al palato l'estasi dei sapori, perché quando chiuderemo gli occhi per sempre chiuderemo purtroppo per sempre anche la bocca, perché sono meglio cinquant'anni con un appetito da leoni piuttosto che cento a bere latte di pecora.

"Nessun amore è sincero quanto quello per il cibo" diceva Joseph Conrad e intanto anche noi grassoni finalmente abbiamo la nostra giornata di festa. Ci hanno pensato gli americani che hanno battezzato il 6 maggio 'International not diet day' e non occorre essere degli aruspici o dei sociologi per persuadersi che consumisticamente parlando essa diventerà una giornata d'oro, più che il 14 febbraio per gli innamorati o il 21 giugno per i finocchi e le lesbiche.

Chissà che per quella data nel vulcanico cervello dell'ingegnere Bonsangue non fermenti l'idea di organizzare una memorabile agape. Faremmo della bella e geneticamente protetta signora Mariella la nostra graziosa mascotte e con la medesima ingaggeremo un certame a chi mangia di più e finisce prima.

 

 

 

Domenica 23 febbraio 2003: visita guidata alla cantina "Raggio di sole".

 

Il nostro provvido ingegnere ci ha provvidenzialmente provveduti di una bella giornata di sole, dopo tanta uggia. Tutto si è svolto secondo i programmi e anche la cantina mi ha fatto una bella impressione, anche se il mio giudizio è quello di uno che prima di oggi non ne aveva vista una. Tutto mi è parso pulito, ordinato, bello e giusto e molto m'ha impressionato il fatto che ogni anno, a parte lo sfuso, vendono 500 mila bottiglie (figuratevi che del giustamente celebre Brunello di Montalcino se ne vendono 'appena' 4 milioni, e converrete che paragonare i vini della 'Raggio di sole' al Brunello di Montalcino è come paragonare il regno di Pergamo all'Impero romano). Ho provato il loro prodotto di punta, un rosso fatto con uve nere di Avola che chiamano Symposio(*) che più che un vino m'è parso un vinello (**). Ci ha guidati nella visita, illustrandoci il ciclo di produzione e dei bianchi e dei rossi l'enologo della cantina. Che a me in forza della mia tenace passione per le teorie di Lombroso (anche se mi corre l'obbligo di rappresentarvi che non una sola parola che fosse in qualcun modo censurabile gli è mai uscita di bocca) è parso essere un lestofante nel senso più preciso del termine. Non me ne voglia chi può giudicare meglio di me e non crede che l'abito faccia il monaco, ma a me il suo losco sembiante e la levantina destrezza con la quale ci imboniva hanno prepotentemente richiamato alla memoria il cinese che nel “Cacciatore” di Michael Cimino nella Saigon in fiamme teneva il banco dell'ultima roulette.

Ma sia come sia, non è questa la cosa di maggiore importanza. Quanto quella che anche questa mattina mi è stato dato modo di constatare quanto sia piccolo il mondo. E’ successo che ho avuto il piacere di scoprire che la relatrice di gastronomia, la relatrice di scienza dell'alimentazione e la relatrice di galateo sono sposate a tre miei amici.

 

(*) Nell'incontro successivo l'ingegnere ci dirà che migliore del Symposio è il Rosso di noce che a chi lo prendeva glielo davano a 15 euro la bottiglia; il nostro insigne degustatore non ha trovato il prezzo eccessivo, perché - così ci ha detto - oggi come oggi se una bottiglia costa meno di 10 euro non può essere vero vino.

Sentendogli dire questo mi è prepotentemente venuta in mente la battuta di Claudio Bisio quando a proposito di reggiseni dice che “Sotto la quarta misura non può essere vero amore!”.

 

(**) chiarisco che per vinello io intendo un vino poco strutturato.

 

 

 

Martedì 25 febbraio 2003, decima lezione: terza di enologia.

 

Non c'è lezione che se spiegata bene possa non appassionare chi l'ascolta, così come non c'è materia - come pendendo come tutti dalle labbra dell'ingegnere Bonsague stasera mestamente consideravo - che possa apprendersi senza una dura e durevole fatica di studio. Il nostro appassionato direttore sulla viticultura, nelle avare due ore nelle quali ha potuto trattenerci (se avesse potuto ci avrebbe tenuti fino a tarda notte, e, se avessimo potuto risolvere convenientemente il problema della cena, magari oltre) ci ha versato addosso una cumulo di nozioni, informazioni e spiegazioni che scivolando come acqua sul marmo della mia ignoranza (in vita mia purtroppo mai ho guardato una foglia da vicino) mi ha lasciato il vivo rammarico di non saperne di più. Anche se questo vale per tutte le cose che non si conoscono, mi è venuto di ammirarlo ancora di più quest'uomo così debordante e passionale che nella vita civile compie ben altro lavoro e che il poco Tempo che gli rimane impetuosamente lo riversa sull'enologia (iniziò ad occuparsene per diletto nel lontano 1973, lo stesso anno nel quale io iniziai a occuparmi del mio, e mi piace pensare che anche lui come me lo abbia fatto con le prime entrate), dove è diventato uno dei più ascoltati punti di riferimento.

I notevoli appunti che ho preso ve li risparmio, miei buoni lettori. Ne ho che ho riempito tre pagine di taccuino; se volete sapere della Vitis vinifera sativa, dell'Euvitis e della Vitis muscardinia, della Marza, della Barbatella e dell'Ampelografia scrivetemi ed io ve li manderò. Tenete però conto che quel che vi direi non vi darebbe l'impeto, la passione, il brio, la fantasia di cui è capace l'ingegnere Bonsague, né i litri di sudore che egli ha versato. 

 

 

 

Venerdì 28 febbraio 2003, undicesima lezione: terza di gastronomia.

 

la signora Silvana Natale è una donna straordinaria, oltre che ottima cuoca. Io sono ammirato di queste quattro ossa di donna che col più lieto dei sorrisi, celermente facendo, gentilmente spiegando, fa dello stare in cucina una condizione quasi subliminale, dilettando della sua provvidenza non solo i destinatari (il che è mestiere dei cuochi), ma anche se stessa (il prodigio sta qui, perché la corvée se non stanca di sicuro spoetizza). Nel far cucina c'è chi ci mette cervello (pochi in verità) e c'è chi il cuore (non moltissimi). La signora Silvana ce li mette tutti e due, arricchendoli con il migliore dei condimenti: la fantasia, la benedetta fantasia! (così fa pure la mia diletta figliola lontana, la quale ci mette pure il fegato, nel senso che è una grande sperimentatrice di cose nuove). Stasera, trattando delle ricette con carni, la professoressa Natale ci ha parlato delle scaloppine, degli involtini e dell'arte alquanto mascolina di disossare il pollo (complicata faccenda che l'abbiamo vista liquidare in appena dieci minuti).

A vostra richiesta vi invierò in dettaglio - lettori miei affezionatissimi che non mi avete perdonato il “salto” di martedì scorso - le ricette delle scaloppine e degli involtini, mentre fin da ora vi dico che nulla posso fare per lo svuotamento del pollo giacché non toccherei un pollo nemmeno se indossassi i guantoni da pugile.

Però il di più e il meglio dovrete mettercelo voi, cari miei lettori, ed io so che ne avete la capacità. Perché di per sé la ricetta è come lo spartito sul leggio del musicante, solo segni su carta (cacche di mosca sul pentagramma diceva Mozart), e sta all'esecutore darvi senso e forza, calore e colore.

Seguitemi che cercherò di spiegarmi parlandovi degli involtini.

Fatevi dare dal vostro macellaio una larga fetta di fesa tagliata sottile; abbiate l'accortezza - ci ha suggerito la professoressa - di batterla finemente, al fine di snervarla, con l'apposito martelletto dentato; ricavatene tante sezioni di 8 cm. per 11 quante sono le porzioni che vorrete preparare. Ungetene un solo lato con dell'olio extravergine d'oliva e intingete riccamente quel lato, come se fosse una cotoletta, in del pangrattato precedentemente condito con sale, peperoncino, prezzemolo e parmigiano. Distendetela sul piano di lavoro e sulla parte interna, quella asciutta, deponete, lunga per tutta la sua lunghezza, una fetta di speck (ma c'è chi ci mette il prosciutto crudo, chi il cotto, chi delle strisce di mozzarella; addirittura uno dei corsisti ci diceva che ci mette una fettina di melanzana fritta). Aggiungete un po' di prezzemolo, un po' di sale (un po' di più, se ci avete messo la mozzarella, un po' di meno o niente se avete scelto il prosciutto o lo speck), al centro ponete un dito di mozzarella, arrotolate e chiudete (non c'è bisogno di legare; il pangrattato fa da adesivo, come succede con le chiusure velcro).

Per tutto il Tempo della lezione le gustosissime chiose verbali dell'ingegnere Bonsangue (ai lati della bocca del quale visibili colavano dei rivoli d'acquolina) hanno fatto da costante contrappunto alle parole della professoressa Natale. L'ingegnere ci confessato di utilizzare sia la mozzarella che lo speck non sapendosi risolvere su quale dei due preferire, e nel mezzo o un bel cetriolino o un tocco di provola affumicata. - "Vincenzo ci va giù pesante con i sapori" - non ha potuto frenarsi dal dire la brava donna, essendo che Vincenzo con la sua ingordigia le guastava le misure.

Le variazioni del nostro bulimico direttore attengono ad una sorta di kamasutra gastronomico non misurabile col metro della professoressa Natale la quale fa dell'equilibrio tra i sapori la sua regola e della continenza la sua misura (ma mangiar poco non vuol dire mangiar male, ella sostiene).

Sistemate in una teglia gli involtini e tra un involtino e l'altro interponete una foglia di alloro o della salvia fresca ("professoressa, si mangiano pure quelle?"). Cuocete al grill (invece quasi tutti cuociono al forno) a 200 gradi fino a che la carne non apparirà ben rosolata, rigirate gli involtini e completate la rosolatura. Annaffiate con un po' di vino bianco, fate evaporare e serviteli ben caldi. Contorni consigliati: piselli e speck, piselli e carote, purè di patate. Oppure insalata verde se siete convalescenti).

Alla fine come di consueto sia le scaloppine che l'involtino ci sono stati apparecchiati. La scaloppina, che lussureggiava di peperoni verdi, gialli e rossi, di ambrata cipollina tritata nell'olio d'oliva, di petali di roseo prosciutto e di ciuffi di prezzemolo, era soave. Ma l'ho gustata stando - parlo per me che per le carni non stravedo - tra terra e cielo. Chi invece m'ha portato al settimo cielo (quali forme di sublime orgasmo procura talvolta la cucina!) sono stati gli involtini (anzi l'involtino, ché solo uno a testa purtroppo ce ne hanno dato - e per giunta a me ne è capitato uno assai piccolo) che, avendo soggezione della mia raffinatissima vicina di banco ché moglie di notaio è…!, ho voluto ridurre con la forchetta e il coltello prima di portarlo alla bocca e senza quasi masticarlo ingoiarlo. Quasi tostato, morbido e croccante nello stesso Tempo, conTemporaneamente dolce e salato, era un boccone che avrebbe potuto far resuscitare un morto o far morire un vivo.

Mia sorella Marilidia - che nel campo della buona cucina si muove come Agramante nel campo dei cristiani - m'ha raccontato che dei siffatti croccantini era molto goloso mio nonno Pietro, nei primi anni del secolo scorso.   

Puntuale l'ingegnere Bonsague, cui fa buon sangue non solo il buon vino ma anche ogni tipo di intingolo e leccornia, ha onorato i manufatti della professoressa Natale (e il suo stesso palato) con un “primitivo” (così si chiama) di Puglia, un rosso del 2000 assai franco, decisamente molto equilibrato e poco tannico. Quel che ci voleva sulla scaloppina e su quel delizioso involtino.

Ci è stata data anche la settima delle dodici dispense che ci spettano. Essa contiene alcune ricette che fanno andare d'accordo il pesce e il formaggio giacché molti sostengono (ed io con loro, ma sicuramente per carenza d'informazione che per esperienza) che essi non son fatti per stare insieme. Le ricette son queste; chi ne volesse mi scriva che glie le mando:

         

Rotolini di trota salmonata;

Involtini di melanzane con pescatrice e vellutata di cozze;

Ravioli di mare;

Cannelloni di crostacei;

Riso gratinato agli scampi;

Filetti di passera dorati.

diciamo poche, ma buone.

 

A fine lezione una delle corsiste, la signora Burgio, ha fatto passare tra i banchi una sontuosa guantiera di chiacchiere che aveva preparato con le sue mani. Erano buonissime perché ancorché discente la signora ha alle spalle ragguardevolissime esperienze di dolciera. Lo dico perché ci ha fatto vedere le foto di una specie di torta-monumento che aveva preparato per la festa del secondo compleanno della nipotina. Ci lavorò sette giorni filati come il padreterno creatore, la povera donna, superando quel gran modello per bellezza e per bontà di risultato. Servendosi d'una qualche diecina di chili di ricotta e d'altrettanti di farina, di un centinaio di uova, di non so quanto zucchero, di miele, di amido, di pasta di mandorle e di pistacchi, di fragola e di cannella, di zenzero, di mostarda, di cacao e di cioccolato, di panna, di glassa e di meringhe (la signora ci ha giurato che solo il becco della cicogna e sul tetto l'antenna del televisore non erano commestibili) è riuscita ad edificare una sorta di fattoria degli animali piena d'ogni specie, ricca di tutti i particolari e così grande che la famosa casetta di Hans e Gretel al confronto poteva farle da cuccia per il cane.

Sbalorditi in coro le abbiamo detto che non poteva esser vero, che si trattava certamente di uno spudorato fotomontaggio, perfidamente ripetendole che se davvero voleva che ci credessimo che ne rifacesse un'altra identica e ce la portasse. La povera donna per poco non si metteva a piangere.    

Martedì sarà la volta di herr Micciché, il maestro pasticciere. Oh santi numi, è già Quaresima?!

Voletemi bene amici, e quando cucinate pensate alla fame nel mondo (cioè a me e all'ingegnere Bonsangue).

 

 

 

Martedì 4 marzo 2003, dodicesima lezione: terza di pasticceria.

 

Almeno per me che non so mischiare il caffè con lo zucchero, imparare a fare i dolci seguendo la teoria è come se si pretendesse di fare il chirurgo senza avere mai fatto un'autopsia. Scusate il macabro accostamento ma volevo solo dire che stasera ho fatto una fatica bestiale a seguire il filo della lezione, e più volte l'ho perduto. Vuoi perché herr Micciché si esprime con asciutta parsimonia e le parole a volte bisogna strappargliele con la tenaglia, vuoi perché nel mentre che parla di una cosa le continue domande della platea lo fanno sconfinare su tutte le possibili varianti e così spesso andavo a confondermi, e vuoi perché ci sono, nella cucina e specialmente nella pasticceria, tanti e tanti di quegli accorgimenti, espedienti, trucchi e opzioni che solo provando e riprovando ci si può familiarizzare.

Oggi si argomentava della così detta crema pasticciera, crema base per molti usi e specialmente per i bignè.

Vediamo se riesco a ricavare dagli appunti un qualcosa di logico, le volte che non saprò essere chiaro aggiustatevi voi.

Ecco le istruzioni per fare un litro di crema pasticciera: prendete un litro di latte intero e 350 grammi di zucchero e metteteli a bollire dentro a una pentola, mentre in una terrina a parte mettete 150 grammi di amido di mais. Quando il latte è appena tiepido prendetene 200 grammi (all'incirca un mestolo) e versatelo dentro la terrina, ne ricaverete una pasta malmostosa. Aggiungetevi tre tuorli d'uovo e la buccia di mezzo limone (non ne sono sicurissimo, ma mi pare di avere capito che la buccia di limone si metta in questo momento). Quando il latte con lo zucchero bolle buttategli dentro l'impasto che avete messo dentro la terrina, nonché 25 grammi di sale, che equivale ad un cucchiaino da tè. State attenti che se l'impasto della terrina è freddo la crema poi farà i grumi. Rimettete il tutto sul fuoco (fuoco lento) e mescolate a lungo, metodicamente. Se viene troppo denso ammorbidite aggiungendo - ci ha detto il maestro - latte e zucchero oppure acqua e zucchero (latte e zucchero se la crema la fate per voi, acqua e zucchero se la fate per venderla, ma questa è una mia deduzione giacché il sor Micciché si è guardato dallo specificarlo). Il sor maestro si è dimenticato anche di dirci cosa si fa quando invece viene troppo molle, né io posso sostituirmi a lui. Se volete, potrete aromatizzare la crema aggiungendovi delle paste deacidificate (in commercio ne esistono di diversi gusti) oppure il cacao amaro se vorrete darle il gusto del cioccolato. Quando la crema è della densità giusta scendetela dal fuoco e mettetela a raffreddare naturalmente (non nel frigo). Le variazioni cui avevo accennato riguardano la crema bavarese e la crema Chantilly. Per quest'ultima non so dirvi di più del fatto che vi si aggiunge un altrettanto di panna; invece per fare la crema bavarese, che se ho capito bene è il comune semifreddo che vendono le gelaterie, occorrono un litro di panna montata, 250 grammi della crema che abbiamo preparato e tre lastre di colla di pesce. Componete il tutto sopra una base di pan di Spagna, infilate il prodotto finito nel congelatore e uscitelo quando sarà duro lo guarnirete, lo taglierete e lo servirete, se volete glassarlo utilizzate il cioccolato bianco ma non chiedetemi come si fa. Per fare la pasta dei bignè gli Ingredienti sono i seguenti: 1 lt. d'acqua, 500 grammi di strutto, 800 grammi di farina 00, 25 uova (28 se piccoli). nella lavorazione vi regolerete più meno come con gli sfinci (la ricetta degli sfinci ve l'ho data). Badate che il forno deve avere uno spiraglio d'aria quindi non chiudetelo del tutto, oppure compratevi il forno ventilato come ha fatto la professoressa Natale che ne è entusiasta.

Non oso pensare, amici, a cosa vi ritroverete in mano se avrete seguito pedissequamente le mie ricette. Vi assicuro però che i bignè del maestro erano buoni.

Quelli farciti con la ricotta erano più insuperabili di Michael Schumacher e del famoso tonno. Noi a tavola siamo soldati che, come suol dirsi, non fanno prigionieri, eppure di quelli farciti con la crema pasticciera, col bianco mangiare e col cioccolato sul desco ne sono restati così tanti che alla fine ce li hanno dati per portarceli a casa, mentre quelli con la ricotta son durati lo spazio d'un sospiro.

Il nostro coppiere ha accompagnato il dessert da par suo, scegliendo un vino raro, ovviamente dolce (“col dolce ci va sempre il dolce”, ricordatevi il suo iniziale ammonimento), pur se rosso. Si trattava dell'Aleatico del Salento, delle pregiate cantine di Leone de Castris, un gradevole vino che l'ingegnere ci ha descritto con un trasporto di cuore e di accenti che pareva che ci stesse spiegando uno dei grandi idilli del Leopardi.

A proposito di vini c'è un corsista che fra tutti è l'unico che possa non dico tenere testa all'ingegnere Bonsangue ma sostenerne onorevolmente una conversazione. Si tratta del signor Milazzo che non so se di professione faccia l'oste o il bon vivant. Avanti che iniziasse la lezione, nella lenta attesa che l'aula si riempisse, ci ha spiegato alcune cose che sconoscevo del tutto. Ve ne riporto le più curiose.

Le parole alcol o distillato non sono affatto sinonimi, in quanto sono alcoli i liquori (quali per esempio il Fernet Branca, l'Amaro Averna, la Sambuca Molinari e il Cynar), i quali si ottengono congiungendo mediante ebollizione alcol, zucchero e infusi vari. Sono invece dei distillati il vino, la birra, la grappa, il cognac, il brandy e il whisky che derivano dalla distillazione (separazione) di sostanze volatili e non. Così come non sono affatto sinonimi whisky e whiskey (ci avevate mai pensato?). Il whisky è quello autentico scozzese (il così detto scotch) mentre il whiskey è il suo parente americano (che più correttamente chiameremo bourbon). Né lo sono il Porto e il vino di Porto (che spesso andiamo a confonderli chiamandoli entrambi Porto), i quali stanno l'uno all'altro come un pari d'Inghilterra sta ad un minatore del Galles. Il primo, il Porto che tutti intendiamo e che da almeno tre secoli corrobora le cinque giornaliere peristalsi dei ricchi inglesi e ancora ne onora le mense, non è altro, all'incirca, che il nostro Marsala, quel benedetto liquore che i Florio da buoni baroni siciliani ricchi d'albagia e poveri di senso commerciale si fecero bellamente sfilare di tasca dai mercanti inglesi, rimettendoci onore e ricchezze. L'altro, il vino di Porto è un vinaccio di risulta che suscita le omeriche sbronze dei derelitti figli della underclass albionica, quella dei marinai, dei bricconi e dei minatori. Esso è figlio del caso e della intraprendenza inglese giacché per non buttare in mare le eccedenze di vino che la lunghezza dei viaggi quasi sempre guastava, una volta qualcuno lo raccolse, lo concentrò, ci aggiunse dell'acqua e non so cos'altro e ne cavò un vinaccio che taglia sì le budella ma che con lo stufato di montone cala a meraviglia. E ancora ancora lo sapevate che non ubriaca tanto la gradazione alcolica di un vino o d'un liquore quanto la sua “persistenza”? Così che, per farvi un esempio, essendo la persistenza alcolica della birra assai maggiore di quella del vino (anche se di gran lunga inferiore è la sua alcolicità) succede che chi si ubriaca di birra può rimanere ciucco anche per una settimana intera, mentre chi si ubriaca col vino al massimo l'indomani gli passa. Lo sapevate che le patate contengono alcol? Non ci credete? Provate ad abbuffarvi di patatine fritte e di birra e vedrete che senza accorgervene vi ubriacherete come delle scimmie. In Ucraina la vodka la distillano dalle patate (i russi dal mosto fermentato di orzo e segale, i polacchi dal mosto di grano) ed è una mistura così micidiale che nemmeno Boris Eltsin la regge.

Di frequente, a inizio di lezione, a scopo didattico l'ingegnere Bonsangue ci proietta dei filmati(*); stasera ce ne ha proiettati due: il primo trattava del famoso Brunello di Montalcino un vino d'élite che una bottiglia di 750 cc., che fosse anche della vendemmia corrente non lo si trova mai a meno di 40 mila lire, mentre il secondo trattava dei famosi spumanti - famosi e pretenziosi a me pare - di Franciacorta della cui pubblicità molte pagine di molti giornali ogni giorno sono pieni. Il Brunello di Montalcino vino docg che ci onora nel mondo, cominciò ad acquistare notorietà negli anni sessanta per merito del presidente della repubblica Giuseppe Saragat (quello che la volta che nell'immediato dopoguerra venne nel mio paese a far propaganda al suo partito, durante il pranzo d'onore fece fuori qualcosa come quaranta polpette) che lo amò così tanto (per noblesse oblige passatemi l'eufemismo) che lo raccomandò perfino alla regina d'Inghilterra. Circa i vini brut, dai chiarimenti che il fecondo e facondo ingegnere Bonsangue ci dava seguendo il documentario sugli spumanti della Franciacorta, ho imparato che cuvée vuol dire miscela di vini, che millesimato vuol dire che questi vini sono tutti dello stesso anno, che la sboccatura (sono tutti termini che si usano per gli spumanti) è quella fase nella quale si 'corregge' il vino originario aggiungendovene dell'altro per aggiustarlo. La sboccatura, checché ne dica quel sapientone di mio cugino l'architetto, è la fase che precede la tappatura definitiva (quella col classico tappo di sughero), fase che in linea di massima precede di un paio d'anni il Tempo della commercializzazione.

Basta, ho scritto un trattato. Partendo dai bignè mi sono tenuto ai vini; sta cominciando davvero a piacermi l'enologia.  

A venerdì, amici.

 

 

 

Venerdì 7 marzo 2003, tredicesima lezione: seconda di galateo a tavola.

 

Avendo annusato di qual pasta è, e di quale buon sangue anche lui, mi sono intrattenuto a chiacchierare un po', prima che la lezione s'avviasse con il signor Milazzo. E’ costui una persona fuori dell'ordinario, come ce ne sono pochi nell'universo mondo e molti in questo strano microcosmo uscito dalla testa dell'ingegnere Bonsangue come la fulgente Athena da quella di padre Zeus.

L'ingegnere Enrico Milazzo, gaudente di scorza dura e di lucido e ben stagionato pelo, pervicace gastronomo, impresario di successo (è proprietario di un supermercato e veniva alle lezioni montando una BMW della serie 5). enologo insigne, cittadino onorario di Reims e cugino del conte di Polignac, impresario di diverse imprese e gemmologo di chiara fama (che è quello che nel capitolo precedente con poco fiuto avevo definito o oste o bon vivant), mi ha abbacinato con la brillantezza delle idee e la torrenzialità dell'eloquio, e da qualunque parte lo toccavo suonava. L'ho interrogato ancora sui migliori vini, e poi, a lungo, sui brillanti e le pietre preziose, campo nel quale vanta una sapienza non comune. Ho sottoposto al vaglio della competenza di mia moglie le molte cose che mi ha detto e mia moglie, forse a denti stretti, ne ha riconosciuto la coincidenza (per esempio, lo sapevate che i migliori coralli son quelli di Trapani? Lo sapevate che un rubino, e in specie se del colore detto sangue di piccione, a parità di caratura vale più che un diamante?).

Era la sera della tanto attesa lezione del “Come si sta a tavola” della efebica dottoressa Oliveri, deliziosa istitutrice com'erano deliziose le istitutrici svizzere - incorruttibili, eleganti, d'alto collo e d'alta scuola - che nel secolo XIX le migliori famiglie inglesi si contendevano per l'educazione dei loro rampolli.

Orbene, quel che l'è uscito dalla gentile bocca tutto l'ho annotato, e ora, miei cari lettori, dovrei esporvelo, a beneficio della vostra edificazione comportamentale e culturale. Ho puntigliosamente trascritto tutto, faticando, al fine di niente trascurare e niente tralasciare, mentre altri a scrivere meno di me destri si limitavano ad ascoltare prendendo ogni tanto qualche fugace appunto. Se non che alla fine uno di costoro che s'era accorto che la dottoressa Oliveri nel condurre la relazione seguiva delle tracce s'è levato a chiederle stentoreamente copia di quella che ha chiamato la tesina. La perentorietà della richiesta ha colpito negativamente la modiglianesca signora che non ha saputo celare un gesto di disappunto. Io ben la comprendo e con lei col cuore e con l'anima mi schiero giacché quel che ha provato lei è quel che provo io quando qualcuno vorrebbe impossessarsi della mia monumentale raccolta di aforismi: sono più di mille e sono quasi trent'anni e una pazienza certosina per raccoglierli. Per cui mi pare un pretesa ingiusta il volersene impadronire saltando d'un salto solo la passione, la fatica, il metodo e il Tempo che uno ci ha messo per costruirseli. Il pretenzioso richiedente avrebbe dovuto sforzarsi di ripianare le sue carenze galateali scrivendosi quanto la dottoressa Oliveri andava dicendo e andava scrivendo alla lavagna, così come abbiamo fatto io e qualcun altro. Se non che l'ingegnere Bonsangue che tutto vede e a tutto provvede ha ritenuto ammissibile la richiesta dell'incolto campestre e se ne è fatto benevolo mallevadore. A breve i preziosi appunti della gentile signora Oliveri verranno fotocopiati e - permettetemi il termine - dispersi al vento, cioè brutalmente volgarizzati, cioè ancora distribuiti al popolo bue.

Per cui amici cari io quest'oggi nulla vi riporterò dei precetti della flessibile e flessuosa dottoressa Michela che credo che neanche a quattr'occhi saprà opporsi all'intenzione divulgativa del direttore del corso e alle sue ruffiane prepotenze. Vi addottrinerò sull'arte dello stare a tavola in un pranzo di lusso non appena anche a me verrà data, come all'inopportuno questuante, una di quelle fatidiche fotocopie, dato che la lezione è stata interessante quanto altre mai (e nella prossima ci spiegherà come si sta a tavola in un ristorante).

Alla fine della lezione l'ingegnere Bonsangue ci ha proiettato il quasi fatidico documentario, che stavolta riguardava il famoso prosciutto di san Daniele del Friuli. Ancora più costoso di quello di Parma (lo si vende a 56 mila lire, noto che nemmeno l'ingegnere riesce ad abituarsi all'euro) che ci era stato fatto conoscere e gustare un paio di settimane fa. E’ di quello di Parma più sapido ed aromatico e lo si distingue dal concorrente per la forma schiacciata anziché rotondeggiante e per il fatto che, almeno negli esemplari più costosi, in punta gli lasciano lo zoccoletto. Come di consueto alla rappresentazione è seguita la degustazione mediante una sua bella fetta avvolta in un grasso e grosso grissino.  

Stavolta al vino d'accompagno ha provveduto la gentilissima dottoressa Chiara Angilella moglie di notaio e mia forbitissima compagna di banco. Vino che il nostro insigne sommelier, probabilmente inebriato più delle grazie della bella donatrice che dei pregi intrinseci del liquore, ha tout court definito 'Perfetto'. Per Bacco! Mi vien di esclamare (ed è proprio il caso che scomodi il gran Dio dei vini). Il nostro impagabile ingegnere è un così raffinato viveur che sa trovare sempre in tutte le situazioni l'espressione più acconcia. Si trattava di un rosé del 2000 limpido quanto bastava e di una gentilezza, sapidità e brillantezza che quasi pareggiavano, senza tuttavia superarle, quelle della preclara dottoressa Chiara.

Infine l'ingegnere ci ha illustrato il programma - in vero sontuoso - per il gran galà dell'11 aprile. C'è un vecchio detto che vuole che gli assenti abbiano sempre torto, e mai come questa volta sarà così. Il dramma è che toccherà proprio a me confermarlo. Piangete con me amici. 

 

 

 

Martedì 11 marzo 2003, quattordicesima lezione: quarta di enologia.

 

Prima che partecipassi a questo corso, io del vino sapevo solo, per dirla con una vecchia battuta, che lo si fa anche con l'uva. Diseducato a conoscerlo a causa del deleterio pregiudizio piccolo borghese che i galantuomini il vino se lo comprano già fatto, incapace a superarlo per la circostanza di non avere mai messo piede su un fondo rustico, ne sapevo, su questo fondamentale compagno del nostro desinare, quanto un topo di città può saperne dei profumi dei formaggi di campagna. Tuttavia stasera, in virtù delle appassionate spiegazioni dell'ingegnere Bonsangue che con la chiarezza espositiva e la capacità persuasiva di cui è dotato sarebbe capace di dare colore e calore anche alla Gazzetta Ufficiale io mi cimenterò, miei fedeli amici a spiegarvi, facendo finta che sull'argomento voi siate ignoranti come lo ero io fino a poche settimane fa, come si fa a far diventare l'uva vino. Vi spiegherò cioè, a usare le parole dell'ingegnere Bonsangue, il processo di vinificazione.

Vi spiegherò quel che dovrà fare chi voglia farsi da sé un comune rosso da tavola che gli basti per i dodici o i quattordici mesi dell'anno, senza aiuti e né sofisticherie. Vi prego di seguirmi tenendo conto che scrivo a braccio, col solo aiuto di qualche frettoloso appunto.

Il vino nasce dal vitigno o dai vitigni che abbiamo piantato, in uno con l'azione che il terreno, gli agenti atmosferici e i microrganismi avranno svolto sulla pianta. Ma al di là di questo, se sapremo indovinare il giusto Tempo della vendemmia, se tratteremo il mosto in un modo piuttosto che in un altro, se gli daremo una temperatura anziché un'altra, se lo faremo decantare in un recipiente anziché in un altro e lo conserveremo in un certo tipo di botte anziché in un'altra, se avremo saputo farlo fermentare giustamente e convenientemente, noi potremo fare del nostro vino un prodotto del tutto diverso da quello di un nostro ipotetico vicino che abbia una vigna esattamente uguale alla nostra ma che per vinificare abbia seguito altri metodi.

Che il nostro sia un mestiere o un hobby non si può mai prescindere dall'esperienza e l'esperienza la si guadagna provando e riprovando.

Immaginiamoci dunque di trovarci tra l'ultima settimana di settembre e la prima di ottobre e che io mi sto aggirandomi tra i filari della mia immaginaria vigna dalle cui spalliere pendono sani, maturi e concentrati quei grappoli di uva nera dai quali intendo ricavare, ad esclusivo beneficio mio e dei miei amici più stretti, il vino di un anno.

La prima cosa che un vignaiolo che si rispetti deve saper capire è quando il processo di maturazione delle uve sia al colmo e se sia venuto il Tempo di spiccare i grappoli dalla vite. E’ chiaro che se avanzo nel Tempo la mia uva, per l'effetto della maggiore esposizione ai raggi del sole, si arricchirà ancora di più di sostanze zuccherine guadagnandoci in forza, gusto e pregnanza, però è evidente che se la tiro troppo per le lunghe gli acini mi appassiranno tra le foglie perché l'acino oltre un certo Tempo non può maturare.

Esistono dei sistemi empirici per capire quando l'uva sia matura al massimo ma si può preferire benissimo, in specie per le vinificazioni in bianco, di vendemmiare prima che questo Tempo arrivi.

Al colmo della maturazione seguono quattro giorni di una sorta di stasi durante la quale i processi fermentativi si fermano e quelli decompositivi ancora non iniziano. In questi quattro giorni, salvo che uno non voglia farsi dei vini particolari come il passito o il moscato dolce per i quali si raccomandano acini più maturi, si deve assolutamente vendemmiare, cioè spiccare l'uva dalle viti per portarla al molitore.

a questo punto, separatili dai graspi (non sempre e non tutti lo fanno, per i rossi però è buona cosa farlo) porto gli acini (cioè i chicchi dell'uva; io fino all'altro giorno ero convinto che gli acini fossero i vinaccioli) dal molitore, ponendoli in delle gerle che gli assicurino sufficienza d'aria.

Dalla pigiatura degli acini e dalla compressione della polpa che ne è derivata discende il mosto. e sempre per dire quale era la mia ignoranza in materia, io credevo che dalle uve bianche derivassero i vini bianchi e da quelle nere i rossi (mai però ho creduto, lo giuro, che i rosati si facessero mischiando gli uni e gli altri). Dico questo perché è questo il momento nel quale si decide se dei nostri bei acini pigiati e tradotti in mosto dobbiamo farci un vino bianco o un rosso (o anche un rosato).

Siccome avevamo deciso di volere un rosso (perché il nostro vitigno si raccomanda in questo senso, perché a questo scopo abbiamo ritardato al massimo la vendemmia e prima della molitura abbiamo separato gli acini dai raspi) ricongiungiamo la feccia con la parte liquida perché le fecce (ossia le bucce) ricche come sono di antociani e di tannini conferiranno al vino il suo caratteristico colore rosso.

Quindi il mosto (l'uva ammostata, a volerla dire tecnicamente) va posto dentro a dei tini (recipienti, che possono essere di legno o anche di resina, di eternit o di ce-amt, purché siano ampiamente aperti in cima; noi per le nostre piccole quantità ci avvarremo di vecchie mezze botti rovesciate). L'uso di recipienti bene aperti si raccomanda perché il processo fermentativo (che per l'effetto dei numerosi lieviti presenti nelle bucce è a tutti gli effetti un processo di combustione) ha bisogno di scambiare costantemente l'anidride carbonica con l'ossigeno.

Nel corso dei quattro o cinque (o anche sei) giorni di un ribollire che in presenza di rossi corposi e ricchi di zuccheri sarà ancora più tumultuoso, verrà a formarsi sopra il mosto, come a farvi da cappello, un denso strato di vinacce galleggianti ricco di batteri acetici che dovremo guardarci bene dal raccogliere e buttare, a meno che non desideriamo un vino anemico e denutrito. Tra poco vi dirò quel che dovremo farne, di queste vinacce. Prima voglio raccomandarvi d'attrezzarvi d'un rifrattometro o di un più economico mostifero che sono strumenti con i quali potremo misurare il grado di zucchero presente nel mosto al fine di farci un'idea di quello che sarà il grado alcolico del vino. Il rapporto è di 1 a 0,60 il che vuol dire che se il grado zuccherino del mosto è di 20 gradi il vino che ne verrà sarà di 12 gradi. Se ci pare poco e vogliamo innalzarlo aggiungiamoci quanto possa bastare di mosto concentrato rettificato con zuccheri d'uva (mai saccarosio, non siamo trapanesi). Se invece vorremo abbassarlo vi butteremo dentro del mosto poco concentrato o al peggio dell'acqua. Vi raccomanderei di non abusare con gli zuccheri perché una eccessiva presenza di zuccheri va a discapito degli acidi, perché zuccheri ed acidi sono antagonisti per cui quando aumentano gli uni diminuiscono gli altri. Bere un vino troppo acido non è un bel bere ma un po' di acidità dovremo salvaguardarla se vorremo conservare nel gusto del vino quel caratteristico senso di freschezza e di sapidità che gli acidi tartarico, citrico e malico sanno dare.

Tornando alle vinacce galleggianti di cui vi dicevo, a quella feccia densa di batteri acetici e di innumerevoli componenti utili al gusto e alla salute (tannini, flavenoli, leucocentociani, glicerina, terpeni, enzimi, vitamine di diversa specie, sali minerali, innumerevoli sostanze odorose e coloranti) torno a raccomandarvi di non buttarle. piuttosto frollatele con un bastone stellato e riaffogandole rimettetele in circolo.

Quando il ribollire sarà del tutto spento si porrà mano al processo di svinatura che consiste nel separare, questa volta sì, la parte solida del mosto (le vinacce, distillando alchemicamente le quali gli alpigiani ottengono la grappa) dalla parte liquida (lo sgrondo, il mostofiore). Ci sono dei vinificatori che al fine di arricchire ancora di più lo sgrondo gli aggiungono l'umore che gli deriva da un'altra pressatina a queste vinacce, ma noi non siamo di questi, o per meglio dire non ne abbiamo ancora sperimentato gli effetti. Buttiamole quindi le vinacce e teniamoci il nostro bel mostofiore giacché, come dice la canzone, ogni mostofiore è segno d'amore.

Adesso, finalmente, facendogli prendere meno aria che sia possibile, lo andremo a versare nella nostra brava botte (una di 225 litri, il classico barrique; per tutto un anno ci basterà appena, ma è quella cui siamo affezionati) che dopo la colmatura avremo la premura di chiudere con uno di quei tappi colmativi che evitano il ristagno dell'aria. La botte dovrà essere colma fino all'orlo perché l'osmosi ossigenativa necessaria a favorire, nel suo chiuso, il processo fermentativo secondario lo favoriranno i pori del legno (giacché il legno respira), e alcuni tipi di fasciature come quelle di rovere francese (della regione del bordolese, poi secondariamente il rovere sloveno) si prestano particolarmente a questo scopo, a parte il fatto che il buon legno trasferisce al vino anche i suoi particolari profumi. In questa sede, sia per il fatto che i lieviti zuccherini e l'ossigenazione sono molto diminuiti, la fermentazione ogni ora s'ingentilirà e lo sgrondo s'avvierà a diventare vino.

Le ulteriori sostanze torbide precipiteranno sul fondo della botte arrivando a formarvi uno strato più o meno denso di feccia.

Per la festa di san Martino potremo finalmente spillare dalla botte il primo bicchiere e finalmente assaggiare il nostro vino. Per via dei non ancora conchiusi processi fermentativi esso sarà ancora un po' frizzante, poco corposo e non perfettamente limpido. Asciughiamoci la bocca e accontentiamoci, niente è compromesso, né ancora abbiamo ancora finito.

Verso gennaio o febbraio dovremo effettuare dei travasi, cioè dovremo più di una volta trasferire il vino in dei recipienti provvisori onde potere lavare la botte e liberarla della feccia di fondo, così che quando con i primi caldi di primavera spontaneamente s'avvierà la seconda fermentazione essi non verranno rimessi in circolo. Nel corso di questi travasi eviteremo, adoperando degli idonei tubi flessibili, che il vino entri in contatto con l'aria e si ossigeni, e cureremo che la cantina sia ventilata e fredda tra i 15 e i 30 gradi c°. Una antica consuetudine vuole che questa operazione si compia in una notte di tramontana e luna piena. Non mi pare il caso, però evitate che ci sia troppo caldo giacché con più di 35 °c vi si cambia in aceto.

Lavato e sciacquato con l'acqua fredda che avrete la botte, vi riverserete il vino, chiuderete il coperchio e ogni altra luce e aspetterete che si compia quella che i tecnici e l'ingegnere Bonsangue per il fatto che essa avviene per effetto dell'acido lattico, hanno chiamato questa fermentazione primaverile “fermentazione manolattica” perché l'acido malico si è trasformato in acido lattico, la quale susciterà dell'altra anidride carbonica.

Si tratta però di una anidride carbonica buona perché restando in circolo dentro la botte andrà a conferire al nostro vino la necessaria morbidezza e rotondità. Ma il vino seppur più lentamente seguiterà a fermentare e le sue sostanze organiche seppur periodi più distanti a precipitare, per cui travaseremo ancora, e se sarà necessario di nuovo.

Questo travasare e ritravasare si chiama processo di affinamento e si chiude in genere in estate o alla fine dell'estate, quando il vino finalmente sarà perfettamente e stabilmente limpido e noi dobbiamo accingerci alla nuova vendemmia.

Se a questo punto qualcuno dovesse ritenere che gli sia venuto troppo leggero faccia ammenda dei propri errori e si attrezzi meglio per l'avvenire. Quelli che non si rassegnano (in genere quelli i bottegai) lo correggono aggiungendovi del metanolo che è una sostanza in qualche modo simile all'etanolo ma di questo più concentrata e tossica. Io per quel mi riguarda me lo tengo come m'è venuto e a questo punto me l'imbottiglio, perché il suo processo biologico (naturale) s'è concluso e la “barrique” (la botte) presto mi servirà per la nuova vinificazione.

Nel vetro il vino finisce di respirare e quindi di invecchiare, tuttavia i tappi di sughero gli consentono ancora una residua piccola osmosi che solo una copertura di ceralacca, o se il sughero si seccasse, può far cessare del tutto. Non metteteci la ceralacca e per non far seccare il sughero tenete le bottiglie (sempre al buio e al fresco) in posizione distesa in quegli specie di cavalletti a serie che i francesi chiamano “pupitres”, in modo che il sughero tenendosi in costante contatto col vino si mantenga umido.    

Tra il dire e il fare, amici, c'è di mezzo un mare (di aceto), non saprei però dirvi - il pensiero sta venendomi proprio adesso - che risposta darvi se mi chiedeste che quantità d'uva avevo portato al molitore per farmi i miei 250 litri di vino. Forse mi soccorrerebbe la complicata formula di Gay-Lussac che l'ingegnere ci ha spiegato e trascritto alla lavagna, ma la matematica non è il mio forte. (*)

Purtroppo tutto resterà lettera morta e questo frizzante interesse per il vino che in questi giorni m'inebria, di sicuro finito il corso si spegnerà, perché non ho case in campagna e l'unica che possiedo non si presta a nessuna delle faccende di cui sopra. Per cui, amici bevete un bicchiere di buon vino per me, se ne avete e se non ne avete e potete farvelo, fatevelo. Il vino è la creatura che da, a chi la crea, i minori dispiaceri. 

 

(*): glie l'ho chiesto qualche lezione dopo. All'ingrosso, abbondando - mi ha detto - circa 4 quintali d'uva.

 

 

 

Venerdì 14 marzo 2003, quindicesima lezione: terza di scienze dell'alimentazione.

 

Come l'apocalittico angelo del giudizio nella valle di Giosafàt, Armaggedon Mariella dal fisico scultoreo è scesa sopra di noi per percuoterci le bramose gole con la fiammeggiante spada. E mentre bella come l'angelo sterminatore ciò faceva, alto teneva un fiammeggiante vessillo dove a grandi caratteri rappresentava le seguenti parole: "Anime prave, solo ciò che non mangiate vi fa bene alla salute".

Sbaglierebbe tuttavia chi pensasse che io voglia ironizzare su di lei; non lo merita e stasera è stata dolcissima. Aveva iniziato agitando il ramoscello d'olivo, la curvilinea Mariella: - "Non dovete pensare che la parola dieta voglia significare digiuni o privazioni, essa viene dal greco 'dìaeta' che vuol dire modo di vivere" -.

- “Bene Mariella, brava, continua così!” -

- Questa sera tratteremo di quel che è bene mangiare nelle tre età della vita e quali sono le malattie che possono derivare da una cattiva alimentazione -.

Questo l'incipit. Solo che quando vai a trattare del mangiare tutte le strade purtroppo vanno a convergere sul punto che, come diceva Henry Estienne, “Ci scaviamo la fossa con i nostri denti”.

E’ un fatto biologico, la luciferina Mariella (luciferina nel senso di portatrice di luce) non c'entra, e in vero non c'è chi non lo sappia. Il problema consiste nel fatto che troppo spesso ce ne dimentichiamo, ma qui il discorso si fa talmente complesso (e tormentoso) che non mi sento di liquidarlo con delle facili battute. Ben ci sarà bene una ragione - non dico sociale, dico psicologica - se nella opulenta società nella quale viviamo il 70% delle persone è sovrappeso e, scusatemi per il gioco di parole, non se dà peso.

La spiegazione giusta a mio vedere ce l'ha data Sigmund Freud quando ha definito l'amore per il mangiare, così come l'istinto sessuale e la cupidigia di ricchezze, pulsione vitale. Per cui secondo me assai poco ci resta da fare se è una cosa che ci portiamo nel dna.

Dunque mangiamo, mangiamo pure, arrendiamoci gaiamente alle pulsioni gastriche, diamo soddisfazione al palato, onoriamo il buon cibo e i cuochi fantasiosi e onesti come il signor Lo Piano nel cui “Fast food” (un nome orrendo che non rende onore alla qualità della sua cucina) secondo il mio palato si mangia meglio che al Savini, evitiamo solo di abbuffarci alla cieca e bestialmente. A questo riguardo sta venendomi in mente una frase di Woody Allen a proposito d'un ristorante dov'era capitato: "La cucina qui è veramente disgustosa..." - ebbe a lagnarsene uscendo -  "... e poi danno delle porzioni così piccole!".

Quando la situazione ci sfugge di ...bocca, corriamo immediatamente ai ripari purgandoci il corpo e la coscienza.

Ispirandomi a Martin Lutero che ai suoi fedeli raccomandava di peccare fortemente e di pentirsi più fortemente ancora, il mio correre ai ripari consiste nel camminare molto a piedi. Cammino quanto un legionario, e camminando mi persuado di espiare. Si tratta di un contrappasso più psicologico che fisico perché di frequente va a finire che a forza di camminare mi smuove una fame tale che appena mi risiedo a tavola essa come nel gioco dell'oca d'un colpo mi proietta di dieci o dodici caselle indietro.     

Comunque tra un esangue ragioniere delle kcal. che anziché la forchetta usi il bilancino del farmacista e quella sorta di Rodomonte che è il nostro ingegnere che ogni giorno brucia quarantamila calorie ma ne introita cinquantamila, io preferirò sempre l'ingegnere Bonsangue perché come diceva Giulio Cesare diffido delle persone magre.

Stasera mi fermo qui, facciamo mezz'orario, amici. Tanto lo sapete tutti quel che fa bene e quel che fa male alla salute. Vi raccomando solo di bere molta acqua, di berne più che potete, di berne anche quando non avete sete, di non stancatevi mai di berne. L'ingegnere Bonsangue per dar forza alle esortazioni della relatrice ci ha palesato che lui d'inverno non ne beve mai meno di due litri e d'estate tre volte tanto.

- “Ma siamo certi, caro ingegnere che si tratta di acqua?!”

 

 

 

Martedì 18 marzo 2003, sedicesima lezione: quarta di gastronomia.

 

Poco sopra scherzavo. Perché l'ingegnere Bonsangue, da quell'insigne enologo che è, è troppo innamorato del vino perché non lo riguardi con la tenerezza di un giovane amante. Magari, come un certo signore duemila anni fa, vi camminerà sopra senza bagnarsi i piedi, ma non mi risulta che ancora abbia assunto la facoltà di trasformare l'acqua in vino.

Al limite, il dubbio di una eventuale incontinenza può venirmi, se è vero quel che appare e soprattutto senza che per questo io mi senta di vituperarlo, per quello che può essere il suo rapporto con il cibo.

Se non siete disposti a condividere questa mia benevolenza, leggetevi per favore quel che ha scritto nei suoi "Princìpi della filosofia dell'avvenire" a proposito del rapporto col cibo un filosofo tedesco magro e tetro, Ludwig Feuerbach: "Uno stomaco limitato può andar d'accordo soltanto con una sensibilità limitata, cioè animalesca. L'uomo ispirato dall'etica e dalla ragione ha nei confronti dello stomaco un atteggiamento che consiste nel considerarlo un organo non animalesco, ma umano".

Non vi basta il severo (e noioso) Feuerbach? Non vi convince la sua greve prosa? Allora vi calo un autentico asso da novanta nella (ridondante) figura del signor Martin Lutero che in quanto monaco di crapule di sicuro se ne intendeva più d'un filosofo e con la cucina (e le cuoche) aveva un rapporto lubrico. Martin Lutero - sia dato merito alla donna che lo mise al mondo - sosteneva che "Chi non ama il vino, le donne e il canto rimane uno stolto per tutta la vita".

La verità sta nel fatto che il corpo umano ha bisogno di olii, succhi e sapori quanto la terra ne ha di sole, acqua e concimi, per cui, amici, “Viva la ciccia…!” come dice l'amico Dario Cecchini da Firenze. Vado alla lezione del signor Luciano Micciché in quella che sarà l'ultima di pasticceria.

 

Ben poco, ben poco, cari amici, potrò raccontarvi della lezione di herr Feuerbach Micciché e non perché non lo voglia. Gli è che la sua invincibile idiosincrasia a comunicare ha come alzato un muro tra il suo tavolo e i banchi, cosicché mentre lui e il suo coadiuvante si facevano le loro torte noi non avendo di meglio da fare ci siamo messi a far salotto aspettando impazienti che finissero.

Hanno preparato quattro torte: la notissima cassata siciliana, una di quelle col bordo brulicante di noccioline che si comprano per i compleanni, una alla crema che il maestro ha asciuttamente definito per bambini e infine una di “profiteroles”. Come si faccia a farle non so dirvelo e quali Ingredienti occorrano lo sanno solo lui e (forse) il suo aiutante.

Le poche parole che quasi sussurrando pronunciava le pronunciava per rispondere alle specifiche domande che le ragazze dei primi banchi gli facevano, ma pareva un interrogatorio di quelli che si fanno nei tribunali americani, così che a un certo momento una delle corsiste, stizzita di tanta laconìa, si mise a mormorare che il maestro aveva tutto l'interesse a lasciarci ignoranti così che le torte anziché farcele con le nostre mani andavamo a comprarcele nella sua bottega.

Al contrario di quel che dice il senatore Andreotti io non voglio dannarmi l'anima a pensar male. Magari è solo un fatto di carattere, anche se è vero che il signor Micciché è tra i relatori l'unico professionista, essendo gli altri dei puri dilettanti amabilmente usciti dal cilindro dell'ingegnere Bonsangue. Ad ogni modo non induce a pensare bene la circostanza che il signor Micciché ha poco elegantemente glissato sulla richiesta di alcune signore che gli avevano chiesto la ricetta delle brioches.   

Ma anche il nostro voluminoso e incontenibile ingegnere stasera ha lasciato a desiderare; andava e veniva, si distraeva frequentemente e, somma ignominia, non s'è accorto della cospicua rimanenza di ricotta farcita che a fine lezione veniva portata via.

Le quattro torte le abbiamo accompagnate, secondo l'immancabile precetto che col dolce ci va un dolce, con dello zibibbo delle cantine del duca di Castelmonte. Ma la scelta, senza alcuna colpa dell'ingegnere Bonsangue, non si è rivelata felice come in tutte le altre occasioni: lo zibibbo è un vino dolce e delicato, cosicché il suo fine bouquet è stato sopraffatto dalla forte melassa che inzaccherava la ricotta e dal troppo rum col quale il maestro ha imbibito il pan di Spagna (a saperlo avrei portato del moscato - ci ha detto poi l'ingegnere – ché il moscato possiede gusto e aromi più marcati dello zibibbo).

Sotto vi riporterò una ricetta sui gusci dei cannoli che abbiamo trovato scritta sulla lavagna; meglio di niente.

Il filmato che come d'abitudine ci è stato proiettato a fine lezione era incentrato sul signor Enrico Derlingher, uno dei più celebri e celebrati chef d'Italia. Se v'interessa sapere come cucina prima fatevi un mutuo e poi recatevi a Roma. Lo troverete nella centralissima piazza di Spagna nel ristorante annesso al prestigioso albergo “Terrazza dell'Eden” di Adoni Moses Levy del quale (locale) il signor Derlingher è lo chef-patron. Si tratta di uno di quei ristoranti iperesclusivi e super raffinati dove per due leggiadrissime e esclusivissime portatine sono capaci di farvi pagare tre o quattrocento euro, senza contare i vini che si pagano a bicchiere. Il signor Derlingher nella lunga intervista raccontava di essere stato per anni il cuoco personale della regina Esisabetta II d’Inghilterra, a Buckungham Palace, e che poi per fare esperienze di cucina si mise a girare il mondo fino a capitare a Roma e a finire sotto le grinfie del giudeo. Ci diceva - vi riporto la notizia perché m'ha particolarmente colpito - che nei ristoranti giapponesi con una delle nostre porzioni - lui le chiamava porzioni ma sarebbe più corretto chiamarle “assaggi” - ci mangiano quattro persone.

Ma non è che i giapponesi mangino poco, è che mangiano continuamente.

Alla dottoressa Paruzzo probabilmente saranno fischiate le belle orecchie.  

Ora bando alle chiacchiere, amici. Prendete un pezzettino di carta e un mozzicone di matita e scrivetevi la ricetta dei gusci per i cannoli. Occorrono 1 kg. di farina 00, 100 grammi di zucchero, 100 grammi di strutto, 10 grammi di ammoniaca, un quarto di litro di acqua, un quinto di litro di latte.

 

 

 

Venerdì 21 marzo 2003, diciassettesima lezione: quarta di gastronomia.

 

Dopo gli antipasti, i primi e i secondi delle precedenti lezioni la signora Natale giustamente chiude con il dessert. Il maestro Micciché non me ce voglia ma finalmente abbiamo un che di fattivo con cui chiudere un pranzo. La signora ci ha illustrato tre ricettine delle quali con dovizia di particolari ci ha spiegato i volti e i risvolti. Come abbiamo potuto vedere con i nostri occhi si tratta di ricette molto semplici e, come abbiamo potuto gustare, assai saporite.

Vi do di esse gli Ingredienti, le dosi e anche qualche dritta per la messa in opera.

Mousse di ananas. Provvedetevi di una scatola di 10 fette di ananas, unite il succo contenuto nella scatola (in genere 200 grammi di liquido) a 800 grammi di acqua, aggiungetevi 65 grammi di amido di grano, 4 uova intere, il succo di tre limoni e la buccia di un limone grattugiato, sminuzzatevi le 10 fette d'ananas e frullate abbondantemente il tutto fin quando non verrà fuori un composto quasi liquido e molto schiumoso. Versate il contenuto in una pentola e a fiamma alta girate fino a quando la schiuma non sarà tutta riassorbita. Versate il tutto in un'ampia terrina e coprite abbondantemente di frutta fresca di vario tipo, a mo' di macedonia. Mettete a riposare in frigo.

Dolcetti (o praline) al cocco: 500 grammi di ricotta, 250 grammi di zucchero a velo (cioè frullato), 250 grammi di farina di cocco, il contenuto di una o due tazzine di caffè senza zucchero e la buccia di un limone grattuggiato. Frullate il tutto e della pasta che viene fate delle polpettine (palline), rivestitele di cacao amaro e mettetele a riposare in frigo.          

Panna cotta: mezzo litro di panna fresca, mezzo litro di latte, 150 grammi di zucchero a velo, 10 grammi (2 bustine) di vanillina, 6 fogli da 2 grammi ciascuno di gelatina (colla di pesce; finalmente oggi ho compreso cos'era quella misteriosa colla di pesce cui accennava herr Micciché). Mettete i fogli di gelatina (o colla di pesce che dir si voglia) in 100 grammi di acqua calda e quando vi si saranno sciolti versatene il contenuto nell'amalgama di cui sopra. Qui ad essere sincero mi manca un anello, cioè non so se occorre rimettere mano al frullatore o no, e non so se, ora o dopo, lo si deve mettere dentro il frigo. Comunque di certo quel che la signora ci ha mostrato alla fine dentro una ampia terrina somigliava a una specie di materassino, una sorta di schiacciata alta 2 cm., del colore della mozzarella. Ci ha spalmato sopra l'intero contenuto d'un barattolo di marmellata d'arance, ci ha fatto piovere quattro pugni di briciole di pistacchi verdi, l'ha tagliato a tranci e, in uno con gli altri due dolci, Emanuela, la hostess, ce l'ha apparecchiato sovra un bel piattino.

Io per la frutta non stravedo, ma i manufatti della signora Silvana erano veramente squisiti. Nei confidenziali scampi d'opinione non c'era uno di noi che non fosse d'accordo. Freschi, rotondi e squisiti in bocca, il loro gusto era pieno e equilibrato. la signora Silvana Natale, scegliendo sempre prodotti semplici e di grande efficacia, è stata sempre all'altezza del compito; in particolare per i dolci di stasera che non necessitano di forno si preparano in cinque minuti.

Come avviene ogni volta colle sue, anche alla lezione della professoressa Natale di questa sera eravamo in 34 anziché i soliti 32. Si tratta di un fenomeno paranormale che ha quasi dello straordinario e per la sua costanza quasi dell'inquietante. Ma questa, amici, come diceva il vecchio Moustache, è un'altra storia.

Provvido coppiere, l'ingegnere, leccandosi anche lui i baffi, ci correva dietro (stasera c'era un clima quasi festaiolo) con una acconcia bottiglia di Brachetto d'Acqui. Un “dolce” piemontese colore del rubino ma molto amabile. Un vino, ci ha detto il presentatore, particolarmente apprezzato dalle signore. Tant'è vero che la piccola signora Patrizia Marotta, una lumachina che faticosamente sta evolvendo a donna, audacemente ne ha bevuto mezzo sorso, e mai in precedenza era arrivata a tanto essendosi tutte le volte dichiarata risolutamente astemia: l'ingegnere Bonsangue era commosso come se la piccola avesse pronunciato la sua prima parola.   

Due parole infine sul consueto documentario. Quello di stasera trattava dello speck prodotto dalla Wolf di Saulis, lassù nell'alta Carnia. Lo speck è come il prosciutto crudo, solo che lo affumicano col fumo del legno di faggio. Ma non è di questo che voglio parlarvi. Desidero mettere in cornice quel che uno della Wolf, nel discorso che faceva per illustrarci l'azienda, ha detto a un certo punto. Ci diceva che dei quarti posteriori che gli arrivano dagli allevatori loro fanno gli speck, i prosciutti crudi e quelli cotti, i salami e mortadelle, gli zamponi e le pancette, i capocolli e i culatelli, il lardo e la sugna, “e i wurstel” - concluse il norcino – “Che tanta soddisfazione ci danno!!".  Ahinoi, credo di conoscerla la natura di cotanta soddisfazione, tornandomi alla mente quella volta che da piccolo io spropositatamente insistendo perché mi dessero un wurstel, mio zio Liborio si mise a spiegarmi che non era buona cosa mangiarne “perché li fanno con le parti meno nobili del maiale”. Io per dargli segno che capivo quel che voleva dirmi gli buttai giù un "Lo fanno con le orecchie e le code", cui lo zio, levando gli occhi al soffitto e sospirando, oppose un flebile ed eloquentissimo "Magariii!!" che ebbe la forza di cento discorsi.         

Pregevole, pregevolissima, è la dispensa di cui l'ingegnere ci ha gratificati stasera. Non esagero se vi dico che se andassimo a comprarcela in libreria (immaginando che in commercio ne esistano di uguali) la pagheremmo non meno di 50 o 60 mila lire. Si tratta di una sorta di summa gastronomica che ogni italiano bennato e provvisto di soldi dovrebbe portarsi nella valigia. Essa non soltanto accuratamente ci guida nei percorsi culinari regionali, ma di ogni realtà ci da delle interessantissime informazioni. Contiene tante ricette quante sono le chiese di Bahia os todos santos, per cui mi verrebbe improbo riportarvene anche i soli titoli. Tuttavia farò uno sforzo, vi riporterò alcune pagine. Quelle afferenti alle cucine valdostana e piemontese a beneficio di mia figlia Lorenuccia che vive a Biella, a beneficio di mio figlio Francalberto che tiene un piede a Milano e uno a Roma quelle delle cucine lombarda e laziale, a beneficio di mio figlio Fabio quelle siciliane, a beneficio di mio cognato Tanino e mia, ché la adoro, quelle della Toscana e infine a beneficio di mia sorella la grande quelle della tradizione sarda. Lo faccio perché ho lo Scanner e l'Ocr, se no stareste freschi.

Lo faccio anche per, diciamo così, farmi perdonare del fatto che vi ho fatto mancare i resoconti delle ultime tre o quattro lezioni. Gli è che scrivendo e scrivendo m'è parso proprio d'essere scivolato nell'impressionismo, o nell'astrattismo, e non c'era nulla in tutto quello che potevate leggere che potesse essere infilato in una pentola o fatto saltare dentro una padella.

 

 

 

Valle d'Aosta

 

Questa piccola regione ha una cucina prevalentemente montanara, con una abitudine antica a consumi parchi e frugali. Il fenomeno turistico che è iniziato verso la fine del secolo scorso, ha portato ad un cambiamento delle abitudini gastronomiche, già comunque influenzate dalla vicinanza della cucina francese. In montagna si preparavano d'estate, anche per l'inverno, carne salata e formaggi, primo fra tutti la fontina, ancora oggi di larga produzione. Il termine "fontina" compare già in documenti del 1700 e si riferisce secondo alcuni al nome di un alpeggio, secondo altri al cognome di una famiglia o al villaggio di Fontinaz. La produzione locale è ancora oggi incentrata su latte e latticini, come burro e formaggi (fontina, tome, robiola), polenta, patate (introdotte all'inizio del 1800 dalla Francia), cavolo e castagne. E’ caratteristico anche il consumo di selvaggina e dei prodotti dei sottobosco come lamponi e mirtilli. Sono piatti tipici la fonduta, piatto sostanzioso a base di latte, uova e molta fontina (che si presta bene a questa Preparazione dato che a 60°c fonde senza fatica) arricchito con tartufi, le zuppe a base di pane e verza, la polenta servita con salsiccia e fontina, dolci e budini di castagne tra cui il Monte bianco. Altre specialità sono i “knolle” (gnocchi di farina gialla), le costolette alla valdostana (con fontina) e la carbonada, specie di stufato che viene fatto con carne bollita, messa in salamoia e poi servita con salsa a base di cipolla e vino, presentato con contorno di polenta. Da ricordare infine il caffè con grappa alla valdostana, sempre servito per almeno due persone, simbolo di amicizia.

 

Ricette

 

Primi piatti

Fonduta alla valdostana:

Tempo di cottura: 30 minuti circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: 30 grammi di burro, latte, 450 grammi di fontina valdostana, 4 tuorli d'uovo. Preparazione: privare la fontina della crosta e tagliarla a cubetti, metterla in un recipiente ricoprendo con il latte e lasciar riposare per circa 3 ore. Fare sciogliere il burro, aggiungere la fontina e il latte e far cuocere a bagnomaria, mescolando con un cucchiaio di legno a fuoco moderato sempre nello stesso modo. Quando la fontina comincerà a filare alzare la fiamma e mescolare velocemente, aggiungere uno alla volta i tuorli delle uova (prima di aggiungere il tuorlo successivo fare attenzione che il precedente sia ben amalgamato), mescolare ancora fino ad ottenere la giusta cremosità e a questo punto la fonduta è pronta. servirla in ciotoline di coccio con crostini di pane fritti nel burro .

Polenta concia:

Tempo di cottura: 45 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: sale, 100 grammi di burro, 300 grammi di farina gialla, 150 grammi di fontina valdostana. Preparazione: in un paiolo o in una pentola capace portare a ebollizione l'acqua salata, quindi aggiungere la farina a pioggia, mescolando energicamente per non formare grumi.Cuocere per 45 minuti sempre mescolando. La polenta sarà cotta quando alle pareti del paiolo si formerà una crosticina. A questo punto aggiungere la fontina tagliata a dadini ed il burro. Mescolare bene per far sciogliere il burro e la fontina. servire immediatamente.

Zuppa valpellinentze:

Tempo di cottura: 1 ora e 30 minuti circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: 1cavolo verza, sale, burro, 300 grammi di fontina, pepe, noce moscata, brodo di carne, pane integrale raffermo affettato. Preparazione: pulire la verza e lessarla in acqua salata; toglierla a circa tre quarti di cottura. Abbrustolire il pane. In un recipiente possibilmente di terracotta, leggermente imburrato, stendere le fette di pane, il cavolo lessato e le fette di fontina, fare uno secondo strato da rifinire con delle noci di burro. Versare sopra il brodo in quantità giusta affinché ricopra tutto, aggiungere la noce moscata grattugiata, sale e pepe; mettere in forno e circa 160° e cuocere per circa 50 minuti.

 

Secondi piatti

Carbonada:

Tempo di cottura: 2 ore circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: 2 cucchiai di aceto, 1cipolla, sale, 1/2 lt. di vino rosso, 50 grammi di burro, pepe, farina bianca, 800 grammi di carne di manzo. Preparazione: tagliare la carne a strisce di circa 5 cm di lunghezza e 1/2 cm. di larghezza, passarle nella farina e quindi farle rosolare nel burro. Quando sarà ben rosolata toglierla e metterla in un piatto. Nel burro rimasto far appassire la cipolla affettata sottilmente, unire 2 cucchiai d'aceto e far sciogliere bene il fondo di cottura, aggiungere la carne aggiustare di sale e pepe e far cuocere e fuoco basso per circa 1 ora e mezzo bagnando di tanto in tanto con il vino rosso. a fine cottura la carne deve risultare morbidissima. servire con la polenta.

Frittelle di fontina:

Tempo di cottura: 15 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: 4 uova, 200 grammi di fontina, basilico, latte, prezzemolo, rosmarino, olio di semi per friggere, 100 grammi di pane grattugiato, 100 grammi di carne di manzo macinata. Preparazione: tagliare la fontina a dadini molto piccoli, mettere il tutto in una terrina, unire il pangrattato, la carne, le uova, il trito di erbe e il latte. Lavorare bene fino ad ottenere un composto omogeneo e aggiustare di sale e pepe. Far scaldare l'olio nella padella per friggere, quando sarà ben caldo distribuire a cucchiaiate il preparato e far dorare le frittelle da tutti i lati. Servire ben calde accompagnate da spinaci o finocchi al burro.

Costolette alla valdostana:

Tempo di cottura: 15 minuti circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: farina, sale, 1uovo, burro, 4 costolette di vitello, pepe, 150 grammi di fontina valdostana, pane grattugiato. Preparazione: tagliare le costolette a metà nel senso orizzontale lasciandole unite dalla parte dell'osso in modo da formare una tasca. tagliare la fontina e fettine e con queste farcire le costolette, quindi con il batticarne premere con forza i due bordi delle tasche e fissare con due stecchini affinché rimangano ben chiuse e non esca la fontina. Salare e pepare ogni costoletta, passarle quindi prima nella farina, poi nell'uovo sbattuto, non salato, infine nel pangrattato. mettere il burro in una padella e far cuocere le costolette da ambo i lati a fuoco moderato. Scolare e passare su carta assorbente e servire.

 

Dolci

 

Ciambelline di mais:

Tempo di cottura: 20 minuti circa. Ingredienti, dosi per alcune persone: 3 uova, 150 grammi di burro, 300 grammi di zucchero, 50 grammi di farina bianca, 500 grammi di farina gialla a grana fine, scorza grattugiata di limone. Preparazione: setacciare le due farine in una terrina quindi unire lo zucchero, il burro ammorbidito, le uova e le scorza di limone. Lavorare bene fino ad ottenere un composto uniforme. Versare il composto in una siringa da pasticciere con la bocchetta e stella, formare così delle ciambelline e sistemarle direttamente nella placca da forno foderata con carta oleata. Cuocere i dolcetti in forno già caldo a 180° per circa 20 minuti.

 

 

 

Piemonte

 

La cucina piemontese è caratterizzata da sapori e aromi forti, pungenti, di bosco. Molti dei piatti tipici sfruttano prodotti che si raccolgono o maturano da settembre ad ottobre come i tartufi (famoso quello bianco della zona di Alba, capoluogo delle Langhe) e l'uva. Altri prodotti tipici sono il riso, proveniente dalle zone di Novara e Vercelli, e il pesce di acqua dolce, primo fra tutti il pesce persico. e' una cucina "robusta", che si sposa bene con i vini tipici della regione; a proposito di vini, prodotto tipico della regione è il vermouth, vino liquoroso aromatizzato, che nasce nel 1786. Piatti tipici della regione sono la “bagna cauda” a base di acciughe, olio e aglio; un Tempo era fatta con l'olio di noci, oggi introvabile; viene servita in appositi fornellini al centro del tavolo in cui intingere i vari tipi di verdure crude. La fonduta, con fontina, latte, uova e tartufo d'Alba. La polente cunsa, cioè condita con formaggi. I bolliti misti, serviti con la salsa verde o bagnet verd. Ricordiamo anche i formaggi quali robiole (è famosa quella di Roccaverano, in provincia di Asti), tome e tomini, già noti nel medioevo, il castelmagno, il murazzano e il bra tipici del cuneese; la pasta fatta in casa (taglierini, agnolotti e ravioli), i grissini, creazione del XVII secolo, attribuita ad un fornaio torinese di nome Brunero, i gianduiotti cioccolattini con pasta di cacao e nocciole, i “marron glacés”, e i biscotti come i crumiri di Casale Monferrato, gli amaretti, i baci di dama.

 

Ricette

 

Antipasti.

 

Vitello tonnato:

Tempo di cottura: 1 ora e mezzo. Ingredienti, dosi per 8 persone: sale, 3 uova, 2 cucchiai di capperi, 1 costa di sedano, aceto bianco, salvia, 1 bottiglia di vino bianco secco, succo di limone, alloro, 6 acciughe sotto sale, 1 kg. di polpa di vitello (girello), chiodi di garofano, olio d'oliva, 300 grammi di tonno. sott'olio. Preparazione: mettere a marinare la carne nel vino, unire 2 foglie d'alloro, 3 chiodi di garofano, 4 foglie di salvia e il sedano tagliato a dadini. Lasciare così per 24 ore avendo cura di girarla spesso. trascorso questo Tempo togliere la carne dalla marinata, metterla in una casseruola e irrorarla con il vino filtrato e dell'acqua in modo che risulti completamente coperta. Aggiustare di sale e far cuocere per circa un'ora, dopo di che aggiungere le acciughe lavate e diliscate. Lasciar cuocere per altri 30 minuti. Il brodo a fine cottura non dovrà essere più di mezzo litro. Far rassodare le uova. a questo punto filtrare il brodo, passare ai setaccio le acciughe, il tonno e i tuorli sodi. mettere il ricavato in una zuppiera, aggiungere i capperi tritati, un cucchiaio di aceto, il succo di limone e l'olio d'oliva. mescolare bene, e diluire la salsa con un poco di brodo. lasciare raffreddare la carne, affettarla sottilmente, disporla su un piatto di portata e ricoprire con la salsa.

 

Salse

Bagna caoda:

Tempo di cottura: 20 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: 5 spicchi d'aglio, 200 grammi di olio, 100 grammi di burro, 200 grammi di acciughe sotto sale, verdure e piacere (cardi, peperoni crudi o arrostiti, foglie bianche di verza, topinambur, cavolfiore molto tenero). Preparazione: pulire l'aglio e metterlo a bagno nel latte per circa 2 ore. sgocciolarlo, asciugarlo, tagliarlo a fettine sottili e metterlo in un tegame (possibilmente di coccio) con l'olio e il burro a fuoco basso. unire le acciughe lavate e private della lisca centrale, far cuocere per circa 15 minuti mescolando con un cucchiaio di legno sempre a fuoco basso (non deve bollire mai). quando la salsa sarà pronta portare in tavola e tenere sempre in caldo sul fornellino apposito. ogni commensale si servirà a piacere dei vari tipi di verdure e le intingerà nella salsa calda.

 

Primi piatti.

 

Risotto alla piemontese:

Tempo di cottura: 20/25 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: 1/2 cipolla, 350 grammi di riso, 1 lt. di brodo, 50 grammi di burro, 1/2 bicchiere di vino bianco secco, formaggio parmigiano grattugiato. Preparazione: versare in una casseruola il brodo, porre il recipiente sul fuoco e portare a ebollizione. in 25 grammi di burro fare imbiondire la cipolla tritata, poi unire il riso, mescolando per un paio di minuti. versarvi sopra il vino, lasciarlo evaporare e incorporarvi, poco per volta, come si fa per i normali risotti, il brodo bollente. quando il riso sarà quasi pronto, levare il recipiente dal fuoco, aggiungere il rimanente burro crudo e 3 cucchiaiate di formaggio grattugiato: mescolare bene, incoperchiare il recipiente, lasciare riposare il risotto per 5 minuti, poi servirlo su Piatti caldi.

 

Agliata:

Tempo di cottura: 6/7 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: sale, 3 spicchi d'aglio, 50 grammi di burro, 500 grammi di noci, latte, 80 grammi di mollica di pane, 300 grammi di tagliatelle all'uovo. Preparazione: mettere la mollica di pane in una tazza e coprirla di latte. sgusciare le noci, poi mettere i gherigli nel mortaio insieme ai tre spicchi di aglio e pestare tutto quanto, tenendo presente che poi si dovranno sentire i pezzetti di noce. Dopo aggiungere la mollica di pane imbevuta di latte (senza strizzarla) e un pizzico di sale: mescolare bene e lasciare riposare il composto. Lessare le tagliatelle, scolarle, condirle con il burro crudo e aggiungere tutta la salsa di noci. mescolare con cura e servire subito.

Tajarin in bianco con tartufi:

Tempo di cottura: 10 minuti circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: sale, 2 uova, poco brodo, 80 grammi di burro, pepe, 400 grammi di farina bianca, noce moscata, formaggio parmigiano grattugiato, 1 tartufo bianco d'alba. Preparazione: preparare i tajarin impastando la farina con le uova, unendo una cucchiaiata di parmigiano, e tanta acqua quanto basta per avere una pasta di giusta consistenza. Lavorarla molto bene, poi con il matterello stendere una sfoglia sottile e ricavare da essa le tagliatelle, che non devono superare il mezzo cm. di larghezza. Pulire bene il tartufo con uno spazzolino in modo da levargli tutta la terra e lavarlo. Porre sul fuoco abbondante acqua salata e quando bolle lessare la pasta facendola cuocere per soli 2 minuti. Nel fratTempo mettere in un tegamino il burro e porlo sul fuoco basso, unire ad esso abbondante formaggio grattugiato al quale sarà stato mescolato pepe e profumo di noce moscata. Aggiungere un mestolo di brodo e far ridurre giustamente. Versare il condimento sulle tagliatelle ben scolate, mescolarle e cospargerle con abbondante tartufo sottilmente affettato. Servire subito.

Gnocchi alla bava:

Tempo di cottura: 40 minuti circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: 200 grammi di farina, 1 kg. di patate, 80 grammi di burro, 150 grammi di fontina valdostana. Preparazione: lessare le patate e passarle al passapatate quando sono ancora bollenti, far cadere il passato sulla spianatoia e aggiungere poco alla volta le farina fino ad ottenere un impasto di giusta consistenza, lavorarlo bene e uniformemente fin quando non si attaccherà più alle mani. Formare dei bastoncini e tagliarli e pezzetti di circa 2 centimetri . Versare gli gnocchi in acqua bollente salata, appena vengono a galla scolarli e disporli a strati in una pirofila imburrata, tra uno strato e l'altro mettere la fontina tagliata e fettine sottili, cospargere l'ultimo strato di fiocchetti di burro e mettere in forno a 220° per circa 5 minuti. Servire subito.

 

Secondi piatti

 

Lingua alla piemontese:

Tempo di cottura: 2 ore e 45 circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: aceto, 1 cipolla, sale, 1 cucchiaio di capperi, brodo, 1 costa di sedano, 750 grammi di lingua di vitello, prezzemolo, pepe, farina bianca, 1 pezzetto di peperoncino, 1 carota, salsa di pomodoro, olio d'oliva. Preparazione: lessare la lingua mettendola in acqua salata con mezza carota, mezzo gambo di sedano e mezza cipolla, far cuocere lentamente per circa 2 ore. Nel frattempo tritare la cipolla, il sedano e la carota, metterle in una casseruola con l'olio e far rosolare bene, aggiungere il prezzemolo tritato, i capperi, la salsa di pomodoro sciolta in poco brodo e il peperoncino. Aggiungere lo farina stemperata in poco brodo. Aggiustare di sale e pepe e lasciar cuocere a fuoco basso per circa 30 minuti, se la salsa si addensasse troppo aggiungere altro brodo, a fine cottura unire cucchiai di aceto. Sgocciolare la lingua, spellarla e tagliarla e fettine. Disporre le fette in un piatto, versarvi sopra la salsa e servire.

Lepre in salmì alla piemontese:

Tempo di cottura: 2 ore e 20 minuti circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: 2 cipolle, 1 lepre, sale, 1/4 di lt. di brodo, 100 grammi di burro, sedano, 1/2 lt. di vino, pepe, alloro, 2 carote, cannella, 2 bottiglie di barbera vecchio. Preparazione: tagliare la lepre a pezzi uniformi, non troppo grandi. Lavare i pezzi della lepre nel 1/2 litro di vino che non verrà poi utilizzato nella cottura. Sistemare poi la carne in un capace recipiente di terracotta. Unire le carote, il sedano e le cipolle tagliate a grossi pezzi, qualche foglia di alloro, 1 o 2 scaglie di cannella e alcuni grani di pepe. Ricoprire la lepre con il barbera e tenerla in marinata per 12 ore, poi levare i pezzi di carne e filtrare il vino; mettere le verdure della marinata in una casseruola, unire il burro e fare soffriggere: quando il burro sarà dorato sistemare nel recipiente i pezzi di lepre, salarli, rosolarli bene e versarvi sopra tutto il vino già usato. Cuocere a recipiente coperto ed a fuoco lento: appena il barbera sarà tutto evaporato, allungare l'intingolo con del brodo e proseguire la cottura, sempre a recipiente coperto, fino a quando la carne e le verdure saranno ben cotte. infine levare i pezzi di lepre, passare al setaccio tutto quanto è rimasto nel recipiente, rimettere la carne nella casseruola e versarvi sopra il passato. immersa in questo intingolo la carne diventerà più saporita; sarà migliore servita il giorno dopo, riscaldata a bagnomaria. Questo piatto si può ricoprire, quando è la stagione, con sottilissime fettine di tartufo d'alba.

 

Dolce

 

Crumiri:

Tempo di cottura: 20 minuti circa. Ingredienti, dosi per alcune persone: 4 uova, 280 grammi di burro, 160 grammi di zucchero, 200 grammi di farina bianca, 280 grammi di farina gialla a grana fine, 1 bustina di vanillina. Preparazione: mescolare insieme le 2 qualità di farina, lo zucchero e la vanillina, versando tutto quanto nella spianatoia, poi incorporarvi 4 tuorli e il burro; lavorare bene la pasta, poi farne una palla, avvolgerla in carta oleata e lasciarla riposare per circa mezz'ora. Dividere poi la pasta in 2 o 3 pezzi, prenderne un pezzo alla volta, arrotolarlo a forma di salsicciotto e metterlo in una siringa da pasticceria, applicando ad essa il disco con il motivo di una stella. Infarinare leggermente la spianatoia e fare uscire dalla siringa dei cannelli rigati, tagliando poi questi in pezzi lunghi circa 10 cm., appoggiare delicatamente i pezzetti di pasta sulla placca del forno imburrata ed infarinata, dando loro la forma di una mezza luna appena accennata. Cuocere i "Crumiri" in forno ben caldo (200°) lasciandoveli fino a quando avranno preso un bel colore biondo (circa 20 minuti). chiusi in scatole di latta si conservano benissimo.

 

 

 

Lombardia

 

La Lombardia è una regione estesa, densamente popolata, il cui territorio ha una conformazione in cui si alternano pianura e montagne, laghi e città. La regione basa la sua economia anche sull'agricoltura (cereali, ortaggi, frutta) e sull'allevamento di bovini e suini; inoltre è praticata la pesca di lago. La cucina risente positivamente di questa abbondanza di prodotti locali e per questo possiamo dire che un piatto tipico, un ingrediente che sia comune a tutta la regione, non esiste. Tratti distintivi della regione sono comunque l'uso del riso più che della pasta, del burro più che dell'olio, della carne, soprattutto suina, usata per insaccati (tra tutti il salame Milano e quello di Varzi), dei latticini. Molte sono infatti le varietà di formaggi come il bitto della Valtellina, lo stracchino, il gorgonzola, il grana, il mascarpone, il taleggio e i formaggi di montagna del bergamasco. Piatti tipici della regione sono i pizzoccheri, specialità valtellinese che consiste di una specie di fettuccine cotte con acqua e verdure, condite con formaggio e burro rosolato con salvia ed aglio. La “cassoeula”, piatto a base di verdure e carne di maiale (cotenne, costine e piedini), servita con polenta o purea di patate. La tortella di zucca, specialità mantovana di lunga Preparazione, tipicamente natalizia, a base di zucca e amaretti; vengono serviti conditi con burro e parmigiano. Il panettone, tipico dolce natalizio, conosciuto e diffuso ormai anche fuori d'Italia. Tra le varie specialità delle province possiamo ricordare ancora: a Milano, il risotto, le cotolette e l'osso buco alla milanese, il minestrone, la zuppa di ceci con tempia di maiale, preparate tradizionalmente per il 2 novembre; a Mantova la torta sbrisolona, dolce secco; nella zona dei laghi, l'ottimo pesce d'acqua dolce, soprattutto persico e trote; a Pavia, la zuppa pavese e il risotto alla certosina; nel bergamasco, la polente taragna; a Sondrio e nella Valtellina la bresaola, filetto di bue essiccato e servito con olio, limone e pepe (la bresaola si prepara anche con carni equine); nel cremonese, formaggi e salumi, la mostarda e, tra i dolci, il torrone.

 

Ricette

 

Antipasti

 

Paté di fegato:

Tempo di cottura: 10 minuti circa. Ingredienti, dosi per alcune persone: sale, 200 grammi di burro, 250 grammi di fegatini di pollo, pepe, 1 foglia di alloro, 1 bicchierino di Marsala secco, 250 grammi di fegato d'oca. Preparazione: dopo aver privato i due tipi di fegato della pellicina, tritarli finemente e metterli in una casseruola. A fuoco basso soffriggerli per pochi minuti insieme a 40 grammi di burro e all'alloro; regolare di sale e di pepe. Appena cotti, dopo aver tolto la foglia di alloro, passarli al setaccio per privarli dei filamenti. Ottenuta la crema, metterla in un recipiente con il restante burro e lavoratela con un cucchiaio di legno, inglobandovi poco per volta il vino Marsala. Versare il paté in una terrina e mettere in frigorifero. Servire dopo circa un'ora.

 

Primi piatti

 

Risotto alla milanese:

Tempo di cottura: 25 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: cipolle, 400 grammi di riso, sale, 100 grammi di burro, 50 grammi di midollo di bue, 1 bustina di zafferano, pepe, 1,5 lt. di brodo di carne, formaggio parmigiano grattugiato. Preparazione: spezzettare il midollo e metterlo in una casseruola con il burro e lo cipolla affettata sottile, far rosolare lentamente mescolando spesso. Aggiungere il riso e farlo tostare qualche minuto, unire un mestolo di brodo bollente e man mano che si asciuga unire altro brodo. Sciogliere lo zafferano in poco brodo e aggiungerlo al risotto. A cottura ultimata mantecare con il rimanente burro e il parmigiano grattugiato. Servire con altro formaggio a parte.

Bigoli con le sardelle:

Tempo di cottura: 15 minuti circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: sale, 1 spicchio d'aglio, olio d'oliva, 200 grammi di sarde; 400 grammi di bigoli. Preparazione: pulire e diliscare i pesci, poi lavarli bene e asciugarli. mettere sul fuoco una pentola con abbondante acqua salata e quando alzerà il bollore gettarvi la pasta. Mentre cuoce porre in un tegamino l'aglio schiacciato e l'olio; rosolare a fiamma minima, poi levare l'aglio, porre nel recipiente le sardine e spappolarle bene con una forchetta: Fare attenzione perché occorre cuocerle senza che l'olio abbia a friggere. Scolare i bigoli leggermente al dente e condirli con il sugo preparato. Mescolare e servire senza accompagnamento di formaggio parmigiano, come quasi tutti i primi piatti a base di pesce.

 

Malfatti:

Tempo di cottura: 20/25 minuti. Ingredienti, dosi per 4/6 persone: 1 cipolla piccola, 200 grammi di ricotta, sale, 600 grammi di spinaci, 3 uova, 150 grammi di burro, pepe, 250 grammi di farina bianca, noce moscata, 120 grammi di formaggio parmigiano grattugiato. Preparazione: pulire e lavare accuratamente gli spinaci, poi lessarli senza acqua. Dopo di che li avrete scolati, strizzateli bene e tritateli. Farli soffriggere in 30 grammi di burro insaporito dalla cipolla intera alla quale sarà stato praticato un taglio a croce, e poi tolta. Lasciare raffreddare. Unire agli spinaci la ricotta, metà del parmigiano, una puntina di noce moscata, 2 uova intere e 1 tuorlo, e 200 grammi di farina. Lavorare bene l'impasto, salarlo e peparlo, poi dividerlo in tanti gnocchetti della grossezza di una noce e passarli nella farina bianca. Lessarli per pochi minuti in abbondante acqua bollente e salata; quando i malfatti affiorano in superficie, scolarli e condirli con il rimanente burro fuso, e l'altra metà del formaggio grattugiato. Tenerli al caldo in forno per 5 minuti, per farli insaporire, quindi servirli subito affinché non perdano in bontà.

 

Piatti unici

 

Cassouela:

Tempo di cottura: 3 ore. Ingredienti, dosi per 4 persone: 1 kg. di cavolo verza, 1 cipolla, sale, brodo, burro, 3 coste di sedano, 600 grammi di costine di maiale, 150 grammi di cotenne, vino bianco, pepe, 2 carote, 300 grammi di salsiccia luganega, 4 salamin de verz, 1 piedino di maiale, 1 cucchiaio di salsa di pomodoro. Preparazione: spaccare per il lungo il piedino, fiammeggiarlo insieme alle cotenne, raschiare tutto bene per eliminare le setole. Poi lavare bene e tagliare le cotenne a listarelle. Metterle in acqua bollente e cuocerle per circa un'ora così che vengano sgrassate. In una capace casseruola soffriggere la cipolla tritata, appena comincia a dorare unire le costine, la luganega e i salamini, lasciare insaporire, quindi bagnare con il vino e far evaporare a fuoco moderato. A questo punto togliere le carni e nel fondo rimasto unire il sedano e le carote tagliate a fettine, aggiungere il sugo di pomodoro sciolto in poco brodo, aggiustare di sale e pepe e far cuocere a fuoco basso. Pulire la verza e lavare le foglie, tagliarle grossolanamente e metterle in una pentola ad asciugare con la sola acqua rimasta sulle foglie dopo il lavaggio, facendo attenzione che non si attacchino al fondo. quando saranno pronte aggiungerle alle altre verdure e mescolare, adagiarvi sopra la carne e continuare la cottura scuotendo leggermente la casseruola per far affiorare il sugo, continuare la cottura per circa un'ora. e' importante togliere il grasso superfluo che viene a galla. A fine cottura dovrà risultare abbastanza densa e leggermente collosa. Servire caldissima accompagnata da polenta.

 

Secondi piatti

 

Trippa alla milanese:

Tempo di cottura: 3 ore e 15 minuti circa. Ingredienti, dosi per 6 persone: 1 cipolla, sale, 1 kg. di trippa, brodo, 50 grammi di burro, 300 grammi di pomodori pelati, 1 costa di sedano, pepe, 3 di salvia, 1 carota, formaggio parmigiano grattugiato, 150 grammi di fagioli di Spagna. Preparazione: ammollare i fagioli per una notte. Lessare i fagioli in acqua fredda. Lavare la trippa e tagliarla a striscioline. in una casseruola soffriggere con il burro un trito di sedano, carota, cipolla e salvia. quando cominciano a dorare unire la trippa, mescolare e far assorbire l'acqua. unire i pomodori tagliati a pezzetti, aggiustare di sale e pepe e far cuocere per circa 2 ore. Bagnare di tanto in tanto con del brodo. Quindici minuti prima della fine cottura unire i fagioli sgocciolati, regolare di sale e pepe e lasciar insaporire. servire la trippa ben calda e cosparsa di parmigiano grattugiato.

 

Manzo alla Valtellinese:

Tempo di cottura: 4 ore circa. Ingredienti, dosi per 6 persone: sale, brodo, 100 grammi di burro, 1 kg. di polpa di manzo, pepe, 500 grammi di pomodori maturi, 400 grammi di cipolline. Preparazione: lavare i pomodori e tagliarli a metà privandoli dei semi; spolverizzarli con sale e pepe. Prendere la carne e su ogni fetta sistemare mezzo pomodoro; mettere poi una sull'altra tutte le fette di carne così preparate e legarle bene insieme con un filo incolore, come se fosse un polpettone. In una casseruola porre il burro spezzettato, sistemare nel recipiente la carne e farla cuocere a fuoco basso per 3 ore, unendo, se occorre, un po' di brodo. Trascorso questo tempo aggiungere le cipolline pelate e proseguire la cottura per 1 ora, sempre a fuoco moderato. Slegare la carne; disporre le sole fette (senza pomodoro) sul piatto di portata ben caldo e irrorarle con il loro sugo; completare il piatto aggiungendo le cipolline e i pomodori dopo aver tolto a questi ultimi la loro pelle che in parte si sarà già staccata durante la cottura. servire

 

Contorni

 

Cavolfiore al burro:

Tempo di cottura: 40 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: 1 cipolla, sale, 100 grammi di burro, prezzemolo, formaggio parmigiano grattugiato, 1 cavolfiore. Preparazione: lessare il cavolfiore in acqua bollente salata, scolarlo e dividerlo in tante cimette. tritare la cipolla e il prezzemolo e farli soffriggere in una pìrofila con il burro, quando la cipolla avrà preso colore aggiungere il cavolo e lasciar insaporire. Cospargere di parmigiano grattugiato, mettere in forno già caldo a 180° per 10 minuti circa. Servire.

 

Dolci

 

Torta sbrisolona:

Tempo di cottura: 1 ora circa. Ingredienti, dosi per 6/8 persone: 100 grammi di burro, 200 grammi di zucchero, 200 grammi di mandorle, 100 grammi di strutto, 250 grammi di farina bianca, 150 grammi di farina gialla, 1 limone, zucchero a velo, 2 tuorli d'uovo, vanillina. Preparazione: mettere le mandorle in acqua bollente, scottarle quindi pelarle e tritarle finemente. Passare la farina gialla al setaccio. versare sulla spianatoia la farina bianca e unire quella gialla, le mandorle, lo zucchero, la vanillina, la scorza di limone grattugiata ed i tuorli. Aggiungere lo strutto ed il burro ammorbidito, lavorare fino ad ottenere un impasto che non sia omogeneo ma che si sbricioli. Imburrare una tortiera e mettere in forno già caldo a 180° per circa un'ora. Sfornare, lasciare intiepidìre e spolverizzare con lo zucchero a velo.

 

Panettone alla milanese:

Tempo di cottura: 45 minuti. Ingredienti, dosi per 6/8 persone: sale, 1uovo, 180 grammi di burro, 70 grammi di  sultanina, 180 grammi di zucchero, 850 grammi di farina bianca, 100 grammi di lievito di birra, 4 tuorli d'uovo, 50 grammi di canditi a dadini. Preparazione: fare sciogliere in una ciotola con poca acqua tiepida il lievito e metterlo in una terrina con 100 grammi di farina; mescolare con la forchetta e lavorare rapidamente la pasta in modo da ottenere un panetto piuttosto morbido. Mettere il panetto in una piccola terrina leggermente infarinata e lasciare lievitare in ambiente caldo per 3 ore, coperto con un tovagliolo. Impastare poi il panetto con altri 100 grammi di farina e poca acqua tiepida e lasciare ancora lievitare nello stesso modo per altre due ore. Con la farina rimasta formare sulla spianatoia la fontana, mettere al centro il burro sciolto a lieve calore, lo zucchero, 4 tuorli, 1 uovo intero e un pizzico di sale. Lavorare con energia per circa 20 minuti o fino a quando si formeranno delle bollicine nella pasta, che dovrà essere ben soda. Aggiungere il composto lievitato e impastare il tutto fino a che la pasta si staccherà dalla spianatoia. Strizzare e asciugare l'uvetta, precedentemente ammorbidita in acqua tiepida, tagliare i canditi a dadini e unire tutto all'impasto lavorando ancora la pasta, in modo che gli ingredienti siano uniformemente distribuiti e l'impasto risulti soffice e lucido. Formare una pagnotta rotonda e non troppo alta, circondarla con una fascia di cartoncino, porla sulla placca da forno leggermente imburrata e farla lievitare in luogo caldo per altre 4 ore o fino a che avrà raddoppiato il suo volume. Poi con la punta di un coltello affilato fare un'incisione a croce sulla sommità della pagnotta, mettere al centro un fiocchetto di burro e passare in forno ben caldo (220°) per 45 minuti o fino a quando, infilando nell'impasto un ago da calza, questo uscirà perfettamente asciutto, e la crosta avrà assunto il tipico colore bruno leggermente bruciato. Lasciare raffreddare e servire.

 

 

 

Toscana

 

La regione degli antichi etruschi è una terra di forti tradizioni, caratterizzata da un grande attaccamento alla propria identità culturale. Il territorio, prevalentemente collinare, ha ampie zone pianeggianti e si affaccia sul Tirreno con una costa frastagliata. Molte sono le città d'arte e di rilevanza storica. Questo insieme fa della Toscana una delle principali mete turistiche italiane. Sono molti i prodotti tipici della regione: i vini, l'olio d'oliva, ì bovini di razza “chinina”, i polli del Valdarno, i funghi, il cinghiale della Maremma, i tartufi di san Miniato, e ancora carciofi, asparagi, cavoli neri, fagioli, formaggi. Da questa varietà di prodotti nasce una cucina schietta e semplice; i metodi di cottura usati sono quelli tradizionali della griglia, dei fritto e dell'arrosto. Accanto a questa semplicità, si muove la fantasia, che ha permesso la creazione di piatti originali, eleganti nella loro frugalità, tramandati fino ai nostri giorni. La cucina toscana è anche stata messaggera di cultura e civiltà in Europa, particolarmente nel Rinascimento, quando cuochi e prodotti toscani giunsero fino in Francia al seguito di Caterina de' Medici. La conformazione assai varia dei territorio determina un offerta molto assortita di specialità gastronomiche in ogni provincia. La zona di Massa Carrara, tra montagne e mare, risente degli influssi della cucina ligure, ma offre anche piatti originali come la polenta servita con lo stufato di capra. Nella lucchesia domina in ogni pietanza l'olio d'oliva; piatto particolare è la garmugia, a base di varie verdure; dolce tradizionale (fin dal 1458) è il buccelato, ciambella all'anice. Nella Garfagnana, si coltiva il farro, usato con i fagioli per preparare la tipica zuppa. Caratteristiche del pisano sono l'abbondanza di ortaggi, usati per minestre e sformati, e la pesca alla foce dell'Arno delle cèhe (ceche), piccole anguille che vengono preparate fritte. La cucina livornese è una cucina di mare, nota per le sue zuppe, come il caciucco, e per varie preparazioni in umido che prendono il nome dalla città (ad esempio triglie alla livornese). Nel grossetano sono i piatti di selvaggina, i salumi di cinghiale e i formaggi come il pecorino di montagna di seggiono o la ricotta a dominare le tavole; una zuppa speciale è l'acquacotta a base di pane raffermo abbrustolito e servito in un brodo fatto con acqua, aglio, pomodoro, funghi, cui vengono aggiunti uova e formaggio. Nella zona di Siena sono da ricordare i pici o pinci (specie di spaghetti tirati a mano), l'ottima produzione di pecorino delle crete e i dolci, noti ormai in tutto il mondo, come i ricciarelli e il panforte. Nel pistoiese sono prodotti tipici i funghi e le castagne, gli asparagi di Pescia e i "fagiolini di Sant'annd' lunghi e dal gusto aspro, insieme ai formaggi con i quali si mangiano i neccí, piccole schiacciatine di farina di castagne. Nella zona di Arezzo piatti tipici sono le pappardelle servite con sugo d'anatra e la scottiglia, stufato di origine medievale a base di vari tipi di carni (bianche e di selvaggina) servito con pane abbrustolito. La cucina fiorentina raccoglie in se tutte le cucine della regione. Moltissimi sono i piatti che possiamo ricordare: í crostini con fegatini di pollo, minestroni e zuppe come la ribbolita, risotti, grigliate di carne (la bistecca alla fiorentina di manzo chianino), tanti piatti di fagioli, all'uccelletto o al fiasco (cotti sulla brace del camino in un fiasco spagliato), o ancora piatti come l'arista, lombata del maiale arrosto, che secondo la tradizione fu servita la prima volta nel 1430 ai vescovi greci durante il consiglio ecumenico, che trovarono "aristos", cioè "la migliore" da cui il nome. Tra i dolci possiamo trovare varie specialità come lo zuccotto, a base di panna, i cenci e la schiacciata alla fiorentina, tipici di carnevale, i biscotti di Prato alle mandorle, il castagnaccio, preparato con la farina di castagne.

 

Ricette

 

Antipasti

Crostini di fegatini:

Tempo di cottura: 35/40 minuti. Ingredienti, dosi per 6 persone: 1 cipolla, sale, capperi, brodo, burro, 350 grammi di fegatini di pollo, vino bianco, pepe, pane casalingo, olio d'oliva. Preparazione: tritare la cipolla e farla imbiondire in 2 cucchiai d'olio e un poco di burro. Unire i fegatini tagliati, cuocere per circa 25 minuti bagnando con il vino. A fine cottura tritare tutto finemente, aggiungere i capperi e i filetti d'acciuga tritati, cuocere ancora unendo un po' di brodo, aggiustare di sale e pepe. Spalmare l'impasto su fettine di pane tostate e bagnate appena nel brodo.

 

Primi piatti

 

Acquacotta:

Tempo di cottura: 1 ora circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: 1 cipolla, 1 kg. di funghi porcini, 4 o 6 uova, aglio, 350 grammi di pomodori pelati, 1 cista di sedano, prezzemolo, formaggio pecorino grattugiato, 1 carota, olio d'oliva. Preparazione: Preparare il brodo vegetale con il sedano, la carota, la cipolla e i pomodori, il tutto tagliato a dadini e far cuocere per venti minuti. Tagliare i funghi porcini e farli trifolare con olio, aglio tritato, peperoncino e prezzemolo. Aggiungere i funghi al brodo vegetale, salare, pepare e portare e cottura. Qualche minuto prima di servire cuocere nella zuppa le uova 'in camicia'. servire in scodelle di coccio, spolverando di pecorino grattugiato.

 

Ribollita:

Tempo di cottura: 1 ora e 30 minuti circa. Ingredienti, dosi per 6 persone. 400 grammi di cavolo nero, 300 grammi di cavolo verza, 1 cipolla, sale, 2 spicchi d'aglio, 2 coste di sedano, pepe, 5 pomodori, 1 rametto di timo, 350 grammi di fagioli cannellini cotti, 1 porro, 2 carote, 1 bicchiere di olio d'oliva, 300 grammi di pane raffermo. Preparazione: in un grande tegame mettere a rosolare la cipolla e l'aglio tritato. Quando ha preso colore aggiungere il porro, il sedano e le carote, il tutto affettato molto finemente. Quindi unire i pomodori a pezzetti, il timo, i cavoli tagliati finemente, sale e pepe. Far appassire tutte le verdure. Prendere i fagioli metterne circa un quarto da parte e passare il resto. Aggiungere tutto il passato alla zuppa. Se necessario aggiungere acqua calda. Fare cuocere per circa un'ora. Quando sarà tutto pronto aggiungere i fagioli interi messi da parte; far cuocere ancora qualche minuto, la Preparazione dovrà risultare piuttosto liquida. Affettare il pane e sistemarlo sul fondo su due strati. Al momento di servire riscaldare a fuoco basso e con il coperchio. Servire con aggiunta di olio di oliva e pepe nero direttamente nei piatti.

 

Sformato di riso alla Toscana:

Tempo di cottura: 1 ora circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: 1 cipolla, 100 grammi di rigaglie, 400 grammi di riso, sale, 300 grammi di salsiccia, olio, brodo, burro, un bicchiere di vino bianco, pepe, 5 pomodori, formaggio parmigiano grattugiato. Preparazione: spellare la salsiccia e sminuzzarla, pulire e lavare le rigaglie, quindi tritarle grossolanamente. Mettere sul fuoco una casseruola con il burro, due cucchiai di olio e la cipolla tritata finemente, fare appassire leggermente la cipolla senza però lasciarla troppo colorire, quindi unire la salsiccia sminuzzata e le rigaglie; mescolare a lungo, poi bagnare con il vino bianco. Non appena il vino sarà evaporato unire i pomodori spellati e privati dei semi, fare cuocere leggermente poi unire il riso, lasciandolo rosolare per qualche minuto e mescolando sempre. quindi cominciare a versare il brodo bollente, e portare il riso e cottura completa aggiungendo man mano altro brodo non appena il precedente viene assorbito. Salare leggermente e pepare invece in abbondanza. Togliere il riso dal fornello, incorporarvi tre buone manciate di parmigiano e rovesciarlo in uno stampo rotondo con il buco centrale ben imburrato. Pressare leggermente il composto e metterlo in forno per cinque minuti. Quindi sfornare e rovesciare lo sformato sul piatto di servizio.

 

Secondi piatti

 

Bistecca alla Fiorentina:

Tempo di cottura: 6/7 minuti. Ingredienti, dosi per 2 persone: sale, olio, pepe, 1 kg. di bistecca completa di filetto e controfiletto. Preparazione: mettere la bistecca in un largo piatto, irrorarla con un filo d'olio, insaporirla con abbondante pepe macinato al momento e lasciarla marinare così per dieci minuti. Fare arroventare la griglia (sarebbe meglio usare la brace di legna), adagiarvi la bistecca e lasciarla cuocere tre o quattro minuti per parte; salarla un attimo prima di levarla dal fuoco e servirla subito, caldissima.

 

Cinghiale in salmì:

 

Tempo di cottura: 2 ore circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: 1 cipolla, sale, vino rosso, 2 spicchi d'aglio, 400 grammi di pomodori pelati, 1 costa di sedano, pepe, 200 grammi di olive nere, rosmarino, alloro, 800 grammi di polpa di cinghiale con cotenna, 1 carota, olio d'oliva. Preparazione: tagliare la polpa a pezzi, metterla in un tegame con il sale e far fare l'acqua per qualche minuto. In una casseruola rosolare il trito di cipolla carota, aglio, sedano, alloro e rosmarino. Aggiungere i pezzi di cinghiale scolati e farli colorire a fuoco vivace. Bagnare con 2 bicchieri di vino rosso, aggiustare di pepe e sale e cuocere lentamente. Quando il vino si sarà ritirato, unire i pomodori e portare a cottura versando del brodo o acqua se occorre, a fine cottura aggiungere le olive.

 

Trippa alla fiorentina:

Tempo di cottura: 1 ora circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: 1 cipolla, sale, 1 kg. di trippa, 1 bicchiere di vino rosso, 300 grammi di pomodori pelati, 1 costa di sedano, pepe, 1 carota, 1 carota, formaggio parmigiano grattugiato, olio d'oliva. Preparazione: far rosolare gli odori tritati finemente con 6 cucchiai d'olio d'oliva, aggiungere la trippa tagliata a striscioline e farla insaporire, aggiungere il vino rosso e farlo evaporare. Aggiungere i pomodori, aggiustare di sale e pepe, continuare la cottura per circa 40 minuti a fuoco basso. Servire bollente con il parmigiano a parte.

 

Triglie alla livornese:

Tempo di cottura: 30 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: sale, 4 triglie da 200 grammi, 2 spicchi d'aglio, 5 cucchiai d'olio, 1 costa di sedano, 2 cucchiai di prezzemolo, pepe, 2 cucchiai di farina bianca, 400 grammi di pomodori maturi. Preparazione: tritare insieme aglio e sedano, quindi spezzettare i pomodori. Mettere l'olio in un tegame, e unire il trito di aglio sedano e prezzemolo. Lasciare soffriggere a fuoco moderato per qualche minuto, poi unire i pomodori, sale e pepe e continuare la cottura, sempre a fuoco moderato, per 20 minuti. pulire i pesci, quindi lasciarli scolare e poi infarinarli leggermente. Quando i pomodori saranno a metà cottura, fare scaldare in una padella il restante olio e farli rosolare prima da un lato, poi dall'altro le triglie. Toglierle e sistemarle nella pirofila, in un solo strato, saldarle e peparle appena. Passare al setaccio il composto di pomodori, lasciando scendere il passato sulle triglie; unire il restante prezzemolo e lasciare cuocere per circa 10 minuti, girando le triglie una sola volta con molta delicatezza.

Dolci

 

Schiacciata alla Fiorentina:

Tempo di cottura: 30 minuti circa. Ingredienti, dosi per alcune persone: sale, uova, 80 grammi di zucchero, strutto, zafferano, 250 grammi di farina bianca, noce moscata, lievito di birra, arancia, zucchero a velo, 1 vanillina. Preparazione: mettere la farina in una zuppiera, aggiungere il lievito sciolto in acqua tiepida e lavorare con un cucchiaio cercando di ottenere un impasto abbastanza consistente. Lasciarlo riposare in un luogo tiepido coperto con un tovagliolo per un'ora circa, appena la pasta sarà lievitata aggiungere l'uovo, lo strutto (lasciare un poco per ungere la teglia), lo zucchero, la vanillina, una punta di zafferano, la scorza d'arancio grattata, un pizzico di noce moscata e uno di sale. Lavorare energicamente con un cucchiaio per almeno 10 minuti. Versare l'imposto in una teglia rettangolare unta con lo strutto, lo spessore della schiacciata deve essere di circa 2 cm. Lasciare riposare nella teglia per 2 ore avendo cura di coprirla con un tovagliolo. Mettere in forno già caldo (a 150°) per 30 minuti circa, sfornarla e farla raffreddare quindi imbiancarla con lo zucchero e velo.

 

 

 

Lazio

 

Le ricette laziali sono piuttosto semplici ed economiche, e forse per questo manca nel Lazio un vero e proprio capolavoro di culinaria. Il piatto simbolo di questa regione può essere considerato l'abbacchio, del quale vengono usate anche le interiora (o coratella) preparate talvolta con i carciofi. Le frattaglie trovano impiego come condimento della pasta (ad esempio i rigatoni con la pagliata, cioè parte dell'intestino dei vitelli di latte) o come secondo piatto (ad esempio la coda alla vaccinara, la trippa, i fagioli con le cotiche, ancora oggi sui menu di locali popolari). Lungo la costa è apprezzabile la cucina marinara. Per il resto troviamo piatti caserecci e campagnoli profumatissimi per le erbe e gli aromi di cui sono ricchi. Tra i piatti tipici della regione, particolare rilievo hanno, nella cucina romana, la salsa amatriciana, a base di guanciale e pecorino romano, secondo l'usanza di Amatrice, paese del Sabino che ne rivendica la paternità (anche se alcuni assegnano i natali di questa ricetta alla provincia dell'Aquila). Altri primi piatti tipici sono le fettuccine alla papalina, gli spaghetti all’arrabbiata o alla carbonara, i supplì di riso. Tra i piatti di carne troviamo i saltimbocca alla romana, fettine di vitello con prosciutto crudo e salvia, cotte in burro e vino per pochi minuti e servite con la salsa ottenuta, e le costolette di agnello scottadito, cotte sulla griglia. Altre specialità sono i fritti, come quello "alla romana", con animelle, cervello, schienali e carciofi; molto popolari sono anche i broccoli e le rape, insalatine di campo, come cicoria e rughetta, la lattuga romana, i carciofi. Una famosa ricetta è quella di origine ebraica dei carciofi alla “giudia” (chiamati alla ”giudia o anche alla “giudea” per il fatto che la punta del gambo la si taglia, o, se si vuole, la si circoncide come fanno i giudei con prepuzio degli appena nati), fatti dorare interi in olio. Tra i formaggi ricordiamo la ricotta, il pecorino e la tipica provatura (mozzarella) delle zone dell'agro pontino. La ricotta è usata anche per la preparazione di dolci e crostate; dolci di carnevale di origine antica sono le frappe e le castagnole, a base di pasta fritta.

 

Ricette

 

Antipasti

 

Costine alla provatura e alici:

Tempo di cottura: 30 minuti circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: sale, 150 grammi di burro, poco latte, pepe, pane casereccio affettato, 2 acciughe sotto sale, 300 grammi di mozzarelle. Preparazione: insaporire con sale e pepe la mozzarella dopo averla tagliata a fettine. Tagliare delle fette di pane della stessa grandezza di quelle di mozzarella. Infilare nello spiedo una fetta di pane e una di mozzarella fino a riempirlo: l'ultimo pezzetto sarà di pane. Il formaggio e il pane devono essere ben uniti. Calcolare uno spiedino a testa. Finito di preparare gli spiedini, porli in una teglia facendo in modo che il ferro dello spiedo rimanga appoggiato tra un bordo e l'altro della teglia: devono restare sospesi senza toccare il fondo del recipiente. Disporre la teglia in forno già caldo (200°) e tenerla per 20 minuti, pennellando ogni tanto gli spiedini con burro fuso. Soffriggere leggermente il restante burro insieme alle due alici (pulite e diliscate) facendole sciogliere. Aggiungere per allungare un po' di latte bollente e versare la salsa in un piatto di portata caldo. Servire subito.

Primi piatti.

 

Bucatini all'amatriciana:

Tempo di cottura: 30 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: sale, 250 grammi di pomodori pelati, peperoncino, olio d'oliva, 400 grammi di bucatini, formaggio romano o grana, 150 grammi di guanciale (ganascia di maiale). Preparazione: tagliare il guanciale a dadini. In una padella mettere un filo d'olio e farvi rosolare il guanciale a fuoco lento, quando sarà ben dorato toglierlo e metterlo da parte. Nello stesso olio aggiungere i pomodori sminuzzati e il peperoncino, aggiustare di sale e far cuocere per circa dieci minuti. A fine cottura aggiungere il guanciale e far insaporire. Nel fratTempo cuocere i bucatini in abbondante acqua salata. Scolarli al dente, condire con il sugo e spolverizzare con il formaggio; mescolare bene e servire.

 

Minestra tuscia:

Tempo di cottura: 30 minuti circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: 1 cipolla, 1 patata, sale, 1 spicchio d'aglio, 30 grammi di burro, 1 gambo di sedano, alcune foglie di basilico, 1 ciuffo di prezzemolo, 1 pomodoro maturo, 1 carota, formaggio parmigiano grattugiato, 1 zucchina, 50 grammi di semolino. Preparazione: affettare la cipolla, spuntare la zucchina, lavarla e tagliarla a listarelle. Tritare il prezzemolo, l'aglio il sedano e il basilico. Raschiare bene la carota, pelare la patata e grattugiarle tutte e due. Togliere la buccia al pomodoro e tagliarlo a cubetti. Mettere tutte le verdure in una pentola, aggiungere un litro di acqua e salare. Far cuocere da quando inizia a bollire per circa 15 minuti, a questo punto unire il semolino mescolando bene affinché non si formino i grumi, lasciar cuocere ancora quindici minuti. Togliere la minestra dal fuoco, unire il burro e 2 cucchiai di parmigiano grattugiato, mescolare bene e servire.

 

Spaghetti alla carbonara:

Tempo di cottura: 10 minuti circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: 150 grammi di pancetta, sale, 3 uova, aglio, 400 grammi di spaghetti, 3 cucchiai di formaggio pecorino grattugiato, pepe, 3 cucchiai di formaggio parmigiano grattugiato, olio d'oliva. Preparazione: far soffriggere in un largo tegame unto di olio la pancetta tagliata a dadini, unire uno spicchio di aglio schiacciato e levarlo quando sarà ben rosolato. rompere le tre uova intere in un piatto e sbatterle bene. Poi mettere a lessare gli spaghetti e scolarli al dente. A questo punto versarli nel tegame del soffritto, mescolare e togliere il recipiente dal fuoco. Aggiungere le uova sbattute, un po' di pepe nero, 1 cucchiaiata di parmigiano e 1 cucchiaiata di pecorino grattugiati. Mescolare affinché le uova si trasformino in una fluida crema gialla. Unire poi il restante formaggio, mescolare e servire.

 

Secondi piatti.

 

Abbacchio alla romana:

Tempo di cottura: 45 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: sale, aglio, aceto bianco, pepe, 1 rametto di rosmarino, 1 kg. di agnello (con coste e rognone), 2 acciughe sotto sale, olio d'oliva. Preparazione: tagliare l'agnello a pezzetti regolari. Soffriggere in una padella l'olio con 2 spicchi di aglio schiacciati, poi mettervi i pezzi di agnello e lasciarli a rosolare a fuoco moderato. Salare e pepare. Pestare nel mortaio le foglioline del rosmarino con le acciughe lavate e diliscate e mezzo spicchio di aglio, versare nel mortaio anche qualche cucchiaiata di aceto. Quando l'agnello sarà pronto versarvi sopra questa salsa, mescolare e aspettare che l'aceto evapori. Poi sistemare l'agnello cosparso di sugo in un piatto di portata scaldato e servire.

 

Coda alla vaccinara:

Tempo di cottura: 4 ore e 50 minuti circa. Ingredienti, dosi per 8 persone: 1 cipolla, 100 grammi di lardo, sale, 1 spicchio d'aglio, 1 sedano, prezzemolo, 30 grammi di strutto, 1 bicchiere di vino bianco, pepe, 1 carota, salsa di pomodoro, 2 kg. di coda e guancia di bue. Preparazione: fare un trito finissimo con prezzemolo, aglio, cipolla e carota. Poi tritare il lardo e tagliare la coda e la guancia a pezzetti, lavarli e immergerli in acqua in ebollizione. Quando l'acqua alzerà di nuovo il bollore togliere la carne. In una casseruola di terracotta mettere il lardo, lo strutto e il trito. Lasciare a soffriggere un istante e unire i pezzetti di carne, mescolare e rosolare fino a che la carne si colorisca. Salare, pepare e continuare a rosolare, bagnando poco per volta con il vino bianco. Quando questo sarà evaporato unire due cucchiaiate di salsa di pomodoro sciolta in mezzo litro di acqua calda. Coprire il recipiente e cuocere a fuoco bassissimo per circa 4 ore. A cottura ultimata aggiungere alla carne le coste del sedano a pezzetti e lasciare sul fuoco ancora mezz'ora. Mettere la carne sul piatto di portata coprendola con il suo sugo. Servire calda.

 

Salsicce con broccoletti:

Tempo di cottura: 20/25 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: sale, 450 grammi di salsiccia, 1 spicchio d'aglio, 800 grammi di broccoletti di rapa, strutto, pepe, peperoncino rosso piccante. Preparazione: soffriggere in un recipiente di coccio lo strutto con lo spicchio di aglio schiacciato e un pezzettino di peperoncino, unire poi le salsicce. aggiungere i broccoletti, puliti e lavati, coprire il recipiente e cuocere lentamente. Se è necessario bagnare, durante la cottura, con un po' di acqua o brodo, mescolando spesso. Togliere il peperoncino e servire.

 

Contorni.

 

Carciofi alla giudìa:

Tempo di cottura: 15 minuti circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: 8 carciofi, sale, pepe, 1 limone, olio d'oliva. Preparazione: pulire accuratamente i carciofi con un piccolo coltello a lama affilata tagliando le foglie esterne più dure in senso circolare fino ad arrivare alle foglie più chiare che sono le più tenere. Immergere i carciofi per qualche minuto in acqua acidulata con succo di limone. Scolarli, asciugarli bene e batterli per allargare le foglie. Condire con sale e pepe. Friggerli in abbondante olio ben caldo girandoli spesso perché si cuociano tutti bene. A cottura quasi ultimata spruzzarli con qualche goccia di acqua fredda per renderli più croccanti. Toglierli dalla padella, passarli su carta assorbente e servire subito.

 

Fave col guanciale:

Tempo di cottura: 15 minuti circa. Ingredienti, dosi per 6 persone: sale, 3 kg. di fave, olio, 1 bicchiere di brodo, pepe, 200 grammi di        guanciale (ganascia di maiale), 1 cipollina novella. Preparazione: in un tegame piuttosto largo soffriggere a fuoco basso l'olio con il guanciale di maiale a fettine, mescolare ed unire la cipolla intera, le fave sgranate, il sole, il pepe ed il brodo bollente. Cuocere a fiamma viva ed e recipiente coperto per 15 minuti circa, mescolando di tanto in tanto.

 

Dolci.

 

Budino di ricotta:

Tempo di cottura: 40 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: 500 grammi di ricotta, 5 uova, burro, 100 grammi di zucchero, farina bianca, 1 bicchierino di rhum, 30 grammi di cedro candito, 30 grammi di arancia candita, cannella in polvere, scorza grattugiata di limone. Preparazione: in una terrina mettere la ricotta, unire un uovo intero e 4 tuorli, mescolare bene, quindi aggiungere 2 cucchiai di farina, 60 grammi di zucchero, un pizzico di cannella, i canditi, la scorza di limone grattugiata e il rum. Amalgamare bene il tutto. montare a neve gli albumi e unirli al composto mescolando delicatamente. Imburrare uno stampo a pareti lisce, spolverizzarlo di farina e versarvi il composto (non deve superare la metà dello stampo). Mettere in forno a 160° per circa 40 minuti. A cottura ultimata toglierlo dal forno, lasciarlo raffreddare, levarlo dallo stampo e quindi spolverizzarlo con lo zucchero rimasto e un pizzico di cannella.

 

 

 

Sicilia

 

La cucina di questa regione è legata alle tradizioni del passato, in particolare modo alle dominazioni arabe e normanne, che hanno lasciato una grossa impronta su tutti gli aspetti della vita della popolazione locale. Prodotti tipici della regione sono gli agrumi (aranci, pompelmi, limoni, mandarini, ecc...), le verdure (soprattutto pomodori, zucchine, melanzane) e i prodotti della pesca. La pesca, nonostante la crisi provocata dai rischi di estinzione di alcune specie e dall'inquinamento delle acque è uno dei capisaldi dell'economia della regione: pesce azzurro, tonno, pesce spada e crostacei che arrivano sui nostri mercati, provengono in gran parte da queste zone. Non a caso, la base della cucina siciliana è rappresentata proprio dal pesce, preparato in vari modi, servito con aggiunta di erbe aromatiche o con pasta. Oltre al pesce ed alla pasta, sempre ben condita, un'altra specialità siciliana è rappresentata dalla pasticceria in genere, la cui base spesso è la pasta di mandorle. Piatti tipici della regione sono: tra i primi piatti, gli arancini di riso, la pasta con le sarde e la pasta 'ncasciata, specialità messinese preparata con fegatini di pollo, carne di vitella, melanzane, mozzarella e uova sode; a Catania troviamo la pasta alla Norma, con sugo di pomidoro, melanzane e ricotta salata; il nome deriva dall'opera lirica di Vincenzo Bellini, compositore catanese. Tra i piatti di pesce, la agghiotta di pesce spada, servita con uvetta, pinoli, olive verdi e capperi, ed accompagnata con fette di pane tostato; nel trapanese il pesce viene servito con il “couscous” di derivazione araba. Tra i dolci, i cannoli alla siciliana, un Tempo Preparazione tipica di carnevale ora in uso tutto l’anno. La cassata ed il torrone, detto "torrone di Sant'Agata", a Catania, dal nome della patrona della città.

 

Ricette

 

Antipasti

Caciu all'Argintera:

Tempo di cottura: 10 minuti circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: aceto, sale, 1 spicchio d'aglio, pepe, origano, olio d'oliva, 300 grammi di caciocavallo. Preparazione: tagliare il formaggio a fette alte circa un centimetro. In una padella mettere l'olio e far soffriggere l'aglio, unire le fette di formaggio, farle dorare appena e spruzzarle con l'aceto, quindi farlo evaporare. Spolverizzare con l'origano pepe e un poco di sale. Servire immediatamente.

 

Primi piatti.

 

Pasta alla Norma:

Tempo di cottura: 50 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: Sale, 2 spicchi d'aglio, 350 grammi di spaghetti, basilico, 600 grammi di pomodori maturi, olio d'oliva, 3 melanzane, 100 grammi di ricotta affumicata grattugiata. Preparazione: lavare le melanzane senza sbucciarle, spuntarle alle estremità e tagliarle e fette sottili, cospargerle di sale e lasciarle così per un'ora affinché perdono l'amaro. Sbucciare i pomodori ed eliminare i semi, quindi farli a tocchetti. In un'ampia padella far rosolare l'aglio schiacciato con l'olio, quando l'aglio comincia e prendere colore unire i pomodori e il basilico tritato. Aggiustare di sale e pepe, facendo cuocere per 15 minuti. Intanto lavare le melanzane eliminando il sale, asciugarle e quindi friggerle in abbondante olio dorandole bene. Un po' alla volta passarle su carta assorbente, aggiustarle di sale e pepe. Cuocere gli spaghetti in abbondante acqua salata. Scolare la pasta e versarla nella padella del sugo, spolverare con la ricotta, unire le melanzane, mescolare bene e servire.

 

Pasta con le sarde:

Tempo di cottura: 50 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: 1 cipolla, sale, 30 grammi di pinoli, 50 grammi di uva sultanina, 1 bustina di zafferano, pepe, 2 acciughe sotto sale, olio d'oliva, 300 grammi di bucatini, 400 grammi di sarde, 500 grammi di finocchietto selvatico di montagna. Preparazione: pulire le sarde, togliere la lisca e la testa lasciandole unite su un lato. pulire il finocchietto selvatico tenendone solo le cime; lavare bene e lessare in acqua leggermente salata per circa dieci minuti. scolare conservando il liquido di cottura e tritare le cimette grossolanamente. Mettere ad ammorbidire l'uvetta in poca acqua tiepida. Tritare finemente la cipolla, metterla in un recipiente abbastanza largo e coprirla di acqua, aggiustare di sale e far cuocere, aggiungere un poco di olio, la bustina di zafferano sciolta in poca acqua tiepida, i pinoli e l'uvetta strizzata. Cuocere il tutto e poi unire le sarde; dopo circa dieci minuti unire il finocchietto, sale e pepe. Continuare la cottura a fuoco moderato mescolando ogni tanto. A fine cottura unire le acciughe precedentemente dissalate, diliscate e spappolate a parte in un tegamino con poco olio. Far cuocere la pasta nell'acqua di cottura del finocchietto. Scolarla al dente e condirla con la salsa. Farla riposare qualche minuto e servirla.

Spaghetti al tonno:

Tempo di cottura: 20 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: 1 cipolla, sale, 2 cucchiai di capperi, olio, 300 grammi di pomodori pelati, 350 grammi di spaghetti, 1/2 bicchiere di vino bianco, pepe, 250 grammi di tonno fresco. Preparazione: tritare la cipolla e farla soffriggere con un poco di olio, quando comincia a prendere colore unire il tonno tagliato a tocchetti e farlo rosolare bene. Aggiungere il vino e far evaporare, quindi unire i pomodori, i capperi tritati, aggiustare di sale e pepe e far cuocere per circa 15 minuti. Mentre cuoce con la forchetta cercare di spappolare il tonno. Cuocere gli spaghetti e scolarli al dente condirli con il sughetto preparato. Mescolateli bene e serviteli.

Vermicelli alla siracusana:

Tempo di cottura: 40 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: sale, 1 spicchio d'aglio, basilico, formaggio pecorino grattugiato, olive nere, 300 grammi di pomodori maturi, 2 acciughe sotto sale, olio d'oliva, 1 melanzana, 1 peperone giallo, 1 cucchiaio di capperi sotto sale, 350 grammi di vermicelli (spaghetti). Preparazione: fiammeggiare bene il peperone quindi togliergli la pellicina ormai bruciata, dividerlo a metà, svuotarlo e tagliarlo a listarelle. Dissalare e diliscare le acciughe e farle a pezzetti. Tagliare a dadini i pomodori e la melanzana, snocciolare le olive, lavare i capperi e tritarli. In un tegame mettere l'olio, lo spicchio di aglio, le acciughe, le melanzane e i pomodori, far rosolare bene il tutto; quindi unire le olive, il basilico sminuzzato, il peperone, i capperi e aggiustare di sale. Continuare la cottura a fuoco moderato. Cuocere la pasta in abbondante acqua salata, scolarla al dente e condirla con il sughetto preparato e il formaggio grattugiato. Mescolare bene il tutto e servire.

 

Secondi piatti.

 

Agnello aggrassato:

Tempo di cottura: 1 ora circa. Ingredienti, dosi per 6 persone: 1 cipolla, sale, vino rosso, 3 spicchi d'aglio, Prezzemolo, 2 cucchiai di strutto, pepe, olio d'oliva, 50 grammi di caciocavallo, 1 kg. di spezzatino di agnello, 500 grammi di patate novelle, 50 grammi di pecorino siciliano. Preparazione: tagliare a velo la cipolla e farla soffriggere con l'olio, usando un largo tegame; quando inizierà a colorire unire lo strutto e appena si sarà sciolto mettere nel recipiente i pezzi di agnello. Tritare finemente il prezzemolo e metterlo sopra alla carne, aggiungendo gli spicchi di aglio tritato grossolanamente. Salare e quando l'agnello sarà leggermente colorito irrorarlo con mezzo bicchiere di vino rosso, lasciandolo evaporare. Pelare e lavare le patatine, tagliando ognuna in 4 spicchi; unirle alla Preparazione e coprire l'agnello con acqua calda, salando ancora e insaporendo con abbondante pepe. Cuocere a fiamma bassa per 40 minuti, fino ad avere la carne tenera e l'acqua quasi tutta evaporata. Aggiungere allora il pecorino a pezzetti e far cuocere ancora per 5 minuti; fuori dal fuoco cospargere con il caciocavallo grattugiato, mescolando velocemente. Il sugo di cottura deve risultare, alla fine, denso e consistente. servire subito.

 

Sarde a beccafico:

Tempo di cottura: 30 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: sale, 50 grammi di pinoli, 1 cucchiaino di zucchero,  prezzemolo, pepe, alloro, 100 grammi di pane grattugiato, olio d'oliva, 50 grammi di uvetta passolina, 750 grammi di sarde, succo di arancia o di limone. Preparazione: mettere l'uvetta ad ammorbidire in poca acqua tiepida. pulire le sarde, togliere la testa, la coda e la lisca centrale, aprirle a libro, sciacquarle ed asciugarle. In una padella con un poco di olio far dorare un cucchiaio di pangrattato, quindi metterlo in una scodella, aggiungere l'uvetta strizzata, i pinoli, lo zucchero, un poco di olio, il prezzemolo tritato, sale e pepe avendo cura di mescolare bene tutto. Distribuire il composto preparato su ogni sarda, quindi richiuderle avvolgendole bene in modo da formare un fogottino. Quando saranno tutte pronte sistemarle in una teglia da forno ben oliata alternandole con foglie di alloro, spolverizzare con il pane grattugiato e un filo d'olio. Cuocere in forno caldo a 180°  per circa venticinque minuti. Quando saranno pronte toglierle dal forno e irrorarle con il succo di limone o di arancia e servire.

 

Involtini di pesce spada:

Tempo di cottura: 25 minuti circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: sale, 1 cucchiaino di capperi, prezzemolo, formaggio pecorino grattugiato, succo di limone, alloro, peperoncino, 1 cucchiaio di salsa di pomodoro, pane grattugiato, origano, olio d'oliva, 10 olive verdi, 450 grammi di pesce spada tagliato a fette molto sottili, 100 grammi di ritagli di pesce spada. Preparazione: battere le fettine di pescespada. in una terrina unire il pane grattugiato, il pecorino, la polpa di pescespada sbriciolata, i capperi, le olive e il prezzemolo tritati, la salsa di pomodoro, sale, olio e peperoncino, avendo cura di mescolare bene il tutto. Su ogni fettina di pesce mettere un poco del composto preparato e arrotolare le fette formando degli involtini. Realizzare degli spiedini alternando un involtino a foglie di alloro. Cuocere sulla brace bagnando con una salsina composta da olio, succo di limone, sale, origano e pepe. Servire caldi.

 

Contorni.

 

Melanzane ripiene:

Tempo di cottura: 1 ora e 10 minuti circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: 1 cipolla, sale, basilico, pepe, 500 grammi di pomodori, 2 o 3 acciughe sotto sale, olio d'oliva, 500 grammi di melanzane, 50 grammi di caciocavallo, 1 cucchiaino di capperi sotto sale. Preparazione: pelare e privare dei semi i pomodori, poi tritarli finemente. Far dorare la cipolla finemente affettata nell'olio, unire i pomodori e procedere come per una normale salsa. lavare le melanzane ed incidere la loro polpa a spicchi lasciando intera la base, spolverizzarle di sale e capovolgere le melanzane su una gratella, lasciandole sgocciolare così per un'ora o due affinché emettano la loro acqua amarognola, trascorso questo Tempo lavarle e asciugarle. Dissalare e diliscare le acciughe, tagliarle a pezzetti e stemperarle nella salsa di pomodoro; unire i capperi lavati e tritati, qualche foglia di basilico e un pizzico di sale e di pepe. Far restringere bene il sugo, poi levarlo dal fuoco e unire il formaggio ridotto a piccolissimi pezzetti. Mescolare e distribuire il composto tra uno spicchio e l'altro di melanzane, che già saranno state collocate in una teglia. irrorarle abbondantemente di olio e mettere in forno già caldo a 160°; e metà cottura capovolgere le melanzane. si servono sia calde che fredde.

 

Cazzilli:

 

Tempo di cottura: 50 minuti circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: 500 grammi di patate, sale, 2 uova, 25 grammi di burro, prezzemolo, 25 grammi di formaggio pecorino grattugiato, pepe, farina bianca (poca), olio di semi per friggere, pane grattugiato, 25 grammi di caciocavallo, 25 grammi di prosciutto cotto. Preparazione: lavare le patate senza pelarle, metterle in una casseruola, coprirle di acqua fredda e farle cuocere per circa 30 minuti da quando cominciano a bollire. Tritare intanto il prosciutto cotto e un ciuffo di prezzemolo, poi tagliuzzare finemente il caciocavallo. Scolare le patate, pelarle e passarle allo schiacciapatate raccogliendo le purea in una casseruola. unire, quindi, i tuorli mescolando rapidamente e con energia. mettere il recipiente su fuoco basso e incorporare al composto di patate il burro ammorbidito, a pezzettini, e il sale, quando il burro si sarà sciolto, ritirare il recipiente dal fuoco ed unire al composto il pecorino grattugiato, il prosciutto cotto, il prezzemolo e il caciocavallo. Aggiustare di sale e pepare abbondantemente. Appena tutto sarà freddo preparare con il composto dei cilindretti lunghi circa 5 cm. leggermente schiacciati. infarinarli, passarli negli albumi poco sbattuti e salati e infine nel pangrattato. Friggerli pochi per volta nell'olio, poi scolarli, passarli su carta assorbente e tenerli in caldo mentre friggono gli altri. Servire subito.

 

Dolci

 

Cassata siciliana:

Tempo di cottura: nessuno. Ingredienti, dosi per 8 persone: 600 grammi di ricotta, 20 grammi di pistacchi, 190 grammi di zucchero, 125 grammi di cioccolato fondente, 40 grammi di zucchero a velo, acqua di acqua di fiori d'arancio, 1/2 cucchiaino di cannella in polvere, 1 pan di Spagna rotondo di 24 cm., 200 grammi di canditi a dadini, 200 grammi di frutta candita mista, 1 baccello di vaniglia, 4 cucchiai di gelatina di albicocche, 1 dl. di liquore maraschino. Preparazione: incidere il baccello di vaniglia nel senso della lunghezza, metterlo in una casseruola con lo zucchero semolato e qualche cucchiaio di acqua e cuocere finché lo zucchero si sarà sciolto. Mettere la ricotta in una terrina e con una frusta a mano lavorarla energicamente finché sarà soffice e ben montata, poi unire a filo lo zucchero sciolto. Incorporare quindi il cioccolato grattugiato grossolanamente, i canditi a dadini, 2 cucchiai di maraschino, i pistacchi e la cannella. Tagliare il pan di Spagna a fettine dello spessore di 1 cm.: con una parte di esse rivestire internamente una teglia del diametro di 24 cm. foderata di carta oleata, spennellarle di maraschino, versare sopra il composto di ricotta e coprire con il pan di Spagna rimasto. Passare lo stampo in frigo per 2 ore, poi sformare la cassata su un piatto da portata e spennellarla con la gelatina sciolta a bagnomaria. Mescolare lo zucchero a velo con acqua di fiori d'arancio sufficiente a ottenere un composto di media densità e incorporarvi qualche goccia di colorante alimentare verde. Versare la glassa ottenuta sul dolce e livellarla con una spatola, coprendo anche i bordi. Decorare con la frutta candita e lasciare che la glassa si rapprenda prima di servire.

 

Gelatine all'arancia:

Tempo di cottura: 15/20 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: olio, 200 grammi di zucchero, foglie di menta, 1/2 di succo di arancia, 4 fogli di gelatina, 4 cucchiai di liquore all'arancia, panna montata. Preparazione: portare a ebollizione mezzo bicchiere di succo d'arancia. togliere il recipiente dal fuoco, aggiungervi la gelatina prima ammorbidita in acqua e sgocciolata e farla sciogliere mescolando. Unire lo zucchero, ancora mezzo bicchiere di succo d'arancia e rimettete sul fuoco mescolando di tanto in tanto: spegnere prima che il liquido riprenda il bollore. Aggiungere il succo di arancia rimasto e il liquore: filtrare il tutto attraverso un colino foderato internamente con una garza e lasciare intiepidire. Distribuire il miscuglio in 4 stampini ad anello individuali (circa 12 cm. di diametro) leggermente unti d'olio, farli raffreddare completamente e metterli in frigo per circa 2 ore. Sformare le gelatine nei piatti individuali e decorare con delle foglie di menta e la panna montata.

 

Biancomangiare:

Tempo di cottura: 15 minuti circa. Ingredienti, dosi per 6 persone: 170 grammi di zucchero, 1 bicchiere di latte, 250 grammi di mandorle, 1 limone, 1 stecca di cannella, 100 grammi di amido di mais. Preparazione: frullare per 2 minuti le mandorle con 1 litro d'acqua fredda, filtrare attraverso un colino a trama fitta e mescolare il liquido ottenuto con il latte, lo zucchero e l'amido di mais. trasferire il tutto in una casseruola, aggiungere la scorza del limone e la cannella e cuocere a fiamma media mescolando fino a ottenere una crema densa. spegnere il fuoco, eliminare la scorza del limone e la cannella e distribuire il composto in 6 stampini del diametro di 8 cm., bagnati d'acqua. Lasciare raffreddare e metterli in frigo fino al momento di servire.

 

 

 

Sardegna

 

In Sardegna è difficile individuare una cucina regionale, perché ogni paese, ogni città, ha una sua tradizione specifica: d'altra parte spesso la stessa specialità può essere indicata con nomi diversi. I piatti sono cucinati con grande pazienza, in modo assai semplice e rustico, ma sempre genuino. Caratteristiche risorse di questa regione sono la pastorizia e l'allevamento dei suini, che caratterizzano la gastronomia più dei prodotti della pesca, nonostante la notevole estensione delle coste. Il più interessante prodotto locale è il capretto. Piatti forti della cucina sarda sono anche le paste, le carni di agnello e di maiale, e i formaggi, soprattutto il pecorino, che viene preparato in piccole forme con diversi tempi di stagionatura, ottenendo prodotti di grande nome come il "fiore sardo". Anche la cacciagione (cinghiale, capriolo, lepre, tordi, beccacce) e la fauna ittica (pesci e crostacei) offrono una vasta gamma di prodotti, adatti a soddisfare i gusti più raffinati. La cucina di mare ha, fra i suoi prodotti più rinomati, la bottarga, di muggine o di tonno, e le aragoste. I dolci tradizionali sono tutti di piccole dimensioni e di pasta secca. In alcuni di questi è usata la sapa, cioè il mosto cotto. Piatti tipici della regione sono la carta musica: sfoglia sottile di pane per la quale occorrono pochi minuti di cottura; si adatta sia ad essere conservata che ad essere usata per preparare varie minestre. “is malloreddus”, forse il piatto più noto della cucina sarda. Si tratta di gnocchetti preparati con farina, acqua e zafferano e fatti asciugare per almeno due giorni prima della cottura. Angiolottus o Culingiones: ravioli serviti con pecorino o pomodoro. “Sa corda”, treccia di intestini di latte cotti interi allo spiedo, in graticola, o in forno con patate. Porceddu: piccoli maialini di latte cotti interi allo spiedo o secondo la tradizione in una buca scavata nel terreno e poi ricoperta con brace e mirto.

 

Ricette

 

Primi piatti

 

Malledoreddus al sugo o gnocchetti sardi:

Tempo di cottura: 50 minuti circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: 1 cipolla, sale, 50 grammi di salsiccia, basilico, 3 cucchiai di formaggio pecorino grattugiato, pepe, 500 grammi di pomodori, olio d'oliva, 280 grammi di malloreddus. Preparazione: mettere in un tegame l'olio con la cipolla tritata, la salsiccia spellata e sminuzzata, il basilico spezzettato e l'aglio schiacciato: rosolare bene, aggiungere la polpa dei pomodori tagliata a dadini, salare, pepare e proseguire la cottura per circa mezz'ora a fuoco basso. Nel frattempo cuocere i malloreddus in abbondante acqua bollente leggermente salata, scolarli al dente, condirli con il sugo preparato e spolverizzarli con il pecorino.

 

Mazzamurru:

Tempo di cottura: 20 minuti circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: 1 cipolla, sale, basilico, 500 grammi di pomodori, olio d'oliva, 150 grammi di pecorino sardo grattugiato, pane di semola raffermo. Preparazione: tritare finemente la cipolla e soffriggerla in poco olio d'oliva, unirvi poi i pomodori passati al setaccio e far cuocere per circa 20 minuti quindi unire il basilico tagliuzzato. Tagliare a fette il pane di semola e tuffarle in acqua bollente salata, estrarle con un mestolo forato, sgocciolarle bene e sistemarle a strati in una terrina alternando ogni strato con il sugo di pomodoro e con il formaggio pecorino. Prima di servire lasciare che il pane assorba un po' di condimento.

 

Culingionis o ravioli di magro:

Tempo di cottura: 1 ora circa. Ingredienti, dosi per 4 persone: sale, 7 uova, burro, zafferano, formaggio pecorino grattugiato, pepe, farina bianca, noce moscata, salsa di pomodoro, 400 grammi di semola, 500 grammi di pecorino fresco, 300 grammi di bietole o spinaci. Preparazione: preparare la pasta con la semola, le 4 uova e un pizzico di sale, se riuscisse troppo soda unire un po' d'acqua. fare poi con la pasta una palla, avvolgerla in un tovagliolo e lasciarla riposare. Lavare bene le bietole e lessarle con la sola acqua rimasta aderente dopo il lavaggio, salarle. Appena cotte toglierle dal fuoco, strizzarle e tritarle. Preparare il ripieno dei ravioli: grattugiare il pecorino fresco, metterlo in una scodella e mescolarvi le bietole, le tre uova intere e un cucchiaio di farina. Salare, pepare e insaporire con noce moscata e un pizzico di zafferano. Prendere la pasta e stendere la sfoglia, poi preparare dei ravioli quadrati della grandezza di cm. 4 di lato riempirli con il ripieno e richiuderli sigillando bene i bordi. Farli lessare in abbondante acqua salata; a cottura avvenuta scolarli delicatamente, versarli in una terrina e condirli con sugo di pomodoro e abbondante pecorino grattugiato.

 

Secondi piatti

 

Anatra al mirto:

Tempo di cottura: 50 minuti circa. Ingredienti, dosi per 6 persone: 1 cipolla, sale, 1/2 costa di sedano, 1 mazzetto di prezzemolo, pepe, 1 carota, 1 anatra di kg. 1,200, frasche di mirto. Preparazione: mettere in una capiente pentola dell'acqua fredda, unire l'anatra già pulita e aromatizzare con carota, sedano, cipolla e prezzemolo. Salare e lasciare bollire. Quando è cotta scolarla e disporla in un recipiente ampio e basso, spolverizzare di sale e pepe e rivestirla di frasche di mirto. Coprire con un coperchio e far riposare il tutto per 3 - 4 ore. Servirla fredda tagliata e pezzi.

 

Coietas o involtini alla sarda:

Tempo di cottura: 20 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: 1 cipolla, 100 grammi di lardo, sale, aglio, prezzemolo, olio d'oliva, 8 fettine di manzo. Preparazione: con il batticarne appiattire le fette di carne. Fare un trito finissimo con il lardo, aglio e prezzemolo e mescolare bene. Spalmare il composto sulle fettine, arrotolarle e chiuderle con degli stecchini. Mettere gli involtini in una casseruola con dell'olio e far rosolare bene, a metà cottura aggiungere un mestolo di brodo caldo e aggiustare di sale. Servire ben caldi.

 

Aragosta arrosto:

Tempo di cottura: 15 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: sale, prezzemolo, 1 limone, olio d'oliva, 1 aragosta di 1 kg., pane di semola grattugiato. Preparazione: tagliare e metà, per lungo, l'aragosta cruda, togliere la coda dal suo guscio, poi metterla in una teglia, irrorarla con olio, prezzemolo tritato e succo di limone: salare e cospargere con un cucchiaio di pane grattugiato. mettere il recipiente in forno a 180° e cuocere per circa 15 minuti. Appena la coda sarà cotta affettarla, disporla su un piatto di portata e servirla subito ben calda.

 

Ghisau:

Tempo di cottura: 1 ora e 15 minuti circa. Ingredienti, dosi per 6 persone: 1 cipolla, 600 grammi di patate, sale, 1 kg. di polpa di manzo, pepe, 250 grammi di pomodori, 3 mestolini di brodo di carne, olio d'oliva. Preparazione: fare a pezzetti la polpa di manzo e le patate. Soffriggere in un ampio tegame l'olio con la cipolla e appena è dorata aggiungere la carne. Farla rosolare e unire la polpa dei pomodori passata al setaccio e le patate. Versare il brodo, salare, pepare e continuare la cottura e fuoco basso. Se il sugo si addensa troppo unire qualche goccia di brodo. Servire caldissimo.

 

Contorni.

 

Piselli allo zafferano:

Tempo di cottura: 30 minuti circa. Ingredienti, dosi per 6 persone: 2 cipolle, sale, 1 mestolo di brodo, 1 cucchiaio di zafferano, pepe, 600 grammi di piselli freschi, olio d'oliva. Preparazione: innanzitutto preparare del buon brodo nel quale si scioglie lo zafferano. Poi fare un trito di cipolla e rosolarlo nell'olio. Appena è dorato unire i piselli, salare e pepare. Far cuocere dolcemente e mescolare spesso aggiungendo il brodo precedentemente preparato. Porre il coperchio sulla pentola e terminare la cottura fino a che il brodo si asciughi. Servire caldo.

 

Pomodori ripieni di uovo:

Tempo di cottura: 10 minuti circa. Ingredienti, dosi per 6 persone: 2 bicchieri di aceto, sale, 7 uova, basilico, pepe, 6 pomodori tondi, pane grattugiato, olio d'oliva. Preparazione: versare in una casseruola dell'acqua salata, unire mezzo bicchiere di aceto di vino e portare a ebollizione. Spaccare quindi 6 uova e depositarle nel bollore per cuocerle in camicia. Appena pronte toglierle e metterle a raffreddare. Prendere dunque i pomodori, privarli della pelle, tagliarli a metà e togliere i semi. condirne una metà con sale e pepe, adagiarvi l'uovo, spolverizzare con basilico tritato e ricoprire con l'altra metà. Adesso passare nell'uovo sbattuto i pomodori così preparati e cospargerli di pangrattato. Metterli a friggere per 5 minuti in olio bollente, asciugarli su fogli di carta assorbente e servirli caldi.

Dolci

 

Gueffus:

 

Tempo di cottura: 1 ora circa. Ingredienti, dosi per alcune persone: 300 grammi di zucchero, 500 grammi di mandorle, 3 cucchiai di acqua di fiori d'arancio. Preparazione: scottare le mandorle in acqua bollente e spellarle. Farle asciugare e pestarle fino a ridurle in farina. In un tegame sciogliere 200 grammi di zucchero con un piccolo bicchiere di acqua e 3 cucchiai di acqua di fiori d'arancio, mescolare fino a che si otterrà uno sciroppo limpido e trasparente. Adesso unire la farina di mandorle, mescolare a lungo e lasciare cuocere. togliere dal fuoco e fare raffreddare. Appena il composto è tiepido formare delle palline, rotolarle nello zucchero e lasciarle raffreddare completamente. A questo punto avvolgerle in foglietti di carta stagnola e poi in uno di carta velina. Richiudere alle estremità come se si confezionassero caramelle e con le forbici sfrangiarne i bordi. I gueffus si conservano a lungo in scatole di latta o in vasi di vetro.

 

Torta di ricotta:

Tempo di cottura: 20 minuti circa. Ingredienti, dosi per 6/8 persone: 300 grammi di farina, 300 grammi di ricotta, 3 uova, burro, 300 grammi di zucchero, zucchero a velo, lievito in polvere, scorza grattugiata di limone. Preparazione: mescolare lo zucchero insieme alla ricotta, aggiungere 3 tuorli d'uovo e, continuando a mescolare, unire la farina, la scorza di limone ed il lievito. Montare quindi gli albumi a neve e aggiungerli piano pino al composto precedente. Imburrare la tortiera, mettervi il composto e infornare a 180° per circa 20 minuti. Appena la torta raggiunge un colore dorato sfornarla e lasciarla raffreddare. Poi rovesciarla sul piatto di portata e imbiancarla con zucchero a velo.

 

Suspirus:

Tempo di cottura: 30 minuti. Ingredienti, dosi per 4 persone: 200 grammi di zucchero, 200 grammi di mandorle, farina bianca (poca), 2  albumi, 1 bustina di vanillina. Preparazione: immergere in acqua in ebollizione le mandorle, poi pelarle e tritarle finemente. Montare a neve ben soda i due albumi, quindi unire ad essi lo zucchero, la vanillina e le mandorle, mescolando delicatamente fino a quando il composto risulterà ben legato. Disporre l'impasto a cucchiaiate su una placca infarinata, distanziando i "suspìrus" tra loro perché cuocendo si gonfiano. Infornare a calore moderato (160°) e, quando i dolcetti avranno preso un bel colore dorato, sfornarli e lasciarli raffreddare, poi servirli.

 

 

 

Martedì 25 marzo 2003, diciottesima lezione: terza di galateo a tavola.

 

L'attesa tesina di cui alla lezione del 7 marzo è diventata, per le cure della gentile dottoressa Oliveri e le premure dell'ingegnere Bonsangue, una vera e propria dispensa, preziosa non meno delle altre o forse di più se consideriamo la necessità che tutti ne abbiamo. La dottoressa Oliveri con l'eleganza e il bello stile che l'adornano vi ha riversato gran parte delle cose che ci ha detto sull'arte della 'mise “en place” e sui corretti comportamenti di chi offre un pranzo e di chi ne profitta.

Ne riporterò l'indice, e niente di più, parendomi indiscreto appropriarmi, senza altra fatica che quella del fotocopiare, del bagaglio d'una cultura che alla elegantissima e compitissima signora Michela chissà quanto studio e quanta applicazioni sono costati. Mi viene in mente quella pagina del Gattopardo di Lanza di Tomasi nella quale il vecchio principe Fabrizio al fine di giustificare le ragioni della sua debolezza innanzi alla splendida dissolutezza del giovane Tancredi pazientemente spiega alla moglie che per fare "quel Tancredi, proprio quel Tancredi che tanto amiamo e non un Tancredi diverso", i suoi antenati s'erano dovuti mangiare dieci o undici patrimoni.

Lasciamo alla bella Michela i suoi indissoluti patrimoni di sobrietà ed eleganza ed accontentiamoci dell'indice:

 

Saper stare a tavola:

Sedersi a tavola

Contegno del commensale

Tovagliolo

Inizio del pasto

Posate

Cucchiaio

Forchetta

Coltello

Bicchiere

Coppa lavadita

Sale e pepe

Pane

Piatto

Come servirsi

Come versare da bere

Burro

Minestra

Salsa

Formaggio

Dolci

Stuzzicadenti

Fumare

Brindisi

Dopo pranzo

Suggerimenti vari

 

Come si mangiano alcuni cibi:

Spaghetti    

Ostriche

Caviale

Melone

Pompelmo

Paté

Aragosta

Pesce

Ossi

Uccelletti

Lumache

Uova

Insalata

Legumi

Asparagi

Carciofi

Frutta cruda

Noccioli e semi

Banana

Fragole e lamponi

Uva

Arancia

Fichi freschi

Pere, mele, pesche

Ananas

 

Pranzo importante:

Numero invitati

Tavola tovaglia

Apparecchiatura

Decorazione e centro tavola

Piatti

Argenteria

Coperto

Bicchieri

Caraffe e bottiglie

Credenza

Illuminazione

Abito da indossare

Arrivo degli ospiti

Posti a tavola

Segna posti

Posti d'onore

Menù

Errori da evitare

Minestra

Le altre portate

Ripassare le portate

Pane

Insalata

Prima del dolce

Formaggio

Dessert

Presentazione dei piatti

Brindisi

Vini

Pranzo e champagne

Presentazione dei vini

Come servire i vini

Comportamento a tavola

Caffè

Liquori

Fumare

Dopo pranzo

 

Pranzo tra amici:

Orario

Vini

Apparecchiatura

Presentazione dei piatti

Le sigarette

Servizio senza personale

I doveri del pranzo

Caffè

 

Al ristorante:

Comportamento

Da non fare

Chi invita

Chi è ospite

 

Questa ricchezza non mi appartiene, non l'ho creata io. Per cui non ritengo di avere il diritto di disperderla al vento dell'hertz, non comunque senza il consenso e l'autorizzazione della dottoressa Oliveri e dell'ingegnere Bonsangue. A mi obiettasse che con le ricette l'ho fatto abiettamente e senza obiezioni risponderei che l'ho fatto perché la ricetta oggi come oggi è un articolo super inflazionato di cui le edicole e le trasmissioni televisive d'ogni mattina traboccano. Invece questo galateo, che dell'impeccabile allure della signora Michela è la colta matrice, è un qualcosa di unico e, visti i risultati, di assolutamente speciale. Se la conosceste ne converreste.

Tuttavia non voglio essere scortese con chi fedelmente mi ha seguito fino a questa penultima lezione. Si può essere virtuosi per colmo di virtù ma lo può essere anche per assenza di vizi. Perciò vi elenco, amici, dieci errori che a tavola, luogo di intense perdizioni ("Gli italiani sanno brandire soltanto due stendardi: la tovaglia e il lenzuolo", dice Roberto Gervasi), dovete assolutamente evitare di fare.

 

1): Non dite mai, a inizio di pasto, "buon appetito" e se qualcuno starnutisce non ditegli    "salute";

2): Non intingere pezzetti di pane o biscotti nel tè o nel caffè;

3): Quando vi riempiono il bicchiere non prendetelo mai in mano, non sollevatelo, non avvicinatelo  alla bottiglia e non dite mai "basta";

4): Non fissatevi a guardare la limpidezza di un bicchiere o la marca della porcellana:

5): Non servite mai a cena gli antipasti;

6): Non servite mai a pranzo minestre e brodi;

7): Non toglietevi mai la giacca ed evitate di sbottonarla se prima non vi siete seduto;

8): Non chiedete mai il bis se non siete espressamente invitati a farlo;

9): Non prendete più di un primo, di un secondo col contorno e della frutta se non siete espressamente invitati a farlo;

10): Se nel piatto c'è qualcosa che non va chiedetene il cambio al cameriere senza spiegargli il motivo;

 

 

E’ stata una serata amorevole e festosa; si sentiva che stiamo inclinando a finire. Le parole della dottoressa Oliveri ci arrivavano sul cuore come il vento di favonio nei fiori di campo. Provvida e felice è stata l'idea dell'ingegnere Milazzo, un uomo che ha felicemente navigato per tutti i mari e in tutte le stagioni, di far coniare delle targhe elogiative che nel corso del "Gran Gala" i partecipanti del 2° corso consegneremo al direttore del corso e ai relatori. Che disdetta il non poterci essere!

Venerdì intanto ci diremo addio brindando con un bottiglione di champagne dell'ingegnere Milazzo, uomo di inesauribili effervescenze. 

 

 

 

Mercoledì 26 marzo 2003: visita guidata allo stabilimento Averna di Caltanissetta.

 

Dove si produce quell'Amaro Averna il cui gusto maschio e morbido molce il cuore ai siciliani emigrati e rende corrivi e irsuti quelli che non si decidono a farlo. I bar e le caffetterie di Svizzera e della Germania ne sono pieni, e m'ha stupito l'averne scorto anche in dei bar di Danimarca. L'Averna è l'unica impresa di Caltanissetta che sia nota all'estero, ma con la città non ha mai legato. Tant'è che la proprietà da tempo si è spostata a Milano lasciando qui solo la linea produttiva dell'amaro, sulle cui bottiglie la scritta "Caltanissetta" tuttavia si rimpicciolisce sempre di più.

Si tratta comunque di un'azienda importante, molto bene attrezzata e capace di una rilevante produzione. La famiglia Averna negli ultimi anni ha diversificato la produzione acquisendo e rilanciando dei marchi illustri un po' declassati quali la Pernigotti, la Sperlari e, per i vini i liquori e gli spumanti, la Villa Frattina e stringendo degli importanti accordi commerciali con alcuni marchi stranieri. 

Della visita non posso dire un granché, perché, assordato dal clangore delle macchine, stordito dagli effluvi alcolici, intontito dal profumo del caramello, confuso col gruppo nelle strettoie, non aiutato dall'imbonitore che aveva una dannata fretta di concludere e andarsene, poco ho capito. Però m'è parso di capire che sono in grado di imbottigliare in un'ora fino a 16 mila bottiglie, che solo qui a Caltanissetta l'anno scorso hanno prodotto e venduto 7 milioni e mezzo di litri di amaro, in circa - facendo due righe di conti - 13 milioni di bottiglie.

Opportunamente, nel pistolotto di cortesia, l'ingegnere Bonsangue ha definito l'azienda "modernamente artigianale". Si tratta di un audace ossimoro che solo il nostro fervido ingegnere poteva inventare; in realtà l'azienda si è biecamente taylorizzata e si fregia d'una meccanizzazione di prim'ordine, tant'è che a libro paga ora tiene non più di una ventina di operai e qualche alchimista.

 

 

 

Venerdì 28 marzo 2003, diciannovesima e ultima lezione: quinta di gastronomia.

 

Doveva esserci il gran botto e non c'è stato; è finita come la sinfonia degli addii di Haydn, ove dopo l'attacco del tumultuoso finale, espressione di gioia e serenità, il movimento veloce all’improvviso si tronca ed inizia un malinconico "adagio", durante il quale ad uno ad uno, i singoli strumentisti, terminata la parte, depongono lo strumento, spengono la candelina che arde sul leggio e lasciano la sala, così che nella sala semibuia a poco a poco il direttore resta solo con due violini, fino a quando anche questi terminano malinconicamente la loro melodia, posano lo strumento, spengono con un leggero soffio la candela e vanno via.

Affrettandosi a compilare e a consegnare il questionario, così quasi tutti stasera hanno fatto, anzi fuggivano come se avessero il diavolo alle calcagna, sicché, lì sopra il tavolo, la monumentale “Matusalemme” dell'ingegnere Milazzo è restata immota e inviolata sopra il tavolo come un invincibile totem (come vedremo meglio in seguito anche nel campo delle bollicine, che per definizione ed essenza sono quanto di più estraneo possa esserci rispetto alla cupa e biliosa tetraggine degli Ebrei, corrono nomi biblici). Perché stasera pareva che tutti avessero una dannata fretta di chiudere, così che alla fine siamo rimasti in quattro a rendere al corpo dei relatori schierato al completo con gran sussiego i doverosi ringraziamenti e i meritati complimenti.

 

Interessante come ogni altra delle sue era stata la lezione che l'ingegnere Bonsangue aveva condotto procedendo di prora come un rompighiacci. Ci ha spiegato tutte le cose che dovremmo tenere a mente quando andiamo a comprarci il vino.

 

Permettetemi di fare sfoggio di un po' di erudizione, io che finora mi sono avvicinato agli scaffali dei vini come il gattino appena nato si avvicina alle tettine di mamma gatta.

Immaginiamoci la scala dei vini come una piramide. Alla base c'è il gran mare del vino comune, tecnicamente definito "da tavola" che non ha alcuna etichetta ma che se ne avesse una dovrebbe avere quella di V.C.C. (“vino di consumo corrente”, che raccoglie il 40% dei 60 milioni di litri che in Italia annualmente si producono; al gradino immediatamente superiore troviamo il vino definito IGT** (IGT sta per “indicazione geografica tipica”) in quanto a produzione voluminoso come il primo, se è vero, com’è vero, che anche il vino di Delia si fregia della suddetta definizione; salendo, la piramide si restringe di colpo per dare luogo alle quasi 300 etichette (per 8,5 milioni di litri prodotti, sui 60 milioni complessivi) dei vini DOC (sigla che sta “denominazione di porgine controllata”, e in ultimo, con solo 1,5 milioni di litri, le 21 prestigiose etichette che come il Brunello di Montalcino si fregiano della definizione di vini DOCG (che sta per “denominazione di origine controllata e garantita”. I vini doc e i vini docg sono definiti vini di qualità prodotti da regioni determinate). Invece la sigla VQPRD (che sta per “vini di qualità prodotti in regioni determinate” contrassegna taluni prestigiosissimi e costosissimi rossi bordolesi. Infine per VLQPRD per i vini liquorosi (la ELLE sta appunto per “liquorosi”) e VSQPRD per i vini spumanti (la ESSE sta appunto per spumanti).          

Le etichette dei vini sono o dovrebbero essere dei libri aperti tramite i quali l’acquirente dovrebbe poter capire cosa effettivamente contiene ogni bottiglia.

Quali indicazioni contengono le etichette? Vediamole.

Devono contenere le seguenti undici indicazioni:

1): Il nome del produttore (Tasca, Gaja, Zonin);

2): La denominazione del prodotto (cioè il tipo di vino: Moscato, Barbera, Chianti);

3): Uno di questi tre aggettivi (ma non sempre): "classico", "riserva", "superiore". Viene definito classico il vino che viene prodotto da uve tolte dal nucleo (dal cuore) di una riconosciuta zona di produzione; viene definito riserva quando è invecchiato più del Tempo minimo di invecchiamento previsto dal protocollo e infine viene definito superiore quando la gradazione alcolica supera (in genere di un grado o di un grado e mezzo) al minimo dovuto;

4): L’indicazione se è un vino igt, doc o docg (in assenza è un comunissimo vino da tavola);

5): Il millesimo, cioè a dire l'anno della vendemmia (indicazione obbligatoria solo per i docg);

6): Il tipo di vino (per es.: dolce, abboccato, amabile);   

7): La gradazione alcolica, per esempio: 12,5. Però a volte questa cifra può apparire seguita da un'altra (per esempio 12,5 + 2,5). Il 2,5 si riferisce alla gradazione potenziale alcolica non svolta, cioè a dello zucchero che, avendo voluto il vinificatore escludere le ultime fasi fermentative, è stato fatto rimanere zucchero, la qual cosa conferisce al vino una maggiore dolcezza);

8): La capacità (in genere 750 ml. e). La e, se c’è, sta a significare che si tratta di una capacità riconosciuta a livello europeo;

9): Il numero del registro di imbottigliamento e sigla della provincia nella quale è stato imbottigliato. Come per esempio r.i. 218 TV (cioè registro di imbottigliamento n. 218 della provincia di Treviso); se questa indicazione manca significa che il vino è stato imbottigliato in un sottoscala o peggio; ma detta indicazione a volte la si può trovare anche nel retroetichetta, nel tappo o nel collarino;

10): Il nome dell'imbottigliatore;

11): Il paese, inteso come nazione, di produzione;

12): Nei migliori spumanti prodotti col metodo “champenois” viene indicata anche la data di sboccatura, che è il breve momento che segue l'affinamento e precede la chiusura definitiva della bottiglia col classico tappo di sughero a forma di fungo, quando ai residui di feccia depositatisi sul collo della bottiglia tenuta capovolta si sostituisce il così detto “liqueur d'expedition”. La data di sboccatura in degli spumanti minimamente degni di considerazione non deve mai essere inferiore di 2 anni alla data nella quale andate ad acquistarli.

 

Vi risparmio, miei pazienti lettori, l'argomento tappi e cavatappi, e quel che l'ingegnere ci ha illustrato circa le diverse forme dei bicchieri e quelle delle bottiglie, sui loro culi e le loro spalle. Non che non fossero interessanti (sulla bocca dell'ingegnere Bonsangue tutto diviene estremamente interessante) ma perché è ora che anch'io dopo tanto scrivere chiuda.

 

Ci teneva l’ingegnere Bonsangue, da quella persona scrupolosa e da quel gran direttore che è, a conoscere il nostro riservato parere sull'andamento del corso, e pertanto ci ha invitati, sotto la tutela dell'anonimato, a essere franchi nell'esprimere giudizi e critiche. Per compiutezza d'informazione desidero chiudere questo compendio riportando le voci del questionario che  ci ha sottoposto e le risposte che ho dato.

 

Le domande, a parte le due canoniche riguardanti il sesso e la fascia d'età, erano le seguenti (indicherò come detto sopra anche le risposte):

 

A): come siamo venuti a conoscenza di questo corso: a) tramite locandine affisse, b) tramite volantini, c) tramite giornali, d) tramite la radio, e) tramite un conoscente.

- ho scritto "Tramite locandine affisse" (le ho notate, sia quest’anno che l’anno scorso, dal signor Lo Piano, dove, quando posso, assai volentieri mi reco a desinare).

B): perché ci siamo iscritti al corso di eno-gastronomia: a) perché interessato ai temi in programmazione, b) perché è una occasione di socializzazione, c) perché non avevo niente di meglio da fare; d) altro (specificare).

- ho scritto "Per un fatto di cultura".

C): a quale o a quali temi del corso eravamo maggiormente interessati all'atto dell'iscrizione: a) a tutti, b) all'enologia, c) alla gastronomia, d) alla pasticceria, e) al galateo a tavola, f) alle scienze dell'alimentazione.

- ho risposto “gastronomia”.

D): la quarta domanda voleva che indicassimo, secondo un ordine decrescente di gradimento, l’interesse che i cinque temi trattati hanno destato in noi.

- ho posto “enologia”, “galateo a tavola” e “la scienze dell'alimentazione” al primo posto; “gastronomia” al secondo e al quinto il corso di “pasticceria” (qui penso di avere sbagliato la conta, ma herr Micciché è stato così antipatico che non me ne dispiaccio).

E): se pensiamo che il tempo di ciascuna delle lezioni sia stato insufficiente, adeguato o eccessivo.

F): - ho risposto “insufficiente” per l'enologia e “adeguato” per le altre quattro discipline (mi rendo conto che il tempo non si può iperdilatare, tuttavia quelle di enologia mi sembravano sempre un po’ troppo brevi).

G): quale fosse il nostro giudizio globale sui relatori del corso: per la pasticceria ho messo “scarso”, per il galateo a tavola e la gastronomia ho messo “buono”, per la enologia e la scienze dell'alimentazione “ottimo” (credo però di essere stato un po’ troppo ingiusto con i meriti e la grazia della sinuosa ed elegantissima dott.ssa Oliveri).

H): quale fosse il nostro giudizio globale sulla organizzazione del corso.

- Ho messo un sentitissimo “ottimo”.

I) quale fosse il nostro giudizio globale sul materiale didattico fornito durante il corso: ho messo un meritatissimo ‘ottimo’.

L): se ritenevamo la quota di iscrizione pagata “molto conveniente”, “conveniente”, “congrua” oppure “eccessiva”.

- ho risposto “molto conveniente”.

M): se l'orario di svolgimento del corso (dalle 17 alle 19) ci fosse parso comodo o scomodo.

- ho scritto “un po’ scomodo” (l’ho fatto pensando agli altri più che a me stesso, perché io dopo esserne stato dominato per trent’anni ora il tempo sono io che lo domino io; ma pochissimi godono di questo privilegio. E questo spiega i molteplici ritardi di un gran numero di corsisti). A specifica domanda ho risposto che avrei preferito che iniziasse alle ore 18 (se fosse iniziato alle 18 avrei sicuramente portato un discepolo).

N): se la cadenza bisettimanale (martedì e venerdì) ci sia andata bene o invece non ne preferissimo una settimanale o trisettimanale.

- ho risposto di gradire il bisettimanale mi era andato bene.

O): se abbiamo trovato più o meno spaziosa e più o meno accogliente la sala dei ricevimenti ove si sono svolte le lezioni pratiche:

- ho risposto che la trovavo spaziosa e accogliente.

P) quale eventuale suggerimento credevamo di poter dare per quel che riguarda l’aspetto organizzativo .

- ho scritto “prolungamento di mezz’ora o di un’ora”.

Q) quali eventuale suggerimento credevamo di poter dare per quel che riguarda l’aspetto didattico

- (anche se non c’entra niente con l’organizzazione e nemmeno con la didattica) ho scritto che forse sarebbe stato utile, o opportuno, o simpatico, che il primo giorno, all’inizio, il direttore ci avesse dato a tutti un minuto o due per presentarci e farci conoscere.

R): la penultima domanda ci chiedeva se consiglieremmo ad un nostro amico o conoscente di frequentare questo corso:

- ho risposto sì (e in vero se il corso iniziava alle 18 il mio amico Sorce si sarebbe accodato).

S): l’ultima domanda ci chiedeva un giudizio complessivo sul corso.

- ho risposto con un sentito e sincero “ottimo”, che vada tutto a gloria dell’ingegnere Vincenzo Bonsangue, enoteista principe.

 

Qui finisce, miei pazienti ed esausti lettori, il mio “Viaggio alla ricerca dei cibi genuini”, come recitava il titolo di una memorabile trasmissione dello scrittore Mario Soldati agli albori della televisione. Di più non so dire, ma il bicchiere è sempre pieno (pardon, pieno di un terzo).

 

 

*: così si chiama il bottiglione da 6 litri, che è quella che in genere si sparano addosso i corridori di formula uno quando vincono una gara. La scala è la seguente: il quarto, per i francesi “chopine” (di 0,185 di litro); la mezza, per i francesi “fillette” (di 0,375 di litro); la champagnotta normale, per i francesi “bouteille” (di 0,75 di litro); la per i francesi e per tutti “magnum” (di litri 1,5); la “double magnum” o “jéroboam” doppia della magnum e quindi di 3 litri; la réhoboam (di litri 4,5). Seguono la “salmanazar” di ben 9 litri; la “balthazar” (di 12 litri), per poi sconfinare nella “nabuchodonosor” (di 15 litri) e nella “mechior” (di 18 litri).  

 

**: per intenderci, il dop cui molti prodotti alimentari (soprattutto formaggi e salumi) aspirano equivale di fatto all'igt dei vini, cioè, come ho capito stasera, a ben poco.

 

 

 

 

 

Epilogo

 

Leggendo la biografia di Pellegrino Artusi, cui questa emerita associazione s'ispira e che titolandoglisi vuole costantemente onorare, risalta che nella sua lunga vita il venerabile fu buongustaio, banchiere e letterato. “Si parva licet componere magnis” come dicono i latini, vi confesserò che a me pare per qualche aspetto di somigliargli. Perché magari non sarò un eccelso buongustaio ma che sono una buona forchetta lo si vede anche ad occhio. Perché per trenta e passa anni sono stato anch'io un banchiere, o, a voler rimpicciolire la cosa, un bancario. Per quel che riguarda la qualifica di letterato invece fate voi, ora che avete letto ciò che ho scritto ad onore di questo gradevolissimo corso. 

 

 

 

 

 

 

 

 

Elenco delle dispense:

 

Breve storia del vino

Dizionario del vino

Abbinamenti cibo - vino

I principali vitigni coltivati in Italia

La vinificazione

Degustazione dei vini

Gastronomia - pesce e formaggio, un incontro felice

I dolci della tradizione siciliana

Scienze dell'alimentazione - guida intelligente ai consumi alimentari

Storia della gastronomia italiana, le cucine regionali, ricette regionali

Il galateo a tavola.

 

 

 

Elenco dei partecipanti:

Amico Giuseppe

Angilella Maria Chiara

Bartolotta Carmelo

Bizzetti Giampiero

Burgio Maria

Candura Maria

Cerami Giuseppe

Chité Maurizio

De Trovato Massimo Carlo

De Vitto Florindo

Di Mino Matteo

Falzone Patrizia

Falzone Carlo m. Alberto

Ferrara Sandra

Giambusso Maria Maddalena

Licata Giovanni

Licata Giuseppa

Lo Celso Domenico

Lunetta Gaetano

Macaluso Maria Maddalena

Marotta Patrizia

Milazzo Giovanna

Milazzo Enrico

Miraglia Michele Simone

Pernaci Giuseppe

Picardo Rosario

Ristagno Vincenza Rita

Russo Ida

Torregrossa Anna Tiziana

Versaci Gilda

Vitarelli Evelina

Zagarella Concetta

 

 

 

 

Aforismi sul cibo

 

E’ meglio dormire con un cannibale sobrio che con un cristiano ubriaco

(Henry Melville)

 

Al primo bicchiere agnello, al secondo leone, al terzo maiale

(dal Talmud)

 

Diffida della persona astemia!

(Gianni Brera)

 

Dio ha creato il cibo, il diavolo i cuochi

James Joyce

 

La dieta è un sistema per allungare la vita rendendola insopportabile

(Pitigrilli)

 

Il peccato di gola è quello che tenendoti in vita ti permette di commettere gli altri

(Cesare Marchi)

 

“La cucina qui è veramente disgustosa...., e poi danno delle porzioni così piccole!”

(Woody Allen)

 

Mangiare è un diritto, digerire è un dovere

(Marcello Marchesi)

 

Meno tavole rotonde e più tavole calde per favore!

(Marcello Marchesi)

 

Non sarà mai facile governare un paese che conta ben 200 tipi diversi di formaggi

Charles De Gaulle

 

Quando si è innamorati ci si entusiasma perfino di un ristorante cinese

(Lella Costa)

 

Solo ciò che non mangiamo ci fa bene alla salute

(Guido Ceronetti)

 

Stare a dieta tutta la vita per vivere una settimana in più? E se poi in quella settimana piove o ti viene un mal di denti? 

(Woody Allen)

 

Mo, non sono sovrappeso, è che ho 18 centimetri in meno di altezza

(Shelley Winters)

 

Oggi il 70% dell’umanità muore di fame e il restante 30% fa la dieta

(Luciano De Crescenzo)

 

Il pepe rosso è il nutrimento del rivoluzionario

(Mao Tse Tung)

 

Si nocte levis coena brevis

Plinio il vecchio

 

(I mondo si divide in tre grandi categorie: formaggiai, salumai e poveri di spirito)

Mia

 

L’essere educati è un grande privilegio, ma esclude da tante cose

(Oscar Wilde)

 

Solo il bacio di una donna può dare dei piaceri superiori ma molto più ingannevoli ed illusori.

 

E’ nella dose il veleno

(Paracelso)

 

La scoperta di un piatto nuovo è più prezioso per il genere umano che la scoperta di una nuova stella

(Anthelme Brillat-savarin)

 

(Uomo affamato, uomo arrabbiato)

James Joyce

 

Uno stomaco limitato può andar d'accordo soltanto con una sensibilità limitata, cioè animalesca. L'uomo ispirato dall'etica e dalla ragione ha nei confronti dello stomaco un atteggiamento che consiste nel considerarlo un organo non animalesco, ma umano.

(Ludwig Feuerbach, dai principi della filosofia dell'avvenire)

 

Chi non ama il vino, le donne e il canto rimane uno stolto per tutta la vita

(Martin Lutero)

 

Der mensch ist, was er isst (l'uomo è ciò che mangia)

(Ludwig Feuerbach).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi permetto infine di fornire dei suggerimenti su quello che potrei di più e meglio gradire (fami, seti, appetiti, cupidigie, brame...) a chi voglia e possa contrarre un mutuo e desideri cavarsi il piacere d’invitarmi a pranzo. 

 

 

Menu consigliato a chi non avesse timore d'invitarmi alla sua tavola (le portate vengono citate NON in ordine di preferenza):

 

 

Antipasti: Affettati di suino. Di ogni tipo e specie, per l'aurea regola che in ogni tavola che si rispetti si comincia con degli affettati e si finisce col formaggio.

 

Primi piatti: (come condimento aggiunto sono graditi, quando non indicato diversamente, pecorino invecchiato e peperoncino rosso).

 

Tipo di pasta con sarde fresche, uva passa, capperi, pinoli, sarde salate e mollica di pane tostata impropriamente detta "pasta alla milanese".

Tipo di pasta inteso "Alla tunisina", cioè condita con pesce spada, capperi, olive e melanzane.

Spaghetti con sugo di pomodori e ricotta fresca, che i palermitani chiamano “pasta cacata". Ditali in zuppa di fagioli scuri, con verdure, pancetta e peperoncino, nello stile dei messicani.

Spaghetti riccamente conditi di olio, aglio e con una ancora e sempre molto congrua quantità di peperoncino (messo in sede di cottura, evitare di aggiungerlo a freddo, dopo).

Cannarozzoni rigati con sugo di pomidori, melanzane fritte e ricotta salata, nel tipo che i catanesi chiamano "alla Norma".

Bucatini all'amatriciana (per una esatta Preparazione della quale cinque sono gli Ingredienti fondamentali: sugo di pomodori freschi, guanciale, pecorino romano, peperoncino e una spruzzata di vino rosso.

Lasagne alla bolognese, altrimenti chiamato "Pasticcio di lasagne".

Caciucco di mare con crostini di pane tostato.

Spaghetti alle vongole o alla marinara.

Spaghetti integamati con cavolfiore, aglio e abbondantissimo cacio.

Minestra di ditali con "ramanastri" e pisellini verdi.

Riso annegato in zuppa di cavoletti verdi (dalle nostre parti "smuzzatura" o "tagliallasso") e impastati con ricotta fresca.

Riso annegato nel siero di ricotta e condito con peperoncino rosso.

Zuppa di pesce con crostini di pane tostato.

 

Secondi piatti : (sono banditi i volatili di ogni genere e tutti i tipi di selvaggina).

 

Polpettine alla turca con contorno di pisellini.

Salsiccia di maiale cucinata alla griglia con contorno di spinaci al burro.

Pesce spada ai ferri o al salmoriglio arricchito da un contorno di gamberetti.

Cotoletta di vitello alla milanese.

Gamberoni arrostiti.

Fritto di pesce misto.

Costata di manzo "alla fiorentina" (non sono gradite le imitazioni), con contorno di patatine fritte.

Totani, o almeno calamari ripieni.

 

Riempitivi:

 

Stufato di patate, melanzane e piselli (saltato in padella e servito freddo).

Purè di patate al gorgonzola, con sminuzzo di wurstel.

Gateau e crocchette di patate.

Cazzilli.

Patatine fritte.

Arancini di riso al burro.

Torte salate (“quiques”) di ogni tipo, a cominciare dalle cinque dette "di Lorena" e finire a quelle, più generiche ma non meno buone, che si infarciscono di formaggi d'ogni tipo o di carciofi, oppure di crema di piselli, o con asparagi o con pancetta, o con melanzane o con ricotta...; si raccomanda solo che siano tutte di ampio raggio e di variata farcitura.

Infine spiedini palermitani, una mafalda con delle panelle, una bene imbottita di mortadella, una con del salame, una con del crudo di San Daniele e una con del formaggio "piacintinu".

 

Dolci:

 

Cassatelle di ricotta. Torta di ricotta al limone.

Cassata siciliana.

Qualsiasi altro tipo di pasticceria fresca a base di ricotta (ravioli, cannoli, rollò).

Panettone milanese del tipo più classico (con canditi e uvetta).

 

Frutta:

 

Una o due arance. Nient'altro.

 

Vini:

 

Rosso: Lambrusco amabile di Romagna.

Bianco: “Colomba platino” delle cantine "Corvo" di Salaparuta o anche “Regalali”.

Vini da dessert: Moscato dolce del Piemonte o Vino di Porto.

Spumante (qualora ne ricorresse il caso): Martini dolce (lo champagne non è gradito).

 

Per finire:

 

Formaggi d'ogni genere e stagionatura. Per l'aurea regola, sopra richiamata, che in ogni tavola che si rispetti si comincia con degli affettati e si finisce col formaggio.

Il caviale? Se ci fosse non mi dispiacerebbe provarlo (No, il Tartufo no, l'ho assaggiato quando vivevo in Piemonte e non mi ha esaltato).

 

Gelato:

 

Ogni tipo di gelato al cioccolato.

 

 

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27 maggio 2010